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  • Martedì 8 febbraio 2022

Manca l’acqua

Nelle regioni del Nord non piove da un mese e mezzo, per via di un anticiclone persistente che sta mettendo in grosse difficoltà le aziende agricole

(Autorità Distrettuale del fiume Po)
(Autorità Distrettuale del fiume Po)

La scorsa settimana, per la prima volta in questa stagione, Riccardo Bertot ha irrigato i suoi campi di more, mirtilli e lamponi. Rispetto a molti colleghi, ha la fortuna di prendere l’acqua da un pozzo. «Speriamo che non finisca: anche le falde sono in sofferenza», dice. «Se questa siccità continuerà anche nei prossimi mesi non oso pensare come farà chi ha coltivazioni che hanno bisogno di molta acqua».

Bertot ha un’azienda agricola nel Canavese, in provincia di Torino, dove non piove da quasi sessanta giorni. La portata della Dora Baltea, il principale fiume che attraversa i campi prima di entrare nel Po, è dimezzata e dal suo letto, in alcuni tratti, emergono le pietre come in estate. L’associazione di cui fa parte Bertot, Confagricoltura, ha già ricevuto molte segnalazioni di imprenditori agricoli preoccupati per la persistente siccità.

Se tra marzo e maggio non pioverà, c’è il rischio che le già scarse riserve di neve accumulate sulle Alpi non siano sufficienti a garantire le irrigazioni durante i mesi estivi, i più importanti per le aziende agricole.

Le conseguenze di questa condizione anomala sono evidenti soprattutto per gli agricoltori che lavorano nella pianura Padana e in generale nelle regioni del Nord, ma ce ne sono altre altrettanto critiche e spesso sottovalutate: le montagne sono gialle e grigie, aride, i fiumi sono diventati sottili corsi d’acqua, nelle giornate senza vento l’aria diventa irrespirabile a causa dell’inquinamento e le piste da sci sono ridotte a lunghe e strette strisce di neve artificiale. La mancanza di neve sulle montagne, inoltre, costringe i gestori dei consorzi di bonifica a mantenere parte dell’acqua nei bacini riducendo la portata destinata alle centrali idroelettriche, in un periodo piuttosto difficile per i prezzi dell’energia.

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Secondo Giulio Betti, meteorologo del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e dell’AMPRO, l’associazione dei meteorologi professionisti, i problemi di siccità dell’ultimo mese e mezzo arrivano da lontano. Oltre a dicembre e gennaio, anche ottobre e novembre erano stati mesi senza pioggia soprattutto nelle regioni del Nord-Ovest: per questo motivo sulle Alpi manca la neve che in primavera sarebbe servita a compensare la mancanza di acqua in pianura.

Negli ultimi 45 giorni non ci sono state precipitazioni perché il flusso atlantico, cioè le correnti occidentali che solitamente portano perturbazioni verso il mar Mediterraneo, è stato bloccato da un insistente e anomalo anticiclone di matrice sub tropicale: un’ampia area di alta pressione, associata normalmente al bel tempo.

«Mancando i flussi meridionali sono mancate anche le nevicate», dice Betti. «L’anomalia non è tanto la presenza dell’anticiclone, quanto la sua persistenza. Semplificando molto, si può dire che ha caratteristiche “estive”, con valori di pressione in quota decisamente anomali per la stagione invernale. Sulle Alpi sono state registrate temperature record anche all’inizio dell’anno, con valori eccezionalmente alti su tutti i rilievi del Centro Nord e in particolare sulle Alpi centro occidentali».

L’anticiclone spinge l’aria fredda sui Balcani: il fronte freddo incontra le Alpi e nel superarle perde la propria umidità e si forma il Föhn, un vento caldo e secco, con raffiche piuttosto intense. Nelle ultime settimane, oltre a spazzare via un po’ di inquinamento dalla pianura Padana ha provocato danni in molte città del Nord.

I dati delle agenzie regionali per la protezione ambientale aiutano a capire quali siano le conseguenze concrete di questa siccità sulla portata dei fiumi e dei laghi. In Lombardia, ARPA ha segnalato un calo del 51 per cento delle riserve idriche regionali rispetto alla media storica con picchi nei bacini Toce-Ticino-Verbano (-63,5%), Brembo (-74,7%), Oglio (-61,5%). Nel mese di gennaio, il Po ha registrato una diminuzione di portata del 25% rispetto agli anni scorsi.

