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  • Lunedì 17 gennaio 2022

Forse si sa chi tradì la famiglia di Anna Frank

Secondo nuove indagini guidate da un ex agente dell'FBI, sarebbe stato un notaio ebreo di Amsterdam che collaborava coi nazisti

Due foto di Anna Frank esposte all'Anne Frank Center di New York (Andrew Burton/ Getty Images)
Due foto di Anna Frank esposte all'Anne Frank Center di New York (Andrew Burton/ Getty Images)

Le circostanze che portarono all’arresto della famiglia della giovane ebrea tedesca Anna Frank ad Amsterdam nel 1944 sono da decenni al centro di varie indagini e teorie anche in contrasto fra loro. Secondo le ipotesi più diffuse, lei, i genitori e la sorella furono arrestati grazie alla soffiata di qualcuno, ma finora le indagini non avevano portato a una soluzione certa. Adesso un gruppo di investigatori guidato da un ex agente dell’FBI ritiene di avere un’idea più precisa della persona che potrebbe aver segnalato la famiglia della ragazzina, nota per il suo famoso Diario: probabilmente fu un notaio della comunità ebraica olandese.

Le nuove indagini sono state avviate nel 2016 e sono raccontate nel libro Chi ha tradito Anne Frank (The Betrayal of Anne Frank), scritto da Rosemary Sullivan e basato sulle ricerche del detective americano Vince Pankoke.

La famiglia di Anna Frank aveva lasciato la Germania negli anni Trenta per scappare dai nazisti, ma le cose peggiorarono a partire dal 1940, quando i tedeschi invasero i Paesi Bassi. Dal 1942, Anna rimase nascosta per circa due anni in un rifugio di una casa poco fuori dal centro di Amsterdam assieme al padre Otto, alla madre Edith e alla sorella Margot, e in questo periodo scrisse il suo famoso diario, diventato una celebre testimonianza degli orrori del regime nazista. Dopo l’arresto, avvenuto il 4 agosto del 1944, fu trasportata dapprima al campo di transito di Westerbork, poi al campo di sterminio di Auschwitz e infine a quello di Bergen-Belsen, dove morì nel febbraio del 1945, probabilmente a causa del tifo.

Il padre, che fu portato direttamente ad Auschwitz, fu l’unico a sopravvivere, senza vedere mai più la moglie e le figlie: fece pubblicare il diario di Anna nel 1947, determinato a capire chi potesse aver segnalato la sua famiglia, e morì nel 1980.

Nel 1947 e nel 1963 c’erano già state due indagini sul possibile “tradimento” della famiglia Frank, che però non avevano portato da nessuna parte. Negli ultimi sei anni il gruppo di Pankoke ha impiegato le tecniche utilizzate nelle indagini moderne per analizzare il modus operandi dei nazisti e verificare centinaia di testimonianze e documenti, con l’obiettivo di riaprire un celebre caso che dopo oltre 75 anni era ancora irrisolto.

Secondo gli investigatori, le persone che denunciavano gli ebrei ai nazisti lo facevano per antisemitismo, in cambio di soldi oppure per sfruttare la cosa a proprio vantaggio. A poco a poco, i sospetti su chi potesse aver denunciato i Frank si concentrarono non sulle persone che abitavano nelle case vicine a quella in cui si stavano nascondendo, né su quelle che lavoravano con Otto, bensì sui membri dei consigli ebraici (Judenrat), cioè le organizzazioni imposte dai nazisti che avevano lo scopo di agevolare l’applicazione delle nuove leggi contro gli ebrei, in particolare sfruttando l’influenza dei loro membri più in vista, tra cui rabbini e anziani.

Secondo le ricostruzioni degli investigatori, la persona che aveva dato ai nazisti una lista degli indirizzi dei nascondigli di varie famiglie ebree, tra cui quella di Anna Frank, fu Arnold van den Bergh, un notaio ebreo olandese che era un membro molto influente di uno di questi consigli.

– Leggi anche: Le pagine segrete nel diario di Anna Frank

Van den Bergh lavorava come notaio nel mondo dell’arte e tra le altre cose aveva seguito la compravendita di molte opere d’arte acquisite forzatamente da nazisti illustri come Hermann Göring, fondatore e comandante della Luftwaffe, l’aviazione della Germania nazista. Gli investigatori hanno scoperto che inizialmente van den Bergh era riuscito a identificarsi come persona non ebraica, ma aveva dovuto rivelare la propria identità in seguito a una disputa legata a una questione di affari. Tuttavia, quando i consigli ebraici vennero sciolti, alla fine del 1943, né lui né i suoi familiari più stretti furono inviati nei campi di sterminio, a differenza degli altri ebrei: per questo è stato ipotizzato che dovesse avere un qualche tipo di accordo con i nazisti, o comunque che avesse sfruttato il fatto di aver segnalato alcune famiglie ebree come una sorta di assicurazione per la propria famiglia.

Il suo nome era peraltro stato fatto anche nelle indagini del 1963, ma al tempo la polizia non aveva indagato più a fondo.

Uno dei motivi principali per cui gli investigatori hanno concentrato i propri sospetti su van den Bergh è che molti anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale Otto Frank aveva rivelato a un giornalista che secondo lui la sua famiglia era stata tradita da qualcuno all’interno della comunità ebraica. Lo aveva sostenuto in particolare per via di un messaggio anonimo che aveva ricevuto, in cui non era indicato espressamente il suo nome ma si diceva che la sua famiglia era stata tradita proprio da Arnold van den Bergh.

Il messaggio ricevuto da Otto Frank è stato consegnato agli investigatori dal figlio del detective che a suo tempo aveva seguito le indagini e corrisponde con altri resoconti contenuti nell’archivio nazionale olandese, secondo cui una persona legata ai consigli ebraici aveva consegnato ai nazisti gli indirizzi di diverse famiglie ebree nascoste.

Secondo le nuove indagini, inoltre, durante una conferenza negli anni Novanta una delle persone che avevano aiutato la famiglia Frank a rifugiarsi si era lasciata scappare che la persona che li aveva traditi era morta prima del 1960: van den Bergh morì nel 1950.

Per il momento non ci sono prove che van den Bergh sapesse chi si stava nascondendo nelle case agli indirizzi che aveva fornito ai nazisti e non è chiaro come mai non si fosse indagato su di lui più a fondo nonostante il messaggio anonimo fosse tra i documenti raccolti in precedenza dagli investigatori. Casa Anna Frank, la fondazione olandese che dal 1957 gestisce il museo dedicato ad Anna Frank ad Amsterdam, ha detto di non avere ulteriori prove che confermino le responsabilità di van den Bergh oppure lo esonerino dalla vicenda. La Fondazione svizzera Anne Frank Fonds, che fu istituita da Otto Frank nel 1963 e gestisce i diritti del Diario di Anna Frank, ha fatto sapere che non commenterà le nuove ipotesi fino a quando non avrà visto i risultati completi delle indagini.

– Leggi anche: La famiglia di Anna Frank provò a scappare negli Stati Uniti