I diritti degli animali in tempo di guerra

Una parte del racconto dell’invasione dell’Ucraina si è concentrata sul rapporto tra le persone in fuga e gli animali, riaprendo un dibattito

animali guerra ucraina
Una donna attraversa un fiume tenendo in braccio il suo cane a Irpin, in Ucraina, il 5 marzo 2022 (AP/Vadim Ghirda)

Una tra le tante conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina e dei bombardamenti e degli attacchi armati in vaste aree civili riguarda gli animali presenti in quelle aree al momento dell’inizio del conflitto. Moltissime fotografie circolate su giornali e siti di news, scattate nelle città ucraine assediate o conquistate, mostrano animali domestici faticosamente messi in salvo dai loro proprietari in fuga. Altre mostrano animali meno fortunati, abbandonati nei cortili esterni di abitazioni semidistrutte, oppure smarriti per le strade delle città, feriti o denutriti. Altre ancora mostrano animali che restano vicini ai cadaveri dei loro proprietari.

Le sofferenze degli animali in Ucraina sono da diverse settimane oggetto di riflessioni specifiche a margine delle considerazioni più generali riguardo alle conseguenze del conflitto. Riflessioni che tengono conto dei profondi legami co-evolutivi tra la specie umana e altre specie addomesticate, attestati dai notevoli sforzi di molte persone per salvare i loro animali in questa guerra. E che provano a porre la questione della tutela dei diritti degli animali in situazioni e contesti di guerra in cui quegli animali non hanno un posto in cui scappare o nascondersi, né evidentemente alcuna possibilità di comprendere cosa stia succedendo intorno a loro.

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Nelle ultime settimane le cronache hanno permesso di ricostruire storie strazianti e molto simili tra loro a partire dalle fotografie di animali abbandonati in Ucraina. Alcuni di quegli animali erano sopravvissuti ad attacchi armati che avevano invece causato la morte dei loro proprietari, per esempio, o costretto quei proprietari a fuggire senza avere il tempo né la possibilità di occuparsi dei loro animali domestici, specialmente quelli di taglia più grande. Alcune persone sono infine rimaste nelle città, nonostante i continui bombardamenti, per prendersi cura degli animali lasciati dai vicini in fuga.

Felipe Dana, apprezzato fotografo brasiliano di Associated Press, ha scattato alcune fotografie di animali – tra le più difficili da vedere – a Bucha, la città a nord-ovest di Kiev sede di un massacro di civili scoperto dopo il recente ritiro dell’esercito russo da quella zona. Il 5 aprile, in particolare, Dana ha documentato anche con un video su Twitter la condizione di un cane domestico rimasto vicino al cadavere di una donna, presumibilmente la proprietaria, sulla porta di casa (la foto è questa).

(Attenzione: il video contiene immagini impressionanti)

Secondo una stima dell’azienda ucraina Kormotech, il principale produttore di alimenti per animali domestici in Ucraina, nel 2014 c’erano complessivamente in tutto il paese circa 6,25 milioni di animali domestici (750 mila cani e 5,5 milioni di gatti).

Il dolore delle persone ucraine per i loro animali smarriti o abbandonati nelle città durante la guerra, ha scritto l’Atlantic, sembra profondo almeno quanto quello per il distacco da parenti, figli, mariti e mogli. «Riposa in pace, mio bellissimo angelo. Pagheranno per aver reso le tue ultime settimane un inferno», ha scritto su Twitter una giornalista ucraina del Kyiv Independent dopo aver saputo della morte del suo cane, che aveva dovuto lasciarsi dietro fuggendo di casa.

«Non possiamo dare giudizi perché non sappiamo come si sentano le persone quando esiste il rischio concreto di essere uccisi», ha detto a Vox Olga Chevganiuk, cofondatrice di UAnimals, un’associazione non governativa ucraina che si sta prendendo cura degli animali abbandonati in Ucraina e ha recentemente denunciato la morte di centinaia di animali rimasti in un rifugio senza cibo né acqua a Borodyanka, nelle vicinanze di Kiev.