In Veneto la situazione non è migliore: le riserve idriche sull’area del Piave sono ferme al 49 per cento contro un valore che solitamente in questa stagione è tra il 60 e il 70 per cento. Nel bacino del fiume Brenta il volume è al 35 per cento contro il 60 di un anno “normale”. In Veneto l’ultimo anno così secco è stato il 2017, cinque anni fa. «Cinque anni sono pochi, di norma la ciclicità delle crisi idriche è di quindici», ha spiegato Andrea Crestani, direttore dell’unione dei consorzi di bonifica veneti. «Questi sono gli effetti del cambiamento climatico».

Il direttore generale di ARPA Piemonte, Angelo Robotto, ha detto che quello attuale è uno degli inverni più secchi degli ultimi 65 anni, in particolare il quarto più secco dopo il 1989, il 1993 e il 2005. A gennaio le centraline di ARPA hanno registrato 4,8 millimetri di pioggia a fronte di una media storica, a gennaio, di 46 millimetri.

I dati pubblicati da Google Earth Engine ricavati dalle immagini satellitari mostrano la percentuale di territorio alpino coperto dalla neve: nel 2022 è stato raggiunto uno dei livelli più bassi degli ultimi anni.

 

Le immagini satellitari sono la principale fonte utilizzata anche dal gruppo di idrologia del CNR, che lavora con la Protezione civile per prevenire i rischi legati agli eventi estremi come le inondazioni o i periodi di siccità oltre a studiare come gestire al meglio le risorse idriche in agricoltura.

Luca Brocca, che dirige il gruppo di ricerca, spiega che le maggiori preoccupazioni non sono legate alle condizioni di una singola stagione. Nella prossima primavera, infatti, potrebbero arrivare piogge che risolverebbero in parte questa siccità. Il problema è ritrovarsi ad affrontare questa situazione più di frequente rispetto al passato. «C’è il rischio di una nuova normalità: periodi prolungati senza pioggia portano a conseguenti eventi più intensi quando arrivano le precipitazioni», dice. «È prematuro dire se questo sarà il trend dei prossimi anni, tuttavia i modelli climatici dicono che questa è la tendenza, soprattutto nella zona del Mediterraneo. Trarre conclusioni definitive e osservare i dati sul breve termine può essere fuorviante, però le evidenze degli ultimi anni ci confermano che anche in Italia c’è questa anomalia».

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Nell’immediato, una delle soluzioni è limitare i prelievi di acqua. In Veneto, per esempio, in settimana si terrà l’osservatorio regionale dei consorzi di bonifica che deciderà come ridurre la disponibilità di acqua, con possibili limitazioni per la produzione di energia idroelettrica e della quota riservata alla distribuzione nelle campagne. «Non si faranno distinzioni: se ci sarà la riduzione sarà trasversale, per tutti», ha detto Crestani. «Dobbiamo sperare che nei prossimi mesi la pioggia sia costante nel tempo per dare le garanzie di superare luglio e agosto».

Sul lungo periodo, invece, vanno ripensati i metodi di irrigazione, ma anche le stesse coltivazioni prediligendo varietà che hanno bisogno di meno acqua: in questo modo se ne ridurrà il consumo in un settore che utilizza circa il 70 per cento di tutta l’acqua proveniente da fiumi, laghi e falde sotterranee.

Una delle soluzioni può essere la costruzione di nuovi invasi artificiali per trattenere l’acqua piovana che oggi viene quasi tutta dispersa. La Coldiretti, associazione di categoria degli agricoltori italiani, ha studiato un progetto in collaborazione con l’ANBI, l’associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue, per la costruzione di una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, con un basso impatto sul paesaggio e sull’ambiente perché recuperano strutture già esistenti. In questo modo si potrà conservare meglio l’acqua. «Ma potrebbe non bastare: per questo serve pensare a un modo diverso di fare agricoltura», dice Riccardo Bertot. «Oltre a investire in sistemi di irrigazione che consentano di sfruttare l’acqua nel migliore dei modi, per esempio con i sistemi di irrigazione a goccia, è indispensabile puntare su coltivazioni che hanno un minore fabbisogno idrico».