Il mercato immobiliare nel metaverso

C'è già chi sta spendendo un sacco di soldi per comprare dei pezzetti dei mondi virtuali in cui qualcuno vorrebbe trasferire le nostre vite

(Immagine da Decentraland)
(Immagine da Decentraland)

Nel metaverso, l’annunciato e per ora sperimentale mondo virtuale in cui Mark Zuckerberg vorrebbe trasferire nei prossimi anni un pezzo importante delle vite delle persone, c’è già quello che in altri contesti verrebbe definito un “boom immobiliare”. Molte piattaforme che ambiscono a occupare uno spazio di questo nuovo tipo di piattaforma di networking sociale online, che sarà costruita e gestita da Facebook e probabilmente da diverse altre aziende di tecnologia: ci sono cioè persone che comprano a caro prezzo spazi e costruzioni digitali.

Li comprano sotto forma di NFT, cioè con un certificato che ne garantisce l’autenticità e la proprietà, pagandoli in criptovalute: per costruirci e farci cose virtuali, oppure per tenerseli qualche tempo nella speranza di rivenderli in futuro a un prezzo più alto. È un fenomeno piuttosto strano e difficile da inquadrare per chi non frequenta questo mondo, ma sta effettivamente succedendo, con investimenti milionari da parte di alcune aziende e con tanti privati che spendono migliaia di euro per acquisire la proprietà di piccoli quadratini virtuali. Potrebbero essere investimenti remunerativi e lungimiranti, oppure una nuova grande bolla pronta a scoppiare; una bolla che sarebbe immobiliare, finanziaria e digitale in un colpo solo.

Molti hanno familiarizzato con l’espressione metaverso solo da qualche settimana, dopo che Facebook ha cambiato nome aziendale in “Meta” e ha annunciato i suoi progetti in merito, ma è una parola inventata nei primi anni Novanta e successivamente usata in riferimento a spazi tridimensionali e virtuali in cui è possibile fare molte cose: per esempio passeggiare, conversare, fare acquisti o assistere a un concerto virtuale. Per come lo si immagina oggi, il metaverso è una sorta di evoluzione di quello che fu Second Life o che ancora è GTA Online, qualcosa di simile alla realtà virtuale del libro e del film Ready Player One

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Nelle ipotesi più ottimiste di chi ritiene sia una buona idea, il metaverso sarà vastissimo, popolatissimo e strapieno di cose da fare e comprare. Sarà sempre attivo, parallelo al mondo fisico e per molti versi in grado di sovrapporsi a esso. Come succede ora con Internet, ma molto di più.

A voler creare e gestire il metaverso sono in tanti, non solo Facebook. Al momento, tuttavia, non esiste un solo e unico metaverso integrato, bensì tanti metaversi autonomi, tante piattaforme virtuali che ambiscono a diventare il metaverso principale o quantomeno a gestirne certi aspetti. C’è qualcosa del metaverso in giochi come Fortnite, Minecraft e Roblox, e in piattaforme come Sandbox o Decentraland.

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Decentraland, per esempio, è un mondo virtuale accessibile solo dal febbraio 2020 ma i cui lotti sono in vendita già dal 2017. La criptovaluta con cui li si compra si chiama “mana”, una sidechain (una valuta derivata e parallela, e per questo ancora più volatile) di ethereum. Al momento un mana vale circa tre euro, ma qualche settimana fa ne valeva quasi cinque. A inizio 2021 ci volevano invece una decina di mana per fare un euro.

Decentraland è fatto da poco più di 90mila appezzamenti: agli inizi della piattaforma, se ne poteva comprare uno per una ventina di euro, ora quelli che costano meno sono venduti a 12mila euro, e c’è un’azienda che ha pagato quasi un milione di euro per 259 pezzettini su cui fare un centro commerciale virtuale. Così come in altre piattaforme simili, in Decentraland ci sono aree dedicate allo shopping, all’arte o al gioco d’azzardo.

In buona sostanza, per comprare uno di questi lotti di terra bisogna avere determinate criptovalute in appositi wallet, dei portafogli virtuali dedicati. Chi ha un wallet con la quantità di criptovalute richiesta, può quindi andare sui siti di queste piattaforme o su altri mercati di rivendita esterna (per esempio OpenSea, noto sito per la compravendita di NFT), scegliere un appezzamento e pagarlo, magari partecipando a un’asta. Spesso gli appezzamenti non sono null’altro che quadratini o rettangolini di una grande mappa, identificati da specifiche coordinate.

