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  • Lunedì 9 maggio 2022

Perché la vittoria del Sinn Féin in Irlanda del Nord potrebbe diventare storica

La riunificazione dell'Irlanda sembra ancora remota, ma nei prossimi anni se ne parlerà verosimilmente sempre di più

Michelle O’Neill e Mary Lou McDonald del Sinn Féin (AP Photo/Peter Morrison)
Michelle O’Neill e Mary Lou McDonald del Sinn Féin (AP Photo/Peter Morrison)
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La vittoria del partito nazionalista di sinistra Sinn Féin alle elezioni in Irlanda del Nord è considerata uno degli eventi più rilevanti negli ultimi decenni di storia del territorio britannico: alcuni osservatori hanno parlato di «terremoto politico», diversi altri di «momento storico», e in generale un po’ tutti concordano sul fatto che potrebbe innescare importanti cambiamenti sull’intera Irlanda nei prossimi anni.

Il Sinn Féin nacque più di 100 anni fa, e divenne nella seconda parte del Novecento il braccio politico dell’IRA (Irish Republican Army), l’organizzazione militare che per oltre trent’anni, tra la fine degli anni Sessanta e la fine dei Novanta, combatté contro la permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, organizzando operazioni militari e attentati terroristici in tutto il paese. L’IRA fu sciolta alla fine degli anni Novanta dopo gli accordi del Venerdì Santo, che posero fine al periodo degli scontri violenti (i cosiddetti Troubles). Il Sinn Féin ha continuato a esistere rimanendo a lungo un partito peculiare: transnazionale (è attivo sia in Irlanda del Nord sia in Irlanda e in entrambi i paesi è governato dalla stessa leadership) e spesso ambiguo sui suoi antichi rapporti con l’IRA, che pure sono stati messi da parte durante l’ultima campagna elettorale e più in generale negli ultimi anni.

La sua vittoria alle elezioni in Irlanda del Nord è considerata potenzialmente storica perché è la prima volta che una formazione nazionalista diventa il più grande partito nordirlandese. Il Sinn Féin, peraltro, è secondo i sondaggi il partito con più consensi anche in Irlanda, dove le prossime elezioni politiche sono previste per il 2025 (anche se ovviamente molte cose potrebbero cambiare in due anni e mezzo). A quel punto lo stesso partito, con la stessa leadership, si troverebbe al governo su tutta l’Irlanda per la prima volta da oltre un secolo.

Questo non significa che automaticamente l’Irlanda tornerà unita. Molti analisti, anzi, ritengono che la vittoria del Sinn Féin non aumenti più di tanto, nel breve termine, le possibilità di riunificazione: soprattutto a causa del peculiare sistema di condivisione del potere politico in vigore in Irlanda del Nord a seguito degli accordi del Venerdì Santo. Ma la vittoria del Sinn Féin porterà comunque cambiamenti notevoli nella politica nordirlandese, da subito.

Un rapido passo indietro
Il Sinn Féin fu uno dei protagonisti degli accordi del Venerdì Santo che nel 1998 posero fine agli scontri della guerra civile, soprattutto grazie alla svolta più moderata e favorevole al negoziato politico data al gruppo dal suo storico leader Gerry Adams. Anche dopo gli accordi di pace, tuttavia, il Sinn Féin e Adams rimasero figure ambigue. Adams è stato a lungo accusato in maniera piuttosto credibile di aver fatto parte dell’IRA, sebbene lui l’abbia sempre negato, e molto spesso si è prestato a provocazioni che hanno fatto temere che il suo ripudio della lotta armata non sia stato del tutto sincero. Nonostante questo, né Adams né il Sinn Féin sono mai stati coinvolti in episodi violenti dalla firma degli accordi.

Anche il Sinn Féin è rimasto un partito particolare nel panorama europeo, sia per la sua presenza in due diversi paesi sia per una struttura fortemente irregimentata, dove il dibattito interno è molto raro e le decisioni sono prese dalla dirigenza e attuate in maniera quasi militare.

Gerry Adams (Charles McQuillan/Getty Images)

Le cose sono almeno parzialmente cambiate nel 2018 quando Adams, dopo 34 anni a capo del Sinn Féin, lasciò l’incarico a Mary Lou McDonald. Anche in quel caso non fu una decisione particolarmente democratica: McDonald fu selezionata personalmente da Adams. Fu tuttavia la scelta giusta: McDonald, cresciuta in una famiglia della classe media di Dublino, era stata militante del partito conservatore irlandese Fianna Fáil e si era unita al Sinn Féin solo dopo gli accordi del Venerdì Santo del 1998. Non aveva niente a che fare con il passato violento del partito, e a differenza di Adams non doveva difendersi in continuazione dall’accusa di avere fatto parte dell’IRA.

Sotto McDonald, il Sinn Féin si è avviato a diventare il partito più popolare di entrambe le parti dell’Irlanda. Alle elezioni legislative del 2020 in Irlanda è stato il partito più votato (anche se non è entrato nel governo), e lo stesso è successo questo fine settimana in Irlanda del Nord. Soprattutto in quest’ultima campagna elettorale, il Sinn Féin si è garantito il successo concentrandosi sulle preoccupazioni quotidiane delle persone, come l’aumento dei prezzi dei beni e la crisi abitativa, e tralasciando la questione della riunificazione tra le due Irlande.

Il partito si è inoltre molto moderato su vari temi: di recente si è rimangiato la sua posizione storicamente contraria alla NATO e vicina alla Russia, per esempio, e ha cancellato dal suo sito internet quasi vent’anni di vecchi comunicati ufficiali, pieni di posizioni spesso controverse.

