Possiamo produrre più gas?

Lo vuole il governo per contrastare l'aumento dei costi dell'energia e la dipendenza dalle esportazioni russe, ma farlo in tempi brevi non sarà semplice

(Leon Neal/Getty Images)
(Leon Neal/Getty Images)

Venerdì 18 febbraio il governo ha annunciato alcune misure nel breve periodo per contenere l’aumento dei costi dell’energia e altri provvedimenti, nel medio-lungo periodo, per aumentare la produzione nazionale di gas in modo da rendere l’Italia meno esposta alle oscillazioni dei prezzi. Nel corso degli ultimi mesi, l’aumento dei prezzi dell’energia è stato accompagnato dalle incertezze provocate dalla crisi in Ucraina, e dalla necessità di ridurre la dipendenza dalle esportazioni di gas nel caso in cui la Russia decidesse di ridurre o interrompere le forniture di gas in Europa.

La notizia è stata ampiamente ripresa e dibattuta, ma come hanno fatto notare numerosi analisti saranno necessari anni prima di poter aumentare sensibilmente la produzione nazionale di gas, e anche nella migliore delle ipotesi l’incremento non sarà tale da incidere in modo significativo e diretto sulle bollette, specialmente per le famiglie.

Il governo è orientato a studiare comunque sistemi per rendere più economico il gas derivante dalla produzione nazionale, in modo da poterlo offrire alle aziende che consumano molta energia (“energivore”) e alle piccole medie imprese. Le più esposte sono infatti le aziende nei settori della produzione del vetro, dei metalli, della ceramica, del cemento, del legno e della carta. Secondo il Centro studi di Confindustria, nel 2022 le imprese spenderanno infatti 37 miliardi di euro per l’energia: nel 2018 la spesa era stata di 8 miliardi e nel 2020 di 20 miliardi.

Consumo e produzione
Negli ultimi anni l’Italia ha consumato mediamente 70 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. La cifra comprende il consumo diretto da parte di aziende e privati, anche per i riscaldamenti, e l’impiego del gas per la produzione di energia elettrica.

La maggior parte del gas utilizzato nel nostro paese viene importato dall’estero, mentre appena 3,2 miliardi di metri cubi derivano dalla produzione nazionale. Una ventina di anni fa i giacimenti italiani producevano fino a 20 miliardi di metri cubi all’anno, prima che vari siti andassero esauriti o venisse sospesa l’estrazione per motivi ambientali o di scarsa convenienza.

I pozzi italiani
In Italia i pozzi produttivi per il gas sono 1.298. Di questi, 514 sono “eroganti” e quindi impiegati abitualmente per l’estrazione, mentre 752 sono “non eroganti”, quindi formalmente attivi, ma al momento non impiegati (la condizione erogante/non erogante varia spesso nel corso di vita di un pozzo); i restanti sono pozzi attivi impiegati per scopi diversi, come controllo dei flussi e manutenzione.

I pozzi produttivi sono distribuiti in un’ampia area del nostro paese, sia sotto il terreno sia sotto il fondale marino, dove l’estrazione del gas avviene tramite piattaforme. I pozzi più ricchi di gas si trovano nel mare Adriatico settentrionale e centrale, grossomodo dalle coste del Veneto fino a quelle del Molise. Di recente si è anche lavorato all’intensificazione dell’estrazione nel Canale di Sicilia, la porzione del mar Mediterraneo compresa tra la costa sud dell’isola e la Tunisia.

(Ministero della Transizione ecologica)

Aumento della produzione
È dai pozzi produttivi che si estraggono i 3,2 miliardi di metri cubi di gas all’anno ed è da quelli già autorizzati, attivi o in fase di completamento, che il governo confida di ottenere maggiori quantità di gas per attenuare almeno in parte la dipendenza dalle forniture estere. Aumentare la produzione non è però semplice, perché richiede in alcuni casi un aggiornamento dei sistemi impiegati per estrarre il gas, dai macchinari alle infrastrutture per il suo trasporto, o di attendere di avere completamente operativi pozzi in fase di costruzione.

Durante la conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri di venerdì, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha citato espressamente i giacimenti Cassiopea e Argo, che si trovano nel Canale di Sicilia e che dovrebbero diventare pienamente operativi entro la prima metà del 2024. I pozzi nella zona sono gestiti da Eni, che sfrutterà il già esistente impianto di Gela, in provincia di Caltanissetta, per trattare il gas.

I pozzi saranno gestiti con uno sviluppo interamente sottomarino, compresa la linea di trasporto del gas lunga 60 chilometri che li metterà in collegamento con l’impianto di Gela. Il progetto prevede inoltre attività di risanamento e di riutilizzo di alcune parti del grande complesso dell’Eni a Gela, che soprattutto nei suoi primi decenni di utilizzo ebbe un forte impatto sull’ambiente e sul territorio.

(Eni)

I piani del governo sull’aumento della produzione nazionale in altre aree sono invece più vaghi. Nella conferenza stampa, Cingolani ha citato anche i pozzi «nella Marche e nel ravennate», ma senza fornire ulteriori dettagli.

