Ora c’è la questione della legge elettorale

Scongiurate per il momento le elezioni anticipate, il Parlamento deve decidere come si svolgeranno quelle previste nel 2023

Il senatore leghista Roberto Calderoli, considerato grande esperto di sistemi elettorali (Roberto Monaldo / LaPresse)
Il senatore leghista Roberto Calderoli, considerato grande esperto di sistemi elettorali (Roberto Monaldo / LaPresse)

Una delle conseguenze delle trattative per la rielezione del presidente della Repubblica, oltre alle tensioni emerse all’interno di partiti e coalizioni, è stata quella di avere riportato al centro del dibattito la necessità di cambiare l’attuale legge elettorale, giudicata da quasi tutti i partiti poco funzionale. È una discussione che va avanti da mesi, e che di fatto condiziona un po’ tutte le altre questioni politiche: con un governo così anomalo come quello Draghi, sostenuto da una maggioranza composta da quasi tutti i partiti in Parlamento, le elezioni anticipate sono sempre state uno scenario plausibile. Ma a seconda che si tengano con una legge elettorale o con un’altra, cambia il modo in cui vengono considerate dai partiti.

La legge elettorale in vigore fu approvata nel 2017 e soprannominata immediatamente Rosatellum, dal nome del suo principale promotore Ettore Rosato, che ai tempi faceva parte del Partito Democratico (oggi aderisce a Italia Viva di Matteo Renzi). Il Rosatellum prevede un sistema misto: circa un terzo dei seggi tra Camera e Senato viene eletto in collegi uninominali, e quindi con un sistema maggioritario; i restanti due terzi sono scelti con un sistema proporzionale, che cioè ripartisce i posti in Parlamento tra i partiti rispettando fedelmente i risultati percentuali che hanno ottenuto alle elezioni.

Alla natura mista del Rosatellum viene attribuita da molti la responsabilità di avere eletto un Parlamento frammentato e in cui è difficile formare una maggioranza – come avrebbe dimostrato il sostanziale fallimento delle trattative per il Quirinale, dice chi sostiene questa tesi. Ma non c’è grande accordo su come cambiare il Rosatellum: alcuni partiti vorrebbero modificare la legge elettorale accentuandone il carattere proporzionale, altri, invece, vorrebbero trasformarla in un sistema maggioritario quasi puro.

Semplificando molto, la scelta è tra un sistema che rispetti fedelmente il voto popolare nel determinare la rappresentanza parlamentare (quello proporzionale), e uno che invece sacrifichi questo aspetto per garantire che una forza politica abbia i numeri necessari per governare (quello maggioritario). Decidere quale sia quello preferibile in Italia è notoriamente più complicato da quando, una decina di anni fa, il Movimento 5 Stelle si è affermato come terzo polo politico, rendendo il sistema proporzionale particolarmente inadatto a produrre un Parlamento in grado di esprimere una maggioranza, e il sistema maggioritario particolarmente inadatto a rappresentare l’esito del voto popolare.

Tra chi vorrebbe una legge elettorale basata sul sistema maggioritario ci sono, almeno a parole, la Lega e Fratelli d’Italia, cioè i partiti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il principio del sistema è che il partito o il candidato che prende più voti in un territorio – quelli solitamente definiti circoscrizioni o collegi – ottenga la rappresentanza, mentre gli altri partiti no. È un sistema che premia quindi i grandi partiti o quelli particolarmente radicati in alcune aree, penalizzando fortemente tutti gli altri. 

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Qualche mese fa Salvini auspicò una nuova legge elettorale in senso maggioritario spiegando che il sistema «garantisce il legame tra il parlamentare e chi lo ha eletto, e il contatto diretto è fondamentale». Anche Giorgia Meloni si è espressa più volte in favore del maggioritario. È una scelta che ha senso, dal loro punto di vista. Sia la Lega sia Fratelli d’Italia sono partiti molto radicati rispettivamente al Nord e al Centro, con una classe dirigente a livello locale in grado di esprimere candidati credibili in vari collegi. Sia Salvini sia Meloni hanno poi l’ambizione di guidare un governo, e contavano di farlo dopo che la coalizione di centrodestra avesse infine vinto le elezioni. L’alleanza tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia è uscita però piuttosto malconcia dalle trattative per il Quirinale, e bisognerà vedere quale sarà il suo futuro.

In realtà, comunque, non è così scontato che un sistema maggioritario garantisca maggiore governabilità, come spiegano da anni storici ed esperti di sistemi politici. «L’Italia non è per tradizione bipolare come gli Stati Uniti o l’Inghilterra», ha spiegato di recente Alfonso Celotto, che insegna Diritto Costituzionale all’università di Roma Tre. «Poi ci si va a trovare con l’inevitabilità che le coalizioni elettorali, l’Ulivo o la coalizione ad incastro di Berlusconi con la Lega al Nord e AN al Sud nel 1994, dopo le elezioni comunque si sfrangiano».

Diversi altri partiti si stanno allineando per riformare il Rosatellum in senso opposto, cioè proporzionale, un sistema che in pratica consente di fare campagna elettorale senza convivere con alleati ingombranti. Inoltre garantiscono una migliore rappresentanza sia a partiti che ottengono buoni consensi un po’ ovunque ma non hanno particolari “roccaforti” – come ad esempio il M5S – sia ai partiti più piccoli, come il cartello di centro che potrebbe nascere fra Italia Viva, Azione, +Europa e forse pezzi di Forza Italia.

Proprio questi partiti negli ultimi giorni sembrano quelli più decisi a promuovere una riforma elettorale in senso proporzionale. Il senatore del PD Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali, ha proposto per esempio una legge con un sistema proporzionale e una soglia di sbarramento al 5 per cento (quindi se non si prende almeno il 5 per cento dei voti non si ottengono seggi). Il Movimento 5 Stelle viene considerato favorevole al proporzionale, mentre Forza Italia per ora ha smentito di lavorare a un accordo sul tema (la componente più moderata di Forza Italia potrebbe lasciare il partito nel caso in cui continuasse a rimanere alleato della componente più radicale della destra).

È inevitabile, insomma, che ciascun partito tenda a preferire il sistema che possa favorirlo: che cioè gli garantisca la maggioranza se fa parte di coalizioni che ambiscono a governare, come il centrodestra, o che gli assicuri una rappresentanza in parlamento se ha consensi che oscillano a cavallo delle più comuni soglie di sbarramento (tra il 3% e il 5%, solitamente). Spesso, con il proporzionale, i partiti più piccoli diventano determinanti nella formazione delle maggioranze, ottenendo in questo modo un notevole potere contrattuale. Anche chi sta fuori dal Parlamento e ambisce a formare nuovi partiti preferisce il proporzionale, che facilita l’accesso in Parlamento.

Al momento, comunque, tutte le discussioni sono in una fase preliminare: si ipotizza addirittura che i partiti che preferiscono un sistema proporzionale possano approvare una legge anche da soli, senza i voti della Lega e di Fratelli d’Italia. Sarebbe una decisione piuttosto controversa, visto che idealmente le leggi elettorali – essendo di fatto le regole della contesa politica che devono seguire poi tutti i partiti – dovrebbero essere approvate da maggioranze larghe e trasversali (il Rosatellum fu proposto da Partito Democratico e Lega, mentre la legge Calderoli, nota come “Porcellum”, venne approvata solo dal centrodestra, provocando un lungo scontro politico).