Molte aziende italiane sono ferme

A causa della sospensione dell'importazione di materie prime e dell'aumento del prezzo dell'energia, che ha annullato i margini di guadagno in molti settori

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

L’invasione dell’esercito russo in Ucraina sta avendo molte conseguenze sull’economia italiana, in particolare sul prezzo dell’energia e sull’approvvigionamento delle materie prime. Il costo del gas è cresciuto in modo significativo – all’inizio di marzo di quasi otto volte rispetto a un anno fa – e la benzina e il gasolio hanno superato la soglia di due euro al litro. Inoltre la guerra ha bloccato l’importazione di molte materie prime che arrivavano in Europa dall’Ucraina e dalla Russia, soprattutto ghisa, cromo, nichel e argilla.

In alcuni casi, vale per il gas, il prezzo era già in forte crescita dall’autunno e ha avuto un ulteriore aumento dopo il 24 febbraio, quando il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato all’esercito di attaccare l’Ucraina. Per i carburanti, invece, è più complicato stabilire i motivi dei rincari. Ci sono ragioni direttamente riconducibili alla guerra, altre più indirette: il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha dato la colpa a interventi di speculazione sui mercati, al punto da definire gli aumenti «una colossale truffa». A prescindere dalle responsabilità, l’aumento del costo dell’energia e dei carburanti ha avuto effetti piuttosto concreti sul lavoro di molte aziende italiane, costrette a fermare diverse linee di produzione.

I settori energivori, cioè che consumano grandi quantità di energia, sono i più esposti all’andamento dei prezzi: i produttori di acciaio e alluminio, le fonderie, i cementifici, chi produce ceramiche, l’industria del vetro, le cartiere, ma anche la chimica e i laboratori degli artigiani.

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Già alla fine del 2021 le aziende di questi settori avevano ricevuto bollette molto più alte rispetto ai mesi precedenti e avevano chiesto al governo un sostegno economico. Ma la situazione è peggiorata dopo l’invasione russa in Ucraina non tanto per l’atteso aumento dei prezzi, quanto per la loro volatilità, in altre parole per un andamento caratterizzato dall’alternanza tra forti crescite e rapidi cali non preventivabili.

La prima mossa di molte aziende è stata limitare la produzione allo stretto necessario, rallentare nei reparti che consumano più energia, chiedere ai dipendenti di lavorare anche nel weekend, quando l’energia costa meno. Quando non è possibile fare tutto questo, le aziende sono state costrette a chiudere temporaneamente intere linee e chiedere la cassa integrazione.

Secondo una rilevazione fatta dalla Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl, in tutta Italia sono 26mila i lavoratori coinvolti nella sospensione della produzione decisa dalle aziende per via dell’aumento dei prezzi. L’elenco è molto variabile perché le chiusure sono spesso temporanee in quanto seguono la crescita e il calo dei prezzi. Tuttavia, sostiene Roberto Benaglia, segretario generale della Fim-Cisl, se il conflitto non si fermerà c’è il rischio che i 26mila lavoratori attualmente coinvolti diventino il triplo o il quadruplo nel giro di poche settimane.

La regione in cui sono state segnalate più chiusure è la Lombardia. Secondo una stima dell’assessorato regionale alle Attività produttive, sono 310 le aziende lombarde che hanno fermato la produzione a causa dei costi energetici. Alcune hanno riaperto almeno parzialmente, altre hanno provato a ripartire e negli ultimi giorni si sono fermate di nuovo. L’assessore Guido Guidesi ha chiesto al governo di mettere un tetto al prezzo del gas a livello nazionale e un taglio alle imposte indirette sui carburanti, ricalcando le rivendicazioni delle associazioni che rappresentano gli imprenditori.

(Christopher Furlong/Getty Images)

Una delle aziende costrette a fermare temporaneamente alcuni stabilimenti è il gruppo Pro-Gest con sede a Treviso, il più importante in Italia per la produzione di carta per ondulato indispensabile per moltissimi usi, principalmente per gli imballaggi.

Il processo industriale per la produzione di questo tipo di carta comporta l’utilizzo di una grande quantità di energia, soprattutto di gas. Il prezzo della carta, però, è fisso e viene stabilito ogni mese. Con gli improvvisi aumenti registrati dalla fine di febbraio, i costi di produzione hanno superato i guadagni: per produrre una tonnellata di carta venduta a 680 euro servivano 750 euro di soli costi energetici.

Per questo Pro-Gest ha sospeso le attività in sei cartiere, dove viene prodotta carta ondulata e scatole, mentre ha mantenuto attivi gli altri venti stabilimenti. «Dopo circa una settimana di sospensione delle attività delle cartiere siamo progressivamente riusciti a riprendere la produzione», dice Francesco Zago, amministratore delegato di Pro-Gest. Negli ultimi giorni c’è stata una relativa stabilizzazione dei prezzi dell’energia che Zago definisce fragile: «La dipendenza italiana dal gas russo oltre a essere un elemento di debolezza da un punto di vista strategico crea anche importanti problemi di competitività rispetto ad altri paesi europei. Dove gli stati hanno saputo differenziare maggiormente le proprie fonti infatti le aziende stanno subendo meno gli effetti di questa crisi».

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Secondo i dati della Fim, il settore che ha dovuto chiedere più cassa integrazione è la siderurgia. In Veneto e in Lombardia, la maggior parte delle acciaierie e delle fonderie ha ridotto i turni di lavoro. È successo a grandi realtà industriali come Acciaierie Venete, il gruppo Pittini, fonderie Zanardi, Ferriera Valsider e Nimk. Oltre all’aumento del prezzo del gas, in questo settore pesa la mancanza di materie prime.