Marche ed Emilia-Romagna contano quasi 200 pozzi eroganti sul territorio e circa 160 in mare. Eni è la società con la maggior quota di pozzi gestiti e di gas estratto, ma sono comunque presenti diverse altre aziende come Shell, Total, Energean e Gas Plus.

Considerate le capacità e le disponibilità, buona parte dell’aumento della produzione (fino all’80 per cento) dovrebbe derivare da Cassiopea e Argo, il resto dai pozzi nel ravennate e nelle Marche e potenzialmente qualcosa dalla ricerca di nuovi giacimenti nello Ionio.

Limitazioni
Cingolani ha detto espressamente che l’aumento della produzione nazionale di gas dovrà derivare dai pozzi già attivi o comunque esistenti, senza l’apertura di nuovi giacimenti. La precisazione è probabilmente derivata dalla recente presentazione del “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee”, un lungo documento che indica come gestire il passaggio a fonti di energia sostenibili o comunque meno inquinanti, a seconda delle caratteristiche dei territori e dei rischi ambientali.

Il documento rende improbabile l’avvio di attività e investimenti di cui si parla da anni per aumentare la capacità estrattiva dell’Italia, non solo per il gas, ma anche per altri idrocarburi. Per ora il governo non ha fatto riferimento al Piano, ma potrebbero essere necessarie alcune deroghe per poter raggiungere gli obiettivi di potenziamento.

Ci sono poi limitazioni di altro tipo in vigore da tempo e che riguardano l’Adriatico settentrionale, una delle aree più ricche di gas. Le attività di estrazione nell’area sono estremamente limitate specialmente verso la zona di Venezia, soprattutto dall’articolo 8 della legge n. 133 del 2008, che vietò in modo piuttosto categorico l’avvio o il proseguimento delle attività estrattive. Il divieto derivava da un temuto rischio di abbassamento del suolo (“subsidenza”), che avrebbe potuto interessare un’area estremamente delicata come quella della Laguna veneta.

La subsidenza è un fenomeno naturale che si può verificare in presenza di terreni argillosi, che tendono a compattarsi tra loro sprofondando di qualche millimetro ogni anno. Lungo le coste dell’Adriatico settentrionale ci sono molte aree che risentono del fenomeno, come quelle del delta del Po e più a nord della Laguna veneta. Le attività estrattive (non solo di gas) possono in alcuni casi accelerare questo processo, anche se con le nuove tecniche e nel caso dei pozzi al largo i rischi sono molto bassi, e per questo a partire dagli anni Sessanta furono decise varie limitazioni.

In più occasioni si è discusso sull’opportunità di rivedere la legge del 2008, prendendo in considerazione ciò che avviene a poca distanza dal confine italiano, nelle acque della Croazia. Alcuni giacimenti di gas sono ampiamente utilizzati per le attività estrattive da parte croata, a pochi chilometri di distanza dal punto in cui iniziano le limitazioni in Italia.

Quanto gas?
È difficile fare una stima sull’effettiva quantità di gas che si trova nei giacimenti italiani, anche perché i divieti non sempre consentono di effettuare le attività di ricerca e analisi necessarie, comunque invasive dal punto di vista ambientale (seppure molto meno rispetto a un tempo grazie alle nuove tecnologie di ricerca). Le stime variano molto e oscillano tra i circa 90 miliardi di metri cubi di gas dai pozzi noti ad alcune centinaia, prendendo in considerazione altre aree da esplorare.

Nel caso in cui si potesse attingere a una maggiore quantità di gas, non si raggiungerebbe comunque una produzione nazionale tale da ridurre sensibilmente la dipendenza dall’estero. Cingolani ha spiegato che i circa 2 miliardi di metri cubi di gas aggiuntivi potrebbero essere venduti a un «prezzo più vantaggioso rispetto a quello normale di mercato», in modo particolare alle «aziende energivore e alle piccole e medie imprese».

Tempi
Considerati i tempi di aggiornamento degli impianti e quelli necessari per terminare i pozzi in fase di attivazione, i primi benefici potrebbero non vedersi prima di uno o due anni, molto difficilmente in tempo per la prossima stagione fredda.

In vista del prossimo autunno-inverno, il governo ha detto di voler lavorare meglio sulle riserve di gas, cercando di partire sempre a inizio stagione fredda con minimo il 90 per cento del rifornimento. All’inizio di questa stagione, il rifornimento era di poco superiore all’80 per cento, a inizio febbraio era di poco al di sotto del 50 per cento. Il problema delle riserve ridotte quest’anno ha comunque riguardato buona parte dell’Europa, a causa dell’alta domanda globale di gas e dei problemi di approvvigionamento alla fine dell’estate dello scorso anno.

Alternative
Il governo confida comunque che la domanda di gas possa in certa misura ridursi man mano che sarà disponibile energia elettrica da altre fonti, a minore impatto dal punto di vista ambientale. Il Consiglio dei ministri si è impegnato a semplificare le procedure per richiedere e ottenere i permessi necessari per l’installazione di nuovi impianti fotovoltaici, sia per gli edifici pubblici sia per quelli privati.