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  • Venerdì 4 marzo 2022

I media russi che chiudono perché non raccontano la guerra come vorrebbe il governo

In Russia la censura sull'informazione sta diventando sempre più stringente, e sta iniziando a colpire anche i giornali internazionali

I lavoratori di Dozhd nel corso dell'ultima trasmissione in diretta prima che il canale chiudesse per protesta contro la censura del governo russo
I lavoratori di Dozhd nel corso dell'ultima trasmissione in diretta prima che il canale chiudesse per protesta contro la censura del governo russo

Negli ultimi giorni diversi media russi hanno annunciato di aver chiuso o di dover chiudere a breve a causa della censura messa in pratica dalle autorità russe contro chi non rispetta la versione governativa sull’invasione dell’Ucraina. In alcuni casi le chiusure sono state decise dall’agenzia statale delle comunicazioni, Roskomnadzor, che ha accusato i media di aver incoraggiato le proteste che si erano svolte in varie città russe dopo l’inizio dell’invasione.

L’atteggiamento repressivo del governo russo potrebbe inoltre peggiorare nei prossimi giorni a causa di una controversa norma all’esame del parlamento con cui si vuole punire la diffusione di quelle che il regime definisce “notizie false”: un modo per indicare le notizie che sono in contrasto con la versione governativa.

Che in Russia ci siano grossi problemi per la libertà di informazione non è una novità. Specialmente negli ultimi dieci anni il controllo del governo sui media, su ciò che possono o non possono dire soprattutto sulle politiche del presidente Vladimir Putin, è diventato sempre più stringente, anche a causa di una dura legge del 2019 che punisce quasi ogni forma di dissenso contro il governo.

La situazione è precipitata con l’inizio della guerra. Moltissimi tra giornali, tv e siti hanno raccontato l’invasione rispettando la propaganda del governo, parlandone come di «un’operazione speciale» per difendere gli abitanti delle repubbliche autoproclamate del Donbass, Donetsk e Luhansk. I pochi media russi indipendenti hanno inizialmente continuato a raccontare le notizie in modo imparziale, ma nel giro di pochi giorni le cose sono cambiate drasticamente, e la loro stessa esistenza è ora considerata a rischio.

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I primi casi di censura hanno colpito una storica radio, L’Eco di Mosca (Ekho Moskvy), e il canale televisivo Dozhd (anche conosciuto come Rain TV).

Martedì sera l’agenzia statale delle comunicazioni ha annunciato il blocco delle trasmissioni della radio e del sito del canale televisivo. L’accusa contro i due media era di aver diffuso informazioni che invitano la popolazione «ad attività estremiste e violenze» e a diffondere informazioni false sulle «operazione speciali dell’esercito russo in Ucraina» (quest’ultima è l’espressione che finora il governo russo ha usato per parlare dell’attacco all’Ucraina, rifiutandosi sempre di usare “invasione”).

Dopo il blocco, L’Eco di Mosca ha annunciato la vendita immediata della radio e del suo sito Internet.

Dozhd, le cui trasmissioni invece non erano state interrotte, ha deciso di chiudere per protesta. Giovedì sera tutti i lavoratori del canale hanno abbandonato lo studio televisivo in diretta. Al posto della trasmissione che stava andando in onda è stata trasmessa una versione del balletto Il Lago dei cigni di Pyotr Ilyich Tchaikovsky, così come fece nell’agosto nel 1991 la tv sovietica in seguito al fallito golpe contro l’allora presidente dell’URSS Michail Gorbaciov.

Giovedì l’agenzia statale delle comunicazioni ha annunciato sanzioni analoghe a quelle contro L’Eco di Mosca Dozhd anche nei confronti di diversi media internazionali. Ha detto che verrà bloccato l’accesso in Russia a testate giornalistiche straniere come BBC, Deutsche Welle e Radio Free Europe, oltre che Meduza, uno dei più noti siti indipendenti e antigovernativi russi. Il blocco di BBC, emittente pubblica britannica e uno dei più importanti media internazionali, arriva peraltro dopo che nei giorni scorsi il servizio aveva reso noto che gli utenti del suo sito in Russia erano triplicati nell’ultima settimana.

Sempre giovedì BBC ha annunciato di aver avviato due nuove frequenze radio a onde corte per trasmettere notizie in Russia e Ucraina. La trasmissione a onde corte era stata uno strumento fondamentale di comunicazione durante la Seconda guerra mondiale, perché permette di inviare segnali radio a grande distanza senza la necessità di molta potenza.

Oggi è usata soprattutto per le comunicazioni aeronautiche e tra i radioamatori, ma potrebbe rivelarsi utile in Russia e Ucraina per diffondere notizie nel caso in cui i conflitti arrechino danni alle infrastrutture di telecomunicazione, come accaduto con il bombardamento della torre della tv di Kiev.

Il colpo più duro alla libertà d’informazione potrebbe arrivare nei prossimi giorni. Venerdì infatti la Duma, la Camera bassa del parlamento russo, ha approvato una norma che impone fino a 15 anni di carcere per chi diffonde “notizie false” sulle operazioni militari in Ucraina. La norma, un emendamento al codice penale, per entrare in vigore dovrà essere approvata anche dalla Camera alta del Parlamento e firmata da Putin, ma non ci sono dubbi che ciò accadrà.

La proposta di legge era stata presentata in parlamento nei giorni scorsi dopo che le autorità russe avevano più volte accusato i paesi occidentali e i media indipendenti che non rispettavano la versione del governo di diffondere informazioni false sulle operazioni militari in Ucraina,  per “seminare discordia” tra il popolo russo. La norma prevede anche multe per chi scredita l’esercito russo o richiede sanzioni contro la Russia.

Dopo l’approvazione della Duma, Novaya Gazeta, uno dei principali giornali indipendenti russi il cui direttore aveva vinto l’anno scorso il premio Nobel per la Pace, ha annunciato che rimuoverà tutti i contenuti pubblicati sul suo sito in cui parlava delle operazioni in Ucraina come di una guerra, per il timore delle sanzioni previste dalla nuova norma, e che da oggi continuerà a scrivere delle conseguenze «socio-economiche» del conflitto, ma non delle operazioni militari.

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Poco prima dell’annuncio dei nuovi blocchi e della decisione della DumaColm Quinn, giornalista di Foreign Policy, aveva raccontato nella sua newsletter quotidiana di aver parlato con Alexey Kovalev di Meduza, il quale aveva detto di aspettarsi che una decisione del genere sarebbe arrivata presto e di credere che «quasi tutti i media indipendenti verranno chiusi nei prossimi giorni o nelle prossime settimane».

Secondo Kovalev questa serie di censure «sta spostando i media del paese verso il modello turco», dove non c’è un completo controllo dello stato, ma dove la libertà dei media è in una situazione critica da anni, soprattutto dopo il fallito tentativo di colpo di stato contro il presidente Erdoğan. Da allora infatti il governo turco ha arrestato diversi importanti giornalisti d’opposizione e ha fatto chiudere o costretto alla vendita alcuni dei più noti giornali critici nei suoi confronti.