Il presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, ha spiegato al Corriere del Veneto che le aziende stavano osservando da tempo i rincari, e in molti casi erano state introdotte contromisure per bilanciare le perdite, ma con l’inizio della guerra in Ucraina c’è stato un deciso peggioramento. «È difficile prevedere l’evoluzione delle prossime settimane, tale è stata la rapidità con cui la situazione è cambiata nell’ultimo mese», ha detto Carraro. «Siamo preoccupati. Veniamo da due anni di emergenza sanitaria, era il momento della ripresa, della fiducia, e questa congiuntura mette a rischio la competitività a medio termine delle nostre imprese».

Secondo Loris Scarpa, segretario generale della Fiom di Padova, gli effetti più preoccupanti dovuti alla sospensione delle importazioni non sono ancora visibili: per ora l’impatto negativo è stato subìto dalle aziende che attendevano direttamente le materie prime, ma nelle prossime settimane le conseguenze potrebbero ricadere su un indotto piuttosto vasto. Se non arriva la ghisa, spiega Scarpa con un esempio, le fonderie non riusciranno a produrre componenti indispensabili per i produttori di macchine agricole che devono a loro volta consegnare agli agricoltori. «Moltiplichiamo questo rischio per altri componenti come le schede elettroniche e ci rendiamo conto di quanto la filiera sia fragile», dice. «Per ora molte imprese stanno facendo ricorso alle scorte contenute nei magazzini: vedremo tra qualche mese cosa succederà».

Un caso concreto di interruzione della filiera della produzione di automobili è stato raccontato dal giornale locale la Sentinella del Canavese che ha intervistato la presidente di Confindustria Canavese Patrizia Paglia, imprenditrice a capo di Iltar-Italbox, azienda di Bairo, in provincia di Torino, tra le più importanti in Europa per la progettazione e lo stampaggio di elementi e componenti in polipropilene, polietilene, polistirolo espanso soprattutto per le auto. In Ucraina, ha spiegato Paglia, ci sono 40 fabbriche che rappresentano un quinto della fornitura europea di cablaggi. «Senza cablaggi un’auto non può essere costruita e perciò in queste settimane alcuni stabilimenti di Volkswagen, Audi e Bmw si stanno fermando perché per certi modelli di vetture non hanno fonti di approvvigionamento alternative di cablaggi. Il fermo degli stabilimenti porta inevitabilmente al fermo dei fornitori di tutti gli altri componenti».

La mancanza dei cablaggi in arrivo dall’Ucraina ha fermato la linea produttiva della Huracàn, una delle auto più note della Lamborghini, azienda di Sant’Agata Bolognese, in provincia di Bologna. Si è fermata anche la Automotive Lighting di Tolmezzo, in provincia di Udine, che produce fanali per auto: la cassa integrazione è stata aperta per 930 dipendenti.

L’incertezza della situazione in Ucraina sta portando molte aziende a cercare alternative agli approvvigionamenti nel più breve tempo possibile, anche se non è semplice trovare una soluzione in poco tempo: negli altri paesi europei, le aziende concorrenti hanno lo stesso problema e l’improvvisa crescita della domanda potrebbe mettere sotto pressione gli esportatori di materie prime rimasti, oltre che causare un aumento dei prezzi.

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Dal punto di vista energetico, invece, l’Italia sta cercando di fare nuovi accordi sull’importazione di gas naturale con l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia e in questo modo cercare di abbassare i costi. L’Italia usa moltissimo il gas per la produzione di energia (per il 42 per cento nel 2020), importandolo quasi tutto (il 95 per cento nel 2021), e in larga parte dalla Russia (il 40 per cento delle importazioni di gas nel 2021).

Il governo italiano ha progettato di favorire lo sfruttamento di fonti rinnovabili di energia e di aumentare la produzione nazionale di gas. È una strategia che passa anche per l’acquisto da altri paesi di almeno la metà dei 29 miliardi di metri cubi di gas che l’anno scorso furono acquistati dalla Russia. L’obiettivo potrebbe essere raggiunto entro il 2023, anche perché nel breve termine è impossibile fare a meno del gas.

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Nell’ultimo decreto approvato dal governo venerdì, sono stati estesi alcuni sostegni economici già previsti alla fine dello scorso anno con un credito di imposta dal 20 al 25 per cento per le imprese energivore e dal 15 al 20 per cento per quelle che consumano molto gas naturale. Le imprese possono inoltre chiedere ai fornitori di energia di rateizzare le bollette per i consumi relativi ai mesi di maggio e giugno, con un massimo di 24 rate mensili.

Il decreto non è stato accolto con favore dalle imprese, anzi Confindustria lo ha definito deludente. Secondo l’associazione che rappresenta gli industriali, l’intervento del governo «non risolve, strutturalmente, il problema dei rincari dei prezzi energetici». Tra le altre cose, il taglio delle accise causerà un effetto probabilmente sottovalutato dal governo e denunciato da Assopetroli-Assoenergia: a causa del taglio delle accise, da lunedì i carburanti immagazzinati precedentemente in depositi e impianti subiranno una forte svalutazione rispetto al prezzo di carico. L’associazione spiega che «in assenza di correttivi immediati» si rischia un danno economico «enorme al sistema distributivo».