Dal gamberetto di Bolsonaro in giù

Storie di rivoluzionari, presidenti e re che sono morti, o hanno rischiato di morire, a causa di cibi e bevande avvelenati o ingeriti male

Facendo un gioco di parole, l’edizione francese di Slate ha scritto che «du repas au trépas» («da un pasto al trapasso»), «a volte passa un sol boccone»: ha raccontato cioè le storie di re, duchi, presidenti e rivoluzionari che sono morti, o hanno rischiato di morire, per avere ingerito un certo cibo o bevuto una certa bevanda. Il caso più recente è quello che ha coinvolto il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che lo scorso anno finì in ospedale per colpa di un gamberetto. Ma ci sono storie che riguardano tra gli altri anche George W. Bush, Fidel Castro, l’imperatore Massimiliano I e Francesco I, re di Francia. Le ha raccontate Slate.

Compagno gamberetto
In Brasile, il gamberetto è diventato l’animale simbolo usato dalla sinistra progressista per contrastare il presidente Jair Bolsonaro, populista e di estrema destra. A inizio gennaio, Bolsonaro era stato ricoverato in un ospedale di San Paolo per un’occlusione intestinale dovuta alla scarsa masticazione di un piccolo crostaceo. Il presidente, a metà luglio del 2021, era già stato ricoverato a Brasilia a causa di un singhiozzo persistente iniziato una decina di giorni prima e dovuto, di nuovo, a una sospetta occlusione intestinale.

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Basandosi sul doppio significato di “camarão”, che in portoghese significa “gamberetto” ma anche “compagno”, su Twitter e negli slogan politici dei movimenti antifascisti e di sinistra si vedono da giorni gamberetti ovunque. Gli esempi migliori sono stati raccolti in questo thread.

Il pretzel di George W. Bush
Nel gennaio del 2002, mentre da un divano della Casa Bianca guardava una partita di football tra i Baltimora Ravens e i Miami Dolphins, l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush cadde all’indietro sbattendo la testa. La causa: un pretzel, che gli era andato di traverso. Un successivo esame medico stabilì che si era trattato di un episodio isolato senza apparenti conseguenze, e il presidente se la cavò con un livido allo zigomo e uno al labbro inferiore.

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Il medico presidenziale riferì che negli ultimi giorni Bush aveva lamentato un malessere e che questo, combinato con il pretzel di traverso, aveva provocato un rallentamento del battito cardiaco e uno svenimento. «Sto benone», aveva detto Bush uscendo dalla Casa Bianca per salire sull’elicottero che lo avrebbe portato in una clinica per accertamenti: «Mia madre me lo diceva sempre, “quando mangi i pretzel mastica bene prima di ingoiare”. Date ascolto alle vostre madri».

Il frappé al cioccolato di Fidel Castro
Dicono che l’ex leader della rivoluzione cubana Fidel Castro sia stato un sopravvissuto quasi leggendario: superò più di 600 tentativi di assassinio. In un intervento sui giornali cubani per il suo novantesimo compleanno, Castro scrisse che suo fratello minore Raul lo avrebbe sostituito se i piani di «eliminazione» del suo «avversario» avessero avuto successo: «Ho quasi riso dei piani machiavellici dei presidenti degli Stati Uniti». E spesso, ai giornalisti, diceva che «se scampare ai tentativi di omicidio fosse stato un evento olimpico», lui avrebbe vinto «la medaglia d’oro».

Chi lo voleva morto provò un po’ di tutto: sigari al cianuro, una muta da sub cosparsa di veleno, ex amanti reclutate dalla CIA. Compreso l’avvelenamento di una bevanda che lui amava molto: il frappé al cioccolato.

Fidel Castro era un grande appassionato di bevande al latte, e nei suoi discorsi celebrava spesso una mucca chiamata Ubre Blanca, famosa per la sua straordinaria produzione di latte (nel gennaio del 1982 produsse 110 litri di latte in un solo giorno): simboleggiava, per Castro, le superiori capacità di allevamento di mucche del sistema comunista.

Nel 1961 la CIA, con la complicità della mafia di Chicago, riuscì a far consegnare una capsula di tossina botulinica all’ex Hotel Hilton dell’Avana, dove veniva servito il frappé al cioccolato che Castro adorava. L’agente incaricato della missione commise però l’errore di conservare la capsula nel congelatore senza protezione: al momento di essere usata rimase attaccata allo scaffale del freezer in cui era stata nascosta e si ruppe.

