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  • Mercoledì 2 febbraio 2022

Le città italiane svuotate dalla pandemia

Sono soprattutto le medie e le piccole, dove l'autosorveglianza ha avuto pochi effetti e il turismo è limitato: a lamentarsi sono soprattutto i commercianti

(Ansa/Paolo Salmoirago)
(Ansa/Paolo Salmoirago)

Poco prima delle 20 in piazza del Popolo, nel centro di Faenza, città di quasi 60mila abitanti in Emilia-Romagna, c’è sempre un gran movimento. I bar si riempiono e la piazza diventa uno dei principali punti di passaggio di persone che tornano a casa dal lavoro, che si affrettano a entrare nei negozi sotto i portici per un acquisto prima della chiusura o che portano a passeggio il cane. Nell’ultimo mese, alla stessa ora, piazza del Popolo è stata spesso vuota, e non è difficile capire perché.

Come molte altre piccole e medie città italiane, Faenza ha sperimentato quello che molti hanno definito il “lockdown di fatto”: l’incidenza dei contagiati sulla popolazione è stata molto alta, al punto da avere conseguenze significative sulla socialità, sul commercio e sui luoghi di aggregazione.

Pur senza le limitazioni restrittive imposte durante le prime tre ondate dell’epidemia, per almeno tre settimane a Faenza hanno chiuso diversi bar e negozi, e in generale le persone sono uscite di casa con più cautele e un certo timore. «È stato surreale, siamo stati in una condizione di “lockdown di fatto”, ma fortunatamente la pressione sugli ospedali è stata sotto controllo e oggi possiamo dire di essere quasi tornati alla normalità», dice il sindaco Massimo Isola.

Gli effetti di un numero rilevante di quarantene disposte in seguito ai contagi sono stati segnalati in molte altre città in tutta Italia. Nelle ultime settimane sono state pubblicate fotografie di piazze vuote anche in metropoli come Roma e Milano, con poche persone in giro soprattutto la sera. Ma le conseguenze del semi lockdown sono state più evidenti nei centri piccoli o medi, come Faenza, dove il pendolarismo è più limitato rispetto alle grandi città e dove il turismo ha un impatto relativo sulle presenze, se non nullo nei mesi invernali.

Tra contagi diretti e contatti stretti, basta un focolaio a bloccare centinaia o migliaia di persone, che in un piccolo centro sono essenziali per garantire il flusso di clienti in negozi, locali, cinema e teatri.

La modifica delle regole sulle quarantene dei contatti stretti di positivi, che ora devono osservare solo un periodo di autosorveglianza di sette giorni, ha avuto conseguenze limitate nelle città piccole o medie, dove la notizia di un contagio diffuso tra la popolazione ha portato spesso le persone a essere naturalmente più prudenti e quindi a uscire meno di casa. Il risultato è che molte attività sono state costrette a fermarsi sia per contagi diretti, che hanno coinvolto chi gestisce negozi e locali, costretti a chiudere, sia per gli effetti dell’incidenza elevata che ha causato un calo della clientela.

Dall’inizio dell’anno, a Faenza, ogni settimana sono raddoppiati i casi di positività. La crescita si è interrotta verso la fine di gennaio. «Trovare oltre 2500 contagi ogni sette giorni per tre settimane, su sessantamila abitanti, significa avere mezza città bloccata tra quarantena e autosorveglianza», dice il sindaco.

Nonostante le piazze vuote abbiano ricordato le immagini dei primi lockdown, nell’ospedale di Faenza la situazione è stata molto diversa rispetto alle ondate più gravi: a gennaio sono state ricoverate 18 persone per COVID-19 contro le 85 del marzo 2021, il picco della terza ondata. Isola spiega che ora molte persone si sono negativizzate, hanno ricominciato a uscire di casa, e l’ospedale non è andato sotto pressione grazie alla campagna vaccinale: «Ne siamo usciti, per fortuna, ma a gennaio l’impatto dei contagi è stato molto significativo».

(AP Photo/Gregorio Borgia)

Negli ultimi giorni i titoli di molti giornali locali hanno fatto riferimento all’espressione “lockdown di fatto” per descrivere la situazione: a Catania, Brescia, Latina, Lecco, Trento, Verona, Grosseto, Reggio Calabria, Siena, e in grandi città come Milano, Roma, Napoli e Venezia. Gli effetti della crescita dei contagi sono stati denunciati soprattutto dalle associazioni dei commercianti che speravano in un inizio anno migliore per gli affari.