Una delle sensazioni peggiori in queste settimane per i volontari delle associazioni animaliste, ha spiegato Chevganiuk, è quando sanno di un rifugio in cui si trovano molti animali lasciati lì dai loro proprietari ma che nel frattempo è diventato irraggiungibile a causa degli scontri. All’inizio di marzo, tre volontari sono stati uccisi in un attacco armato alla loro auto mentre trasportavano cibo per animali in un rifugio a Bucha.

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In questa guerra, ha scritto l’Atlantic, gli animali sono stati coinvolti negli attacchi ben oltre quanto rientri solitamente nelle conseguenze indirette degli scontri: «Per pura crudeltà». Il governo ucraino ha accusato l’esercito russo di aver colpito intenzionalmente rifugi per cani e scuderie. Alcuni membri del governo ucraino hanno riferito che i soldati russi in ritirata dalla regione di Kiev si sono lasciati dietro carcasse crivellate di proiettili non solo di bovini, cavalli e capre, ma anche di cani da compagnia.

«Uccidendo animali, gli invasori sembrano rispondere a tutte le immagini di ucraini con animali domestici nei rifugi antiaerei e nei corridoi umanitari», ha scritto l’Atlantic, descrivendo queste azioni da parte dei russi come «un modo per infliggere dolore al popolo ucraino, non facendolo morire di fame ma spezzandogli il cuore».

La guerra in Ucraina ha coinvolto in sofferenze e atrocità anche gli animali tenuti in cattività. Nell’Ecoparco Feldman a Kharkiv, danneggiato durante le prime settimane del conflitto, diversi animali sono rimasti feriti o uccisi. A marzo alcuni media ucraini hanno riferito di animali agonizzanti a causa della fame e del freddo anche in uno zoo situato nel paese di Demydiv, 25 chilometri a nord di Kiev. Sollecitando l’istituzione di speciali corridoi umanitari per gli animali, il responsabile dello zoo aveva spiegato che l’evacuazione degli animali era di fatto impraticabile per mancanza di medicine necessarie a sedare gli animali e per le difficoltà nel trasporto di animali di grandi dimensioni come giraffe e rinoceronti.

A causa dei bombardamenti nei pressi dello zoo di Kiev, uno dei più grandi di tutta l’area dell’ex Unione Sovietica, un elefante asiatico terrorizzato – gli elefanti sono particolarmente sensibili ai rumori forti – è stato curato dai responsabili dello zoo con dei tranquillanti. Un gruppo di zebre è stato invece spostato all’interno di una struttura chiusa dopo che il rumore degli spari e delle esplosioni aveva cominciato a indurle a scontrarsi violentemente contro le recinzioni delle aree all’aperto.

Uno shock dello stesso tipo ha portato un lemure a smettere di nutrire e accudire i suoi neonati, che sono stati quindi presi in carico dal personale dello zoo, ha raccontato il Washington Post. Alcuni membri dello staff si sono stabilmente trasferiti con i loro familiari negli edifici dello zoo per poter prestare soccorso all’occorrenza, tempestivamente, ed evitare i rischi di continui spostamenti da casa. Un gruppo di animali, inclusi leoni, orsi e tigri, è stato infine trasferito in altri zoo all’estero, principalmente in Romania e in Polonia.

La guerra ha avuto conseguenze anche per gli animali da allevamento, come riferito dalla rivista britannica Poultry World, che si occupa del settore del pollame. A marzo, nella fattoria più importante dell’azienda Avangard, la prima per produzione di uova in Ucraina, l’alimentazione del bestiame è stata interrotta a causa degli scontri nella regione di Kherson, nel sud del paese, privando quel bestiame di qualsiasi possibilità di sopravvivenza.