(“638 metodi per uccidere Castro”, documentario prodotto da Channel 4:
racconta i tanti metodi, 638, appunto, pensati per uccidere Fidel Castro)

Il dolce di Adolfo Federico di Svezia
Adolfo Federico di Svezia fu re di Svezia dal 1751 fino alla sua morte. Primo della casata degli Holstein-Gottorp, fu considerato un monarca debole e simbolico, messo sul trono per linea di successione con il consenso del parlamento che, di fatto, deteneva tutti i poteri.

Gli studenti svedesi, scrive Slate, lo conoscono principalmente come «il re che mangiò fino alla morte». Il 12 febbraio del 1771, prima dell’inizio della Quaresima, Adolfo Federico di Svezia consumò un ricco pasto a base di aragoste, caviale, crauti, zuppa di cavoli, aringhe affumicate e champagne. E per concludere mangiò anche 14 portate del suo dolce preferito, la semla, un soffice panino rotondo ripieno di crema di mandorle e panna montata. Si sentì male e morì per le conseguenze di una grave indigestione. Un poeta di corte scrisse scherzosamente che la semla avrebbe dovuto essere condannata all’esilio perché colpevole di regicidio.

Il bicchier d’acqua del figlio di Francesco I
Nell’agosto del 1536 Francesco I di Francia era con i suoi figli a Lione, in partenza per Avignone perché Carlo V, re di Spagna e suo grande rivale, stava tentando di invadere la Provenza. Le cronache riportano che il 2 agosto, il delfino Francesco, figlio prediletto del monarca, insistette per giocare alla pallacorda e che alla fine della partita, assetato, bevve un bicchiere di acqua ghiacciata. Pochi giorni dopo, morì.

I medici dichiararono che la morte era dovuta a cause naturali ma il re e l’opinione pubblica dell’epoca credettero a un avvelenamento. Venne individuato anche un colpevole: il segretario del delfino, il conte Sebastiano di Montecuccoli, che gli aveva dato da bere l’acqua fredda. L’uomo venne processato e condannato a morire per squartamento, il supplizio inflitto a chi commetteva dei crimini contro la famiglia reale.

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Il melone di Massimiliano I
Nel gennaio del 1519, l’imperatore del Sacro Impero e arciduca d’Austria Massimiliano I, in cattiva salute, decise di andare in Alta Austria. Il 12 gennaio, di ritorno da una battuta di caccia, fu organizzato un banchetto in suo onore durante il quale l’imperatore (e nonno del futuro Carlo V) mangiò dei meloni freschi conservati dall’estate precedente. Si dice che fece indigestione e morì.

Il melone era un frutto che portava sfortuna agli Asburgo: si narra che anche il padre di Massimiliano, Federico III, ventisei anni prima era morto proprio a causa di una indigestione di meloni.

Il vino del Duca di Clarence
La cosiddetta “guerra delle due rose” fu una sanguinosa lotta dinastica combattuta in Inghilterra tra il 1455 e il 1485 tra due diversi rami della casa regnante dei Plantageneti: i Lancaster (il cui emblema era una rosa rossa) e gli York (con lo stemma di una rosa bianca).

Nel 1478 Giorgio Plantageneto, duca di Clarence, fu giustiziato dal fratello re Edoardo IV per tradimento. E, secondo i resoconti dell’epoca, scelse di morire come aveva vissuto: per annegamento in una botte di Malvasia, un vino bianco dolce ottenuto dall’omonimo vitigno. L’aneddoto è riportato anche da William Shakespeare nel Riccardo III e evocato da Flaubert nel romanzo Madame Bovary per descrivere il legame tra Emma Bovary e l’amante Rodolphe Boulanger:

«Il suo era una specie di attaccamento idiota, pieno di ammirazione per se stesso, di voluttà per Emma; era una beatitudine che l’intorpidiva; e la sua anima affondava in quell’ebbrezza, e vi annegava, raggrinzita come il duca di Clarence nella sua botte di Malvasia».

La leggenda su Giorgio Plantageneto è attribuita a pettegolezzi popolari legati al noto gusto del duca per quel vino: Slate scrive comunque che quando, secoli dopo, le sue spoglie furono riesumate non c’era traccia di decapitazione, il tradizionale metodo di esecuzione dei nobili come lui.

La pera di Claudio Druso
Tiberio Claudio Druso era il figlio maggiore del futuro e quarto imperatore romano Claudio e della sua prima moglie Plautia Urgulanilla. Nel quinto libro de La vita dei Cesari, quello dedicato a Claudio, lo storico latino Svetonio racconta che Druso morì ancora fanciullo a Pompei «soffocato da una pera che si divertiva a gettare in aria per prenderla con la bocca spalancata».