La maggioranza che sostiene il governo è divisa sull’aumento delle spese militari

La prossima settimana al Senato il governo dovrà trovare un modo per superare la netta contrarietà del Movimento 5 Stelle

Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e sullo sfondo il presidente del Consiglio Mario Draghi (Roberto Monaldo / LaPresse)
Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e sullo sfondo il presidente del Consiglio Mario Draghi (Roberto Monaldo / LaPresse)

La decisione del Movimento 5 Stelle di schierarsi contro l’aumento delle spese militari sta creando tensioni nell’ampia coalizione che sostiene il governo guidato da Mario Draghi. Il 16 marzo la Camera dei deputati, durante la discussione del cosiddetto “decreto Ucraina”, aveva approvato un ordine del giorno per impegnare il governo ad aumentare le spese militari, oggi intorno ai 25 miliardi di euro l’anno, fino al 2 per cento del Prodotto interno lordo, quindi fino a circa 37 miliardi di euro.

Nonostante l’ordine del giorno fosse stato approvato a larga maggioranza, con 391 voti favorevoli e 19 contrari, nei giorni successivi molti esponenti dei partiti che avevano sostenuto l’aumento della spesa hanno iniziato a esprimere dubbi sulla possibilità di approvare un testo identico al Senato, dove mercoledì prossimo è in programma il voto definitivo sul decreto.

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Il Movimento 5 Stelle è il partito più scettico in merito all’aumento delle spese militari. In un’intervista alla Stampa, il leader Giuseppe Conte ha detto che il suo partito non potrebbe «assecondare un voto che individuasse come prioritario l’incremento delle spese militari a carico del nostro bilancio nazionale. In questo caso il Movimento non potrebbe fare altro che votare contro».

Conte ha detto che in aula ogni partito farà le sue scelte e che le spese vanno razionalizzate e non moltiplicate: «In un momento come quello attuale di caro-bollette, dopo due anni di pandemia, e con la recessione che si farà sentire sulla pelle di famiglie e imprese, non si capisce per quale motivo le priorità debbano essere le spese militari».

Anche molti esponenti della Lega, pur con toni meno perentori rispetto a Conte, non sembrano essere d’accordo con l’aumento delle spese militari. Dopo l’intervento di Draghi in Parlamento, il leader leghista Matteo Salvini ha detto che le armi «non sono mai la soluzione».

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Negli ultimi giorni anche alcuni parlamentari del Partito Democratico hanno chiesto ulteriori riflessioni all’interno del partito prima di votare l’aumento delle spese militari. Chi cercherà di approfittare delle possibili divisioni nella maggioranza sarà probabilmente Fratelli d’Italia, che ha presentato un ordine del giorno al Senato per chiedere il rispetto dell’ordine del giorno già approvato alla Camera.

Non è ancora chiaro come si muoverà il governo. Secondo diversi osservatori, si stanno valutando diverse ipotesi: la prima è il ricorso al voto di fiducia che costringerebbe i senatori a votare il testo del decreto Ucraina approvato dalla Camera, con allegato l’ordine del giorno del 16 marzo, senza la possibilità di votare emendamenti e ordini del giorno, e che in caso di mancata approvazione causerebbe la caduta del governo. Ma con il voto di fiducia il problema sarebbe solo rinviato di una settimana, quando in occasione della discussione del DEF – il documento di programmazione economica e finanziaria – dovranno essere valutate e votate le previsioni di spesa, anche quelle legate agli armamenti.

La seconda ipotesi è l’accordo su un testo condiviso tra tutta la maggioranza. «Troveremo una soluzione», ha detto il segretario del Partito Democratico Enrico Letta, anche se non sembra essere un obiettivo semplice, per come si sono messe le cose. Una terza ipotesi sarebbe il parere favorevole del governo all’ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia: in questo modo l’aumento delle spese militari verrebbe approvato a maggioranza, anche senza il voto favorevole del Movimento 5 Stelle, ma con inevitabili conseguenze politiche difficili da prevedere.