Per la Transnistria è difficile decidere da che parte stare

La piccola repubblica filorussa non ha preso una posizione ufficiale sulla guerra in Ucraina, e forse non può fare diversamente

di Luca Misculin con foto di Valentina Lovato

(Valentina Lovato/Il Post)
(Valentina Lovato/Il Post)

Nella piccola e autoproclamata repubblica della Transnistria, una regione della Moldavia la cui indipendenza non è riconosciuta da nessun paese al mondo, ci sono pochi segnali che a qualche chilometro di distanza sia in corso una guerra.

Mykolaiv, una delle città ucraine più bombardate dalle forze russe, dista appena 150 chilometri dall’autoproclamata capitale della regione, Tiraspol. La Transnistria (come la Moldavia) faceva parte dell’Unione Sovietica e oggi deve la sua stessa esistenza agli aiuti economici e militari che riceve dalla Russia. Da settimane circolano timori che l’esercito russo possa usare il territorio transnistriano come base per attaccare l’Ucraina da sud.

A Tiraspol però non ci sono segnali di una situazione eccezionale e la vita dei transnistriani sembra andare avanti in maniera ordinaria: come sempre, i ragazzi giocano a calcio nel parco dedicato a Caterina II, l’imperatrice russa considerata la rifondatrice della città, e persone di ogni età spendono nei bar e ristoranti i loro rubli locali, che hanno valore solo in questa sottile striscia di terra lunga circa 400 chilometri schiacciata fra il resto della Moldavia e l’Ucraina.

(Valentina Lovato/Il Post)

I legami tra i 500mila abitanti della Transnistria e la Russia sono stretti, ma lo sono anche quelli con l’Ucraina.

La Russia paga una pensione supplementare agli anziani transnistriani, fornisce loro gas a prezzi calmierati per riscaldare le case. Tiraspol è piena di statue dedicate a generali sovietici e bandiere russe. Eppure circa un quinto delle persone che abitano nella piccola repubblica autoproclamata ha la cittadinanza ucraina, e conosce parenti e amici costretti a scappare dalle proprie case a causa dell’invasione russa. Tenere insieme le due cose non è semplice: è per questo, forse, che il governo transnistriano non ha condannato né appoggiato l’invasione dell’Ucraina. È come se tutto il territorio vivesse un momento di sospensione.

Qualche traccia lasciata dalla guerra in corso però si vede. A pochi passi dal centro della città un’associazione di volontari, My ryadom (мы рядом, “Vi siamo vicini”), sta aiutando il governo autoproclamato a coordinare l’accoglienza delle persone che arrivano in Transnistria dopo essere scappate dall’Ucraina.

Secondo i dati a disposizione dell’associazione, al momento si trovano in Transnistria circa 9.500 profughi arrivati dall’Ucraina. Dmitri Voroniuc, responsabile dei volontari di My ryadom, racconta che molti di loro scelgono di venire in Transnistria «perché qui il costo della vita è inferiore a quello di Chișinău», la capitale della Moldavia, o perché hanno già una rete di famigliari e amici su cui possono contare.

È il caso di Natalia, che è arrivata da Odessa con la propria auto pochi giorni fa insieme al suo bambino di nove mesi. È venuta qui perché suo marito è nato in Transnistria e ha ancora diversi parenti che abitano in zona. Da My ryadom riceve pannolini e pappe per il bambino, che insieme ad altri prodotti per neonati sono sparsi un po’ in tutta la sede dell’associazione. Come molti altri ucraini che si sono fermati in Moldavia, anche Natalia spera di tornare presto a Odessa, dove ha lasciato la sua casa e i suoi genitori.

Il materiale che My ryadom distribuisce ai profughi proviene principalmente da donazioni private o da aziende locali: anche perché la Transnistria è sostanzialmente isolata a livello politico e istituzionale, e le ong internazionali che si sono mobilitate per gestire l’accoglienza dei profughi in Moldavia, per esempio, qui non hanno accesso. My ryadom si basa sostanzialmente su quello che riceve da persone come Sergei e Natalia, una coppia di anziani che ha donato qualche coperta e scarpe per bambini.

