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  • Domenica 6 marzo 2022

L’Europa vuole riarmarsi

Dopo decenni passati a ridurre le spese militari, l'invasione russa dell'Ucraina sta cambiando tutti i piani

Un gruppo di soldati dell'esercito belga durante una recente esercitazione (AP Photo/Olivier Matthys)
Un gruppo di soldati dell'esercito belga durante una recente esercitazione (AP Photo/Olivier Matthys)

L’invasione della Russia in Ucraina sembra avere dato inizio a trasformazioni di lungo periodo molto più profonde di quelle che sono immediatamente visibili oggi, che molto probabilmente contribuiranno a cambiare in maniera radicale l’intero continente europeo. Tra queste ce n’è una per ora solo annunciata, e che potrebbe concretizzarsi nei prossimi anni. Diversi governi europei hanno annunciato l’intenzione di voler aumentare le proprie spese militari, dopo una riduzione che proseguiva dagli anni Settanta e che solo di recente aveva subìto una leggera frenata.

Per il particolare momento storico che stiamo attraversando, questi annunci sono stati accolti con pochissime polemiche, una cosa difficilmente immaginabile fino a due settimane fa: un segno che anche le cosiddette “società civili” dei vari paesi europei stanno percependo enormi preoccupazioni riguardo una politica estera russa sempre più aggressiva.

«Gli europei si stanno rendendo conto che vivono in un posto dove la guerra non è più impossibile», ha scritto la commentatrice Anne Applebaum in un lungo articolo sull’Atlantic. E i governi stanno agendo di conseguenza.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, i principali paesi europei hanno più che dimezzato la quota del PIL che assegnavano alle spese militari, protetti sia da una solida alleanza militare con gli Stati Uniti – cioè il paese con l’esercito di gran lunga più potente al mondo – sia dal processo di integrazione politica, sociale ed economica che portò alla nascita dell’Unione Europea.

Fino a pochi giorni fa la guerra era considerata una possibilità remota, che al massimo poteva riguardare zone del mondo lontane, o al massimo un pezzo di Europa considerato periferico e tutto sommato erede di una storia a sé, come la penisola balcanica.

Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica in poi, l’Europa ha provato a costruire un nuovo rapporto con la Russia, cercando di avvicinarla al modello economico-sociale europeo che prevedeva, implicitamente, un graduale disarmo. E anche quando il presidente russo Vladimir Putin ha aumentato l’aggressività della sua politica estera, «l’Europa occidentale lo ha osservato un po’ come il mondo faceva col cambiamento climatico», hanno scritto gli analisti Max Bergmann e Benjamin Haddad su Politico: cioè come «una minaccia intangibile, degna di un serio dibattito ma nulla di davvero esistenziale o che potesse provocare cambiamenti epocali».

Gli unici che negli ultimi anni avevano provato – senza successo – ad avanzare qualche dubbio su questo approccio erano stati Estonia, Lettonia e Lituania: cioè tre paesi europei che avevano fatto parte dell’Unione Sovietica e che per ragioni puramente geografiche si sono sentiti di nuovo minacciati dalle ambizioni di Putin di costruire un’area di influenza nei territori dell’ex Unione Sovietica.

Nel 2020 la percentuale del PIL che l’Estonia spendeva per la propria difesa era la più alta dell’Unione, il 2,5 per cento, contro una media europea dell’1,3 per cento (l’Italia raggiungeva faticosamente l’1,4 per cento).

Ora però sempre più paesi vogliono imitare l’Estonia. Qualche giorno fa il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato la creazione di un nuovo fondo per la difesa da 100 miliardi di euro e l’intenzione di aumentare rapidamente le proprie spese per la difesa a superare il 2 per cento rispetto al PIL, dall’attuale 1,53 per cento. Nei mesi scorsi i governi di Svezia, Paesi Bassi e Belgio avevano già programmato aumenti di spesa per la difesa, e in questi giorni hanno ribadito i propri impegni.

La Romania, un paese che faceva parte del Patto di Varsavia e che già oggi spende il 2,4 per cento in spese militari pur essendo poverissima, ha annunciato di voler superare la soglia del 2,5 per cento.

In certi casi non sarà semplice. Negli ultimi anni ci sono stati grandi scandali che hanno riguardato eserciti europei, come quello austriaco o quello spagnolo; ed è stata rivelata l’inadeguatezza di altri, come nel caso tedesco.

Il dibattito si estenderà probabilmente alle istituzioni europee. Per il 13 e 14 marzo era già in programma una riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea per discutere dell’astrattissimo Strategic Compass (PDF), un documento pubblicato lo scorso autunno dal Servizio europeo per l’azione esterna che avrebbe dovuto rilanciare la necessità di una maggiore cooperazione dei paesi europei nella politica di difesa. La prospettiva di un esercito comune europeo rimane molto remota, per ragioni note da tempo – chi dovrebbe guidarlo? Come verrebbe finanziato? Come si integrerebbe con gli eserciti nazionali? – ma sembra inevitabile che rientrerà nel dibattito.

Gli sviluppi dei prossimi mesi dipenderanno molto, anche, da come si muoverà l’opinione pubblica: aumentare le spese militari significa inevitabilmente sottrarre fondi da altre voci di spesa, cosa che potrebbe scontentare qualche partito o qualche pezzo di opinione pubblica. «Non è ancora chiaro come si sposterà il consenso pubblico nelle prossime settimane, ma l’invasione dell’Ucraina è stato uno shock per tutta la società. E se la Russia vincerà la guerra, cosa molto probabile, chi verrà dopo?», si è chiesto l’analista Stefan Meister parlando col Washington Post.