Perché non costruiamo nuovi rigassificatori?

Potrebbero aiutare a ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia, ma realizzarli non è così semplice

Il rigassificatore di Porto Viro, in provincia di Rovigo, nel 2009 (ANSA/Segest/ANREA MEROLA/DC)
Il rigassificatore di Porto Viro, in provincia di Rovigo, nel 2009 (ANSA/Segest/ANREA MEROLA/DC)

Uno dei modi in cui il governo vorrebbe ridurre la dipendenza dell’Italia dal gas naturale russo è l’installazione di uno o due nuovi rigassificatori, in aggiunta ai tre che ci sono già sul territorio italiano. Sono indispensabili per ricevere gas da paesi a cui l’Italia non è collegata da un gasdotto, tuttavia da anni la costruzione di nuovi impianti è molto osteggiata in diverse parti d’Italia, per il loro impatto ambientale e altre ragioni. Per questo il governo sta parlando di rigassificatori su strutture galleggianti, che potrebbero entrare in attività in tempi brevi.

La maggior parte del gas di importazione arriva in Italia attraverso gasdotti, cioè lunghi tubi in cui la sostanza può fluire. Alcuni sono interamente terrestri, come quelli che trasportano il gas russo e si collegano alla rete italiana a Tarvisio, in provincia di Udine, altri attraversano il Mediterraneo. Non ce ne sono però che colleghino l’Italia al Qatar, il terzo paese da cui è stato importato più gas nel 2021 dopo la Russia e l’Algeria, o alla Repubblica del Congo o all’Angola, paesi da cui il governo vorrebbe acquistarne in futuro. E chiaramente non ce ne sono che uniscano l’Italia agli Stati Uniti, primo paese per produzione di gas al mondo.

In assenza di gasdotti, il gas naturale può essere trasportato da apposite navi metaniere (il metano è il suo principale componente). Prima però reso liquido, cioè trasformato in gas naturale liquefatto, in sigla GNL o LNG, dall’espressione inglese: in questo modo occupa un volume circa 600 volte inferiore e una metaniera può trasportarne una quantità molto maggiore. Il trasporto di gas via nave dunque ha bisogno di impianti per la trasformazione del gas allo stato liquido nel punto di partenza (quindi impianti che lo raffreddano e comprimono), e di rigassificatori nel punto di arrivo.

Il GNL viene trasportato nelle navi a pressione poco superiore a quella atmosferica e a una temperatura di -162 °C. Nei rigassificatori torna allo stato gassoso grazie a un processo di riscaldamento controllato all’interno di un vaporizzatore, che ha un volume adeguato per permettere l’espansione del gas. Il riscaldamento avviene facendo passare il GNL all’interno di tubi immersi in acqua marina – che ha chiaramente una temperatura più alta.

(Enciclopedia Treccani)

Una volta tornato allo stato gassoso grazie ai rigassificatori, il gas può essere immesso nei gasdotti di un territorio, per essere distribuito nelle case e impiegato dalle centrali elettriche a gas per la produzione di energia.

I rigassificatori italiani attualmente in uso sono tre strutture diverse tra loro. Il più grande è il Terminale GNL Adriatico ed è un impianto offshore: un’isola artificiale che si trova in mare al largo di Porto Viro, in provincia di Rovigo, e ha una capacità di produzione annuale di 8 miliardi di metri cubi di gas. È attivo dal 2009 e la società che lo gestisce è una joint venture composta dalla grande compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil (al 70 per cento), dall’azienda petrolifera statale qatariota Qatar Petroleum (23 per cento) e da Snam (7 per cento), che gestisce la rete di gasdotti italiana.

Anche nel mar Tirreno, al largo della costa tra Livorno e Pisa, c’è un rigassificatore offshore: è una nave metaniera che è stata modificata e ancorata in modo permanente al fondale e immette gas in rete dal 2013. Ha una capacità di 3,75 miliardi di metri cubi annuali; appartiene a Snam per il 49,07 per cento, alla società di investimento First Sentier Investors per il 48,24 per cento e alla società di noleggio e gestioni di navi metaniere Golar LNG per la parte restante.

Il terzo rigassificatore in funzione è invece una struttura onshore, cioè sulla terraferma, e si trova a Panigaglia, in provincia di La Spezia. È il primo rigassificatore mai costruito in Italia (fu realizzato negli anni Settanta), ha una capacità annuale di 3,5 miliardi di metri cubi e appartiene a Snam.

La capacità complessiva dei tre rigassificatori non sarebbe da sola sufficiente a permettere l’immissione nella rete italiana di una quantità di gas pari a quella che negli ultimi anni è stata importata dalla Russia (29 miliardi di metri cubi di gas nel 2021). Nell’ottica di diminuire la dipendenza energetica dalla Russia, però, il governo vorrebbe sia sfruttare di più i rigassificatori sia aumentare le importazioni tramite gasdotti dai paesi da cui oggi l’Italia già si rifornisce: ad esempio dall’Algeria, attraverso il TransMed, e dall’Azerbaigian, attraverso il Trans-Adriatico, o TAP.

Il governo ha incaricato Snam ed Eni, la più grande azienda petrolifera italiana, di trovare una o due metaniere da trasformare in floating storage regasification unit (nel gergo tecnico il rigassificatore si chiama così, o con la sigla FSRU), strutture simile a quella al largo di Livorno e Pisa che possano trattare 5 o 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Non si sa ancora nulla di dove saranno eventualmente collocati gli impianti.

In questo contesto si è riparlato anche di due progetti per la costruzione di nuovi rigassificatori bloccati da anni. Uno riguarda Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, l’altro Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria.

Il primo progetto era stato inizialmente presentato nel 2004, ma dopo varie vicissitudini burocratiche il comune di Agrigento aveva interrotto la realizzazione del gasdotto che sarebbe stato collegato all’impianto: i rischi sull’ambiente e per i possibili danni ai siti archeologici nello scavo del condotto erano stati giudicati troppo alti. A febbraio, però, il Tribunale amministrativo regionale (TAR) di Palermo ha respinto il ricorso del comune e ora, almeno teoricamente, il gasdotto si potrebbe costruire. Non è detto però che il rigassificatore di Porto Empedocle si farà, e in tempi brevi, perché il comune di Agrigento può fare appello al Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia (CGARS) contro la decisione del TAR.

Per quanto riguarda il progetto di Gioia Tauro, avviato nel 2005, è sospeso dal 2013, ma il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili Enrico Giovannini ha detto che si potrebbe riprendere in considerazione.

Negli anni passati era stata ipotizzata la costruzione di rigassificatori anche in altre zone d’Italia, ma attraverso referendum locali era poi stata accantonata. A Trieste c’era il timore che avrebbe ridotto il traffico di merci in ingresso al porto, a Priolo, in provincia di Siracusa, che l’impianto sarebbe stato pericoloso per la popolazione.