(Valentina Lovato/Il Post)

Sergei ha lavorato come direttore d’orchestra e parla un discreto italiano, ma sembra più interessato a parlare del suo vecchio lavoro che del momento che sta vivendo questo pezzo di mondo.

«Siamo assolutamente sicuri che le forze di peacekeeping che lavorano qui sapranno valutare la situazione», spiega sua moglie Natalia riferendosi alle centinaia di soldati russi stazionati in Transnistria dalla fine della guerra civile che le forze filorusse combatterono contro quelle filomoldave, nel 1992.

Sergei e Natalia (Valentina Lovato/Il Post)

L’argomento della guerra viene trattato da tutti con grandissima circospezione. Alla domanda se sia semplice, per chi vive in Transnistria, tenere separato il fatto che le persone che stanno scappando dall’Ucraina lo fanno per via dell’invasione di un paese alleato come la Russia, Voroniuc risponde che i transnistriani empatizzano con gli ucraini perché a loro volta scapparono dalle proprie case durante la guerra civile, e che la «politica» e l’obbligo «morale» di aiutare persone in difficoltà rimangono su due piani diversi.

È singolare che Voroniuc definisca come una questione «politica» una guerra che in poche settimane ha causato migliaia di morti e milioni di profughi. Ma verosimilmente non ha molta scelta: My ryadom è ospite negli spazi di Obnovlenie, un partito politico moderato, per gli standard locali, ma allineato alla causa indipendentista e filorussa.

Dmitri Voroniuc (Valentina Lovato/Il Post)

Anche l’autoproclamato governo della Transnistria è stato molto attento con le parole quando si è trattato di commentare l’invasione della Russia in Ucraina. L’autoproclamato presidente della Transnistria Vadim Krasnoselsky, che fra l’altro ha origini ucraine, ha definito «spiacevole» e «tragica» la guerra in Ucraina, ma non ha mai indicato la Russia come responsabile dell’invasione. La presenza delle forze di sicurezza transnistriane per le strade della capitale, Tiraspol, è assai limitata. «I media transnistriani parlano di quanti profughi arrivano e di come vengano assistiti dal governo, ma non danno aggiornamenti sullo sviluppo della guerra», racconta al Post Luiza Dorohsenco, giornalista e direttrice di un centro sull’informazione indipendente a Tiraspol.

Alcuni osservatori hanno ipotizzato che l’equidistanza che sta provando a tenere la Transnistria sia anche dovuta agli interessi commerciali di Sheriff, un gruppo di aziende che fanno capo a una specie di oligarca filorusso e che comprende una catena di negozi, stazioni di benzina e persino una squadra di calcio che qualche mese fa ha battuto il Real Madrid nella fase a gironi della Champions League. Un intervento a fianco della Russia destabilizzerebbe un’economia già fragile e poverissima: in estrema sintesi, farebbe perdere allo Sheriff una montagna di soldi.

(Valentina Lovato/Il Post)

«Non abbiamo segnali che facciano sospettare che la Transnistria, le sue forze di sicurezza o i soldati russi lì presenti si stiano preparando per attaccare l’Ucraina», ha detto di recente il ministro degli Esteri moldavo, Nicu Popescu. «Certo, se i russi si presentassero dai transnistriani dicendo che gli devono un favore, sarebbe difficile dire di no», ha detto a Defense News l’analista Thomas de Waal, esperto di Europa orientale del Carnegie Europe.

Girando per le strade di Tiraspol e leggendo gli ultimi sviluppi sui media locali nessuno sembra pensare a un pericolo imminente. Sotto la superficie, però, qualcosa forse si sta muovendo. Anja (nome di fantasia) racconta che i suoi genitori, proprietari di due negozi di elettronica, sono spaventati all’idea che il conflitto possa estendersi alla Transnistria, «e che qui possa succedere quello che è successo a Odessa o a Kharkiv, in Ucraina: è una cosa che li rende molto ansiosi. Nel caso, scapperemo nel sud della Moldavia, da dove viene la mia famiglia».