Gli attacchi intenzionali alle infrastrutture civili – incluse le fattorie – nelle zone in cui sono in corso conflitti armati potrebbero essere considerati crimini di guerra, secondo le norme internazionali del diritto umanitario. Questa possibilità è stata citata dall’emittente tedesca Deutsche Welle in occasione di un bombardamento a un allevamento in Siria all’inizio del 2022. Attribuito alle forze militari russe dall’organizzazione per i diritti umani The Syrian Archive, il bombardamento sarebbe stato compiuto per costringere le comunità locali ad abbandonare una delle ultime aree controllate dai ribelli che si oppongono al regime del presidente siriano Bashar al Assad.

Le immagini di animali sofferenti scattate recentemente in Ucraina, oltre che suscitare estesi sentimenti di compassione, hanno riproposto un tema più ampio che riguarda l’attuale mancanza di tutele specifiche dei diritti delle specie animali non umane coinvolte nei conflitti: tutele che non interessino soltanto certi animali, indirettamente, in quanto fonte di alimentazione per gli esseri umani.

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È possibile immaginare, come ha scritto Vox, che con il crescere di una certa sensibilità delle persone nei confronti degli animali in generale lo status legale degli animali in tempo di guerra possa in futuro diventare oggetto di maggiori attenzioni nel diritto internazionale umanitario, l’insieme delle norme di diritto internazionale sulla condotta delle ostilità nei conflitti armati e sulla protezione delle vittime della guerra.

Per la maggior parte della storia dell’umanità, gli animali sono stati non soltanto interessati dagli effetti indiretti delle guerre ma in molti casi impiegati direttamente sul campo di battaglia, dove finivano spesso per essere essi stessi bersaglio dei colpi inferti dagli schieramenti avversari. Prima dell’invenzione di mezzi meccanici di trasporto, mammiferi di grandi dimensioni come cavalli, asini, buoi ed elefanti furono utilizzati per trasportare soldati, anche quelli feriti in battaglia, e rifornimenti.

I piccioni viaggiatori furono notoriamente utilizzati come mezzi di comunicazione affidabile in mancanza di linee telegrafiche e telefoniche. Durante la Prima guerra mondiale – un’epoca in cui alcuni eserciti facevano ancora uso dei cavalli in battaglia – sparare ai piccioni diventò un reato punibile in base a una legge promulgata nel 1914 dal governo britannico (il Defence of the Realm Act), perché qualsiasi piccione avrebbe potuto trasportare un messaggio di vitale importanza.

Oggi gli animali sono ancora impiegati in contesti di guerra ma in misura minore: alcuni cani sono addestrati a cercare bombe nascoste, per esempio, ed esistono anche topi addestrati a scovare mine antiuomo.

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Nel film-documentario del 2008 Valzer con Bashir, che tratta alcuni fatti della guerra del Libano nel 1982 e il massacro dei campi di Sabra e Shatila a Beirut, il ricordo delle violenze sugli animali è un elemento centrale nella memoria degli ex soldati israeliani – tra i quali lo stesso regista, Ari Folman – che ricordano i tempi del loro servizio militare.

All’inizio del film, uno di loro racconta un suo incubo ricorrente in cui è inseguito da un branco di cani randagi, che ricollega al ricordo dei cani da lui uccisi ai tempi della guerra con un fucile di precisione dotato di silenziatore prima dei rastrellamenti nei campi palestinesi. L’obiettivo era evitare che ogni volta, fiutando l’arrivo dei soldati, i cani potessero mettersi ad abbaiare e svegliare l’accampamento.

Una psicoterapeuta racconta poi a Folman che un suo paziente, impegnato come fotografo durante quello stesso conflitto, superò la vista di numerose atrocità e violenze ai danni degli esseri umani ma non quella di decine di cavalli agonizzanti e carcasse di cavalli massacrati all’ippodromo di Beirut.

