Cosa vuole ciascun partito dalle elezioni del presidente della Repubblica

Una guida rapida per orientarsi fra esigenze e obiettivi molto diversi, che resteranno gli stessi da qui all'inizio del voto

(ANSA/FABIO FRUSTACI)
(ANSA/FABIO FRUSTACI)

Negli ultimi giorni le trattative per eleggere il nuovo presidente della Repubblica stanno attraversando una prevista fase di stallo, a cui con ogni probabilità seguiranno delle fibrillazioni nelle ore o nel giorno precedenti all’inizio delle votazioni. Quelle che non cambieranno sono le motivazioni con cui i partiti arrivano alle trattative politiche più importanti da qui alla fine della legislatura, e agli obiettivi che vorranno ottenere: c’è chi cerca un risultato da rivendersi alle prossime elezioni politiche, chi cerca legittimità, chi vorrebbe evitare a tutti i costi le elezioni anticipate.

Partito Democratico
Al momento sembra fra i partiti più confusi nei negoziati per l’elezione del nuovo presidente. Da qualche giorno il segretario Enrico Letta propone al centrodestra una specie di patto condiviso per scegliere insieme sia il nuovo presidente della Repubblica sia il nuovo presidente del Consiglio, ma per ora nessuno dal centrodestra sembra aver raccolto l’invito.

L’offerta di Letta segnala che il PD, in assenza di numeri consistenti che gli permettono di esprimere un candidato forte, potrebbe accontentarsi di un obiettivo inferiore da rivendicare poi davanti al proprio elettorato: come appunto l’individuazione di un candidato concordato. Magari non sovranista, magari una donna rispettata da tutto l’establishment politico, come la ministra della Giustizia Marta Cartabia. «Voteremo un presidente super partes, come i numeri di questo Parlamento senza maggioranza impongono», hanno detto di recente fonti del PD a RaiNews.

In teoria a Letta potrebbe convenire andare a elezioni anticipate, nel caso non si trovasse un accordo per un nuovo governo con gli altri partiti. Il PD è dato da qualche settimana in testa ai sondaggi, con un consenso intorno al 22 per cento. Per Letta sarebbe l’occasione di rafforzare il suo controllo sui parlamentari, eletti nel 2018 sulla base di liste compilate dall’allora segretario Matteo Renzi. Al momento però Letta esclude con nettezza questa ipotesi. «Il paese non può permettersi elezioni anticipate, questa idea va messa assolutamente da parte», ha detto qualche giorno fa.

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Lega
Il partito di Matteo Salvini ha assunto diverse posizioni in queste settimane di negoziati: all’inizio Salvini aveva detto di volere incontrare tutti i segretari di partito per trovare un nome condiviso, poi ha detto che il centrodestra avrebbe sostenuto in maniera compatta Silvio Berlusconi, più di recente ha spiegato che assieme a Forza Italia e Fratelli d’Italia «farà una o più proposte assolutamente di alto livello e profilo».

Sembra che la Lega voglia soprattutto evitare di farsi male: non le conviene andare oggi alle elezioni anticipate, perché rischierebbe di essere superata da Fratelli d’Italia, e non ha nomi realistici da proporre per la presidenza della Repubblica.

Secondo il Foglio da tempo l’opzione preferita da Salvini sarebbe l’elezione di Mario Draghi a presidente della Repubblica. Così facendo otterrebbe probabilmente due obiettivi in uno: un presidente del Consiglio più debole e meno popolare da attaccare ogni giorno, pur restando nella maggioranza, per cercare di recuperare i consensi perduti negli ultimi mesi; e un presidente della Repubblica che rassicurerebbe l’Europa in caso di un eventuale governo Salvini dopo le elezioni politiche del 2023.

Movimento 5 Stelle
Tutti i giornali descrivono il Movimento 5 Stelle come spaccato in varie fazioni, accomunate soltanto dalla paura di elezioni anticipate: oggi il partito ha circa la metà dei consensi ottenuti alle elezioni politiche del 2018 e, tenendo conto della riduzione del numero dei parlamentari approvata di recente, nel prossimo Parlamento rischia di avere molti meno seggi rispetto ad oggi.

La presa di Giuseppe Conte sul partito sembra inoltre molto poco solida, e nei retroscena di questi giorni si citano varie stime di quanti parlamentari del M5S potrebbero disobbedire alle indicazioni di partito in caso di un candidato o una candidata sgraditi. «La prospettiva di dovere accettare e subire un’indicazione altrui è più che un’eventualità», ha scritto di recente sul Corriere della Sera Massimo Franco: «e questo promette di avere conseguenze sulla tenuta del gruppo dirigente grillino già squassato da tensioni vistose».

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Fratelli d’Italia
Nonostante l’esiguo e probabilmente ininfluente numero di parlamentari, il principale partito di opposizione si sta dando molto da fare per dare l’impressione di volere partecipare ai negoziati per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Giorgia Meloni ha detto più volte di voler proporre un nome condiviso con la Lega e Forza Italia, e nei primi giorni delle trattative ha spiegato che al Quirinale servirebbe «un patriota», definizione che continua a riprendere.

L’obiettivo di Meloni è probabilmente quello di legittimarsi come una forza istituzionale che ha un ruolo nella scelta del presidente della Repubblica. Meloni inoltre, come Salvini, non ha nomi particolarmente spendibili e verosimilmente vorrebbe un presidente o una presidente della Repubblica che rassicurasse l’Europa in caso di un eventuale governo Meloni dopo le elezioni politiche del 2023.

Forza Italia
Sulla carta i suoi parlamentari sostengono la candidatura di Berlusconi come presidente della Repubblica. In pratica, molti potrebbero fare gli stessi ragionamenti dei colleghi del M5S: Forza Italia avrà molti meno eletti nel prossimo Parlamento, e alcuni di loro potrebbero essere più interessati a conservare il proprio posto per un altro anno e mezzo che seguire le indicazioni del partito, qualunque saranno, nel caso più che probabile che la candidatura di Berlusconi finisca nel nulla.

Il centro
Matteo Renzi e in misura minore Carlo Calenda cercano probabilmente qualcosa da rivendersi o intestarsi nella prossima campagna elettorale. Secondo i retroscena negli ultimi giorni Renzi sembra preferire la candidatura di Pier Ferdinando Casini, ex alleato di Berlusconi da leader dell’UDC ma eletto col centrosinistra alle ultime politiche del 2018, quando fu appoggiato proprio dal PD di Renzi. «È una buona idea, come Draghi e altri», ha risposto evasivamente Renzi a una domanda su Casini, venerdì mattina.

Gli altri
I tantissimi parlamentari del Gruppo Misto – sono 74 fra Camera e Senato – hanno interessi diversi, anche se vari giornali li ritengono il gruppo più interessato a non andare a elezioni anticipate, ancora più che Movimento 5 Stelle e Forza Italia.