Non è semplice capire se questa situazione sia davvero anomala rispetto allo scorso anno e se oltre alla diffusione dei contagi ci siano altri elementi che influiscono sugli spostamenti nelle città piccole e medie.

Un aiuto a capire cosa sta succedendo arriva dai dati pubblicati da Google che dall’inizio dell’epidemia ha deciso di mettere a disposizione alcuni report con dati degli spostamenti in moltissime città e aree di tutto il mondo.

I dati sono gli stessi che vengono utilizzati per stimare in tempo reale gli orari di punta in alcuni luoghi come stazioni o negozi: vengono elaborati quelli di tracciamento di Google Maps che consentono di stimare quante persone ci siano in un luogo, e per quanto tempo. Semplificando, grazie a questi report è possibile capire quanto le persone si stiano spostando verso luoghi di lavoro, di svago, parchi, stazioni.

Come si può osservare dal grafico che mostra gli spostamenti nel tempo libero, nel 2022 in tutta Italia ci si muove di più rispetto a un anno fa, quando c’erano misure più restrittive con le zone a colori, ma il livello di spostamenti è inferiore rispetto a buona parte del 2021. Gli stessi dati sono stati analizzati dal centro studi Confindustria che ha stimato un calo del 22 per cento degli spostamenti rispetto al livello base pre pandemia, che corrisponde agli spostamenti osservati nelle prime cinque settimane del 2020.

Altri dati interessanti sono stati pubblicati da Confesercenti, che ha commissionato un sondaggio a Ipsos. I risultati dicono che il 51% dei consumatori evita di servirsi di bar o ristoranti, o comunque di aver ridotto la frequentazione nei locali. Il 32% – un italiano su tre – ha invece rinunciato a fare un viaggio o ha disdetto una vacanza già prenotata. Una quota identica – sempre il 32% – ha evitato o ridotto gli acquisti nei negozi per timore degli assembramenti.

Nel negozio di Massimiliano Mangano, vicepresidente di Confesercenti Palermo, è rimasta molta della merce che sperava di vendere durante i saldi, piuttosto deludenti nelle ultime settimane.

Mangano dice che Palermo è molto più vuota rispetto agli anni scorsi, a causa dei contagi e anche in altre città siciliane la situazione non è migliore. Molti negozianti che solitamente vanno in ferie a febbraio hanno deciso di chiudere i negozi già da metà gennaio. «Mi confronto ogni giorno con ristoratori, albergatori, colleghi negozianti, perfino benzinai: tutti mi dicono che gli affari sono al minimo e spesso non conviene tenere aperto», spiega Mangano. «Purtroppo le persone sembrano tutte trincerate in casa».

Anche nelle regioni del nord la situazione è simile. Secondo Oscar Fusini, direttore di Ascom Bergamo, oggi nei negozi entrano molte meno persone rispetto a un anno fa, quando c’erano più restrizioni: l’associazione ha stimato un calo degli affari del 40 per cento rispetto all’anno scorso.

Come in molte altre medie città, a Bergamo ha influito l’alta incidenza dei contagi sulla popolazione e la diminuzione delle presenze turistiche. «Ma va considerato anche l’impatto dei contagi non tracciati, cioè le persone che hanno sintomi leggeri e rimangono prudenzialmente in casa senza sottoporsi a un tampone per evitare di rimanere bloccati per lungo tempo senza Green Pass: i dati ufficiali sono sottostimati», spiega Fusini. «Inoltre non vanno trascurati gli effetti del timore generale di contagiarsi e i rincari annunciati e registrati nelle bollette che portano le persone a diminuire le spese».

Il risultato è che anche a Bergamo molti negozianti hanno deciso di chiudere nel pomeriggio, in anticipo rispetto al solito orario, perché non conviene stare aperti.

Le associazioni di categoria hanno chiesto al governo nuovi aiuti economici per far fronte al calo degli affari dovuto ai contagi. Confesercenti ha chiesto la proroga degli ammortizzatori sociali Covid e l’esenzione del pagamento del canone unico per le attività commerciali almeno fino al 30 giugno 2022: «In questo quadro non basta “non escludere” l’ipotesi di nuovi sostegni, bisogna intervenire al più presto, con misure adeguate a tutelare l’attività e il lavoro delle imprese colpite».