Le conseguenze della guerra si estendono inevitabilmente anche sulle specie non addomesticate. Secondo uno studio sugli effetti dei conflitti armati sulla fauna selvatica, pubblicato nel 2018 sulla rivista Nature, i tassi di crescita delle popolazioni di grandi mammiferi erbivori in aree protette in Africa tra il 1946 e il 2010 sono tendenzialmente diminuite con l’aumentare della frequenza dei conflitti. Una delle ragioni di questo fenomeno, secondo altre ricerche, sarebbe in parte l’aumento del bracconaggio e del traffico di animali selvatici durante le guerre.

Alcune organizzazioni a difesa degli animali e studiosi di conflitti stanno cercando da tempo di sviluppare idee e progetti per richiedere la codificazione di norme a tutela degli animali in tempo di guerra e in altre situazioni di emergenza. È tuttavia abbastanza diffusa l’impressione che tali aspirazioni, anche nel caso in cui fossero realizzate, siano nella maggior parte dei casi destinate a rimanere frustrate nella realtà dei fatti, in contesti e circostanze in cui risulta spesso molto difficile garantire in concreto anche soltanto la tutela dei diritti umani.

Secondo una ricerca condotta nel 2017 dall’esperto di diritto internazionale umanitario belga Jerome de Hemptinne, la tutela degli animali e dell’ambiente è in larga parte esclusa dai trattati internazionali come le Convenzioni di Ginevra e le Convenzioni dell’Aia.

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Esistono rare eccezioni rappresentate da alcune leggi di diritto commerciale internazionale e trattati multilaterali relative al traffico di specie selvatiche e alla protezione delle specie in via di estinzione, come per esempio la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione del 1973 (CITES) o la direttiva Habitat approvata nel 1992 dalla Commissione europea. Ma in linea generale la protezione dei diritti degli animali non rientra esplicitamente nel diritto internazionale umanitario.

Le tutele del diritto internazionale umanitario si estendono agli «obiettivi civili», come per esempio scuole, case e luoghi di culto, afferma Hemptinne: ma non è chiaro se quegli obiettivi debbano essere oggetti inanimati, per meritare protezione. Cosa che escluderebbe ovviamente gli animali, che d’altronde non sono nemmeno compresi nella categoria protetta dei «civili» e gravitano quindi in una zona grigia del diritto internazionale umanitario.

Una delle possibilità individuate da Hemptinne per cercare di garantire la tutela dei diritti degli animali in tempo di guerra è in primo luogo insistere su un protocollo aggiuntivo inserito nelle Convenzioni di Ginevra nel 1977 e che dispone la protezione delle aree con elevata biodiversità. La tutela dei diritti degli animali sarebbe in questo caso, nell’idea di Hemptinne, l’effetto di una possibile estensione delle zone smilitarizzate in ottemperanza al protocollo del 1977.

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Un’altra via per proteggere gli animali in tempo di guerra potrebbe essere quella di considerarli proprietà privata o pubblica, in modo da estendere su di loro le tutele previste dall’articolo 53 della quarta Convenzione di Ginevra, che vieta alle forze di occupazione di distruggere la proprietà privata e pubblica a meno che non sia reso assolutamente necessario dalle operazioni militari.

Alcune organizzazioni internazionali impegnate nella difesa dei diritti degli animali, come Four Paws, cooperano da tempo con gli stati membri dell’Unione Europea per migliorare una serie di normative esistenti in materia di preparazione e risposta alle catastrofi naturali nei territori dell’Unione. Il loro obiettivo è di indurre le istituzioni a definire in modo più chiaro ed esplicito piani di investimento di risorse per la tutela del benessere degli animali.

Attualmente, tra le altre cose, Four Paws si sta occupando attraverso il personale dei suoi uffici in Ucraina dei soccorsi e della sorveglianza degli animali a Kiev e nella riserva degli orsi Domazhyr fondata dall’organizzazione nel 2013 vicino a Leopoli, nell’Ucraina occidentale, per difendere gli orsi bruni da varie pratiche umane che ne prevedono la cattura e il maltrattamento.