Una parte del suo successo in Irlanda del Nord è dovuto anche alle lacune dei partiti unionisti: rispetto alle elezioni precedenti, il Sinn Féin ha in realtà mantenuto lo stesso numero di seggi al parlamento nordirlandese: 27 su 90. È stato però il Partito democratico unionista (DUP), primo partito nordirlandese per gli ultimi 15 anni, a passare da 28 a 25 seggi e perdere il primato.

Cosa succede adesso in Irlanda del Nord
Benché possa sembrare strano, in realtà il Sinn Féin è al governo dell’Irlanda del Nord già da anni, anche se non è mai stato finora il primo partito. Gli accordi del Venerdì Santo prevedono che il governo nordirlandese sia obbligatoriamente un governo di coalizione tra i due partiti più votati, che devono appartenere a due “comunità” diverse (le comunità sono “nazionalista”, “unionista” e quella dei partiti non affiliati). Secondo gli accordi, dunque, se due partiti “nazionalisti” risultassero i più votati alle elezioni il secondo non potrebbe entrare nel governo, e dovrebbe lasciare il posto al più votato tra i partiti “unionisti” e quelli del terzo gruppo.

I due partner obbligati di governo hanno una posizione assolutamente paritetica: il partito più votato esprime il primo ministro mentre il secondo partito della coalizione esprime il vice primo ministro. Ma entrambe le cariche, a dispetto del nome, hanno esattamente gli stessi poteri, la stessa autonomia e la stessa autorità. Se il vice primo ministro si dimette deve farlo anche il primo ministro, e viceversa.

Dal 2007 al 2022, il partito più votato in Irlanda del Nord è stato il DUP (unionista) e il secondo è stato il Sinn Féin (nazionalista). Per 15 anni, dunque, il DUP ha espresso il primo ministro e il Sinn Féin il vice primo ministro, ma i loro poteri sono sempre stati identici. Alle elezioni di questo fine settimana, le posizioni si sono invertite: Sinn Féin è arrivato primo, il DUP secondo. Dal punto di vista dell’esercizio del potere, dunque, la vittoria di Sinn Féin è di fatto simbolica.

Ma come ha scritto il giornalista Fintan O’Toole sul Guardian, «il simbolismo ha un’importanza profonda in Irlanda del Nord», e la vittoria di Sinn Féin potrebbe portare a diversi cambiamenti.

Nell’immediato, il primo problema sarà la formazione del nuovo governo. Secondo gli accordi del Venerdì Santo, Michelle O’Neill, la leader locale di Sinn Féin, dovrebbe diventare prima ministra e il DUP dovrebbe esprimere il paritetico vice primo ministro. Ma il DUP ha già annunciato che non intende entrare nel nuovo governo, per ragioni che sono anzitutto legate a Brexit: il DUP è fortemente contrario al Protocollo sull’Irlanda del Nord, il trattato sullo status del paese contenuto nel più ampio accordo fra Regno Unito e Unione Europea su Brexit. Il protocollo prevede che l’Irlanda del Nord resti sia nel mercato comune europeo sia nell’unione doganale, creando di fatto una barriera doganale tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito, e di fatto avvicinando dal punto di vista commerciale l’Irlanda del Nord all’Irlanda.

Benché il Protocollo sia stato firmato dal primo ministro britannico Boris Johnson, alleato del DUP, il partito a febbraio aveva fatto cadere il governo nordirlandese e aveva annunciato che non avrebbe più partecipato a nessun esecutivo finché il governo di Londra non avesse eliminato il Protocollo (cosa molto difficile da fare a meno di creare grossi problemi con l’Unione Europea). La vittoria di Sinn Féin alle elezioni ha reso tutto ancora più complicato: parte del DUP non vuole partecipare a un governo con gli storici rivali in una posizione subordinata, seppure soltanto simbolica.

Se la situazione del governo nordirlandese non dovesse sbloccarsi nel giro di sei mesi, il governo britannico potrebbe indire nuove elezioni. Ma se anche queste nuove elezioni non portassero a risultati, allora le cose potrebbero diventare davvero complicate. L’Economist ha ipotizzato che a quel punto aumenterebbe molto la pressione per rivedere gli accordi del Venerdì Santo e porre fine al sistema della coalizione di governo obbligata.

In questo contesto molto complicato, in cui la politica nordirlandese dovrà gestire la formazione di un governo, il mantenimento del Protocollo con l’Unione Europea e perfino un’eventuale revisione degli accordi del Venerdì Santo, la riunificazione dell’Irlanda è vista dal Sinn Féin come un obiettivo piuttosto remoto, anche se comunque presente nel programma e nelle ambizioni del partito.

McDonald ha detto di ritenere che un border poll (il nome con cui in Irlanda viene definito il referendum sulla riunificazione) potrebbe avvenire nell’arco di cinque anni. In altri discorsi, ha detto che cambiamenti importanti potrebbero avvenire «in questo decennio».

Il fatto è che non spetta alle autorità nordirlandesi indire un eventuale referendum, ma a quelle britanniche: secondo gli accordi del Venerdì Santo, al segretario britannico per l’Irlanda del Nord, cioè un membro del governo britannico, spetta il compito di indire un referendum se «gli sembrerà probabile che una maggioranza degli elettori potrebbe esprimere il desiderio che l’Irlanda del Nord smettesse di far parte del Regno Unito». In pratica, un referendum sarebbe possibile soltanto se il sostegno popolare nei confronti della riunificazione diventasse così forte da essere impossibile da ignorare. Attualmente questo sostegno non c’è: secondo i sondaggi, soltanto un terzo dei nordirlandesi è favorevole alla riunificazione, e una percentuale ancora minore la ritiene una questione politica urgente.

Il nuovo primato del Sinn Féin, però, potrebbe cambiare molte cose, e la sua leadership spera verosimilmente di far cambiare idea alle tantissime persone che ancora si dicono indecise.