La storia della candidatura di Emma Bonino al Quirinale

Nel 1999 la leader dei Radicali fu protagonista di una campagna piuttosto unica, che ricorda quella di Berlusconi di questi giorni

Negli ultimi giorni sono circolati moltissimi nomi di possibili candidati per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, che inizierà lunedì 24 gennaio. Come a ogni elezione di questo tipo si è fatto anche il nome di Emma Bonino, storica leader dei Radicali, più volte ministra in vari governi italiani e da anni una dei personaggi politici più popolari secondo i sondaggi. In un’intervista a Repubblica, Bonino ha garbatamente smentito questa ipotesi. «Ringrazio tutti quelli che pensano a me, da Roberto Saviano a Carlo Calenda a tutti i militanti che mi scrivono… Ma credo proprio che il mio momento fosse anni fa. Certo, io mi candidai pubblicamente: penso che altri lo potrebbero fare oggi».

Bonino si riferisce al fatto che nel 1999 si candidò apertamente per diventare la nuova presidente della Repubblica. Il suo tentativo non andò a buon fine – il 13 maggio 1999 fu eletto presidente al primo scrutinio Carlo Azeglio Ciampi – ma resta un fatto piuttosto raro nella pur variegata storia politica italiana: qualcuno lo ha citato in questi giorni come precedente – con notevoli differenze – della campagna mediatica e politica che sta portando avanti Silvio Berlusconi per tentare di farsi eleggere presidente della Repubblica.

Ai tempi della candidatura Bonino aveva 51 anni ed era uno dei personaggi politici del momento. Dopo una carriera da attivista nel Partito Radicale a fianco di Marco Pannella, di cui era considerata la controparte più istituzionale, fu a lungo deputata e per dieci anni europarlamentare. Gli elettori di centrosinistra la apprezzavano per le sue battaglie per i diritti delle donne, quelli di centrodestra avevano imparato a conoscerla quando nel 1994 fece un accordo con la neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi per entrare nella coalizione e appoggiarlo su alcuni temi (all’epoca il centrosinistra era ancora molto influenzato dalla tradizione comunista e socialista).

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All’inizio del 1995 fu poi indicata proprio dal primo governo Berlusconi per far parte della nuova Commissione Europea con competenze molto ampie su pesca, diritti dei consumatori e cooperazione internazionale.

Bonino fu molto attiva e sfruttò il suo ruolo per ottenere riconoscimenti e visibilità anche all’estero, oltre che in Italia. Come ricorda il libretto elettorale di promozione della sua candidatura a presidente della Repubblica, in quegli anni, fra le altre cose, Bonino incontrò Aung San Suu Kyi in Birmania, Sonia Gandhi in India, visitò il Kurdistan, la Sierra Leone, l’Eritrea, fu rapita per qualche ora dai talebani in Afghanistan, promosse la Conferenza di Ottawa in cui fu firmato un importante trattato per il divieto di produrre e usare mine anti-uomo.

Una pagina del libretto elettorale di Bonino, con la foto del suo incontro del 1996 con Sonia Gandhi

Nel gennaio del 1999 Bonino si dimise dalla sua carica di commissaria in blocco con i suoi colleghi per via di uno scandalo di corruzione che aveva colpito diversi leader nelle istituzioni europee e in particolare l’allora commissaria alla Ricerca, la francese Édith Cresson. Per i Radicali fu l’occasione per montare una campagna mediatica, come quelle che del resto portavano avanti da anni, per cercare di portare all’interno delle istituzioni battaglie politiche nate al di fuori, nel contesto civile: e che nell’ambito dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica si concretizzava in una candidatura esplicitamente “ribelle” come quella di Bonino.

«C’è un’Italia ormai senza più nulla in comune con gli assetti di poteri che la rappresentano e dominano», scrisse ai tempi Pannella: «L’Italia profonda, tenace, non rassegnata, grazie alla quale imponemmo a una classe politica che non voleva sentirne nemmeno parlare: divorzio, aborto, obiezione di coscienza, riforma del diritto di famiglia, voto ai diciottenni, i grandi referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti, contro la giustizia ingiusta al tempo di Enzo Tortora, contro il degrado del diritto e della giustizia, contro un nucleare al quale l’Italia non era preparata, contro il regime partitocratico. […] Come essere sorpreso, dunque, Emma, se oggi il tuo volto, la tua vita, il tuo nome è quello compreso, indicato, preferito da tanta parte d’Italia e non solo?».

Per sostenere Bonino fu messo insieme un vero e proprio comitato elettorale, come per un’elezione popolare. Furono anche prodotti dei manifesti, affidati alla rispettata agenzia Dolci Advertising, che giocavano sul genere di Bonino definendola «l’uomo giusto», e per la prima volta per l’elezione di un presidente della Repubblica anche spot televisivi. Furono inoltre fatti circolare sondaggi che indicavano che il consenso di Bonino fosse molto superiore a quello di Ciampi, e articoli molto lusinghieri raccolti da Bonino durante il suo mandato da commissaria. Ancora nel marzo del 1999, per esempio, l’Economist la definì «un astro nascente» della politica europea.

Alla fine, nelle reali votazioni per il presidente della Repubblica, Bonino ricevette soltanto il sostegno della sparuta delegazione Radicale. Il partito però era ben consapevole che si stava giocando una partita più ampia. Un mese dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, quindi nel giugno del 1999, erano previste le elezioni europee.

«Noi tutti vogliamo che Emma Bonino sia eletta Presidente della Repubblica», si legge nel libretto elettorale che promuoveva la candidatura di Bonino al Quirinale: «Ma, se così non fosse, se la volontà di tanti italiani fosse ancora una volta ignorata e offesa, c’è una prova d’appello, una risposta che può esser data: votare la LISTA EMMA BONINO, e Emma stessa, capolista in tutta Italia. Sarà questo il più europeo dei voti, anche per conto dei tanti europei che negli altri Paesi dell’Unione vorrebbero poterlo fare».

A quelle elezioni europee, forse sulla scia della campagna per il Quirinale di Bonino, forse per la confusione del quadro politico italiano di allora, i Radicali ottennero il miglior risultato di sempre: 2,62 milioni di voti, pari all’8,5 per cento del totale. Il successo elettorale però fu assai breve: alle elezioni politiche del 2001 raccolsero un deludente 2,2 per cento, risultato simile a quello che ottennero anche alle successive elezioni europee del 2004 e del 2009, per poi disperdersi in vari piccoli partiti negli anni successivi.