(Immagine dal marketplace di Decentraland)

Il valore dei terreni è dato dall’importanza percepita della piattaforma su cui si trovano, ma anche dalla loro centralità o rilevanza all’interno della mappa: anche lì, come nella vita fisica, un terreno in centro costa in genere più di uno in periferia. E anche lì, se si vuole fare un investimento, conviene avere terreni in luoghi che si spera siano o diventino trafficati e frequentati, virtualmente.

Dopo aver comprato un lotto, ci si possono costruire o far succedere cose nel tentativo di accrescerne il valore. Più lotti vicini si comprano, più grandi sono le cose che si possono fare. Ed è anche possibile affittare lotti o comprarne altri con sopra edifici già costruiti. Come nella realtà, anche per i metaversi già esistono consulenti e agenzie immobiliari, una delle quali si chiama Metaverse Properties.

Le ragioni per cui grandi società e piccoli investitori comprano e vendono appezzamenti e proprietà immobiliari virtuali sono tante e non sempre chiare. Anzitutto, così come certi altri NFT – da quelli artistici fino ai collectibles – perché sono un modo per investire le criptovalute, o per dare loro un senso. Così come, secondo chi crede nelle potenzialità di questo settore, chi ha decine o centinaia di migliaia di euro può comprare quadri oppure investire nel “mattone” o nell’oro. Ovviamente a molti più che un investimento sembra semplicemente una scommessa azzardata, basata sul passeggero e ingenuo entusiasmo di migliaia di appassionati che in giro per il mondo si sono ritrovati con improvvise e ingenti quantità di denaro virtuale da spendere, e idee balzane su cosa abbia un vero valore e cosa no.

Ma nella storia è sempre successo che oggetti, materiali o titoli azionari di ogni tipo acquisissero velocemente un valore apparentemente sproporzionato, conseguente alla crescita della domanda. Un fenomeno che spesso si autoalimenta spingendo sempre più persone a comprare questi beni solo perché temono di rimanere tagliate fuori dalla “next big thing”, cioè da qualcosa che sta per diventare grande e oltremodo redditizio.

Il fatto che giornali, siti, profili social e canali YouTube abbiano parlato di queste faccende non ha fatto altro che ingrandire la cosa, soprattutto quando danno spazio a chi ha interesse diretto ad attirare attenzioni e a alimentare l’entusiasmo. «È come comprare un terreno a Manhattan 250 anni fa, quando New York iniziava a essere costruita», ha detto al Wall Street Journal Andrew Kiguel, amministratore delegato di Tokens.com, azienda che si occupa di criptovalute che a ottobre ha speso oltre un milione e mezzo di dollari per acquisire la metà di Metaverse Group, che si occupa di attività immobiliari virtuali. Oltre ad avere una sede a Toronto, l’azienda ha un suo “quartier generale” in Cripto Valley, un posto che sta dentro a Decentraland e che il New York Times ha descritto come «la versione della Silicon Valley nel metaverso».

Grazie ai terreni virtuali nel metaverso c’è chi, vendendo dopo aver comprato, ha effettivamente guadagnato un sacco di soldi. E probabilmente, specie su certe piattaforme, c’è ancora spazio per guadagnare, a patto che si vogliano rischiare le somme non indifferenti che ormai servono per comprare qualcosa. È però altrettanto probabile che molti altri proveranno a investire tentati dai profitti ventilati, sbaglieranno momento o piattaforma e resteranno con un inutile e vuoto lotto virtuale costato magari migliaia di euro, fregati da quella che di recente Wired ha presentato come «l’illusione della corsa alla terra del metaverso».

Secondo Eric Ravenscraft, autore dell’articolo di Wired, i problemi più gravi sono che i metaversi sono tanti e il metaverso unico ancora solo ipotetico: il dubbio è su quanto sia plausibile che il metaverso diventi davvero qualcosa di paragonabile a quello che ora è internet. Anche in quest’eventualità, non è semplice capire quale sarà quello giusto e dominante e quali invece diventeranno deserto digitale. Per Ravenscraft non si può rispondere a nessuna delle due domande, e quindi ogni investimento rappresenta un grosso azzardo. Specie visti gli alti prezzi di questi lotti virtuali, che rendono parecchio difficile diversificare gli investimenti tra più piattaforme, nella speranza di indovinare quella ipoteticamente giusta.

Ravenscraft sostiene poi che, per spiegare e ricondurre concetti astratti a qualcosa di pratico e tangibile, spesso si parla di attività immobiliari nel metaverso con termini troppo semplicistici, ricalcando espressioni tipiche delle attività immobiliari reali. La differenza, intuitiva, è che le attività immobiliari reali avvengono in un mondo finito e con spazi limitati, mentre quelle del metaverso si sviluppano in qualcosa che tende all’infinito. Si possono infatti creare svariati metaversi, con nuovi mondi e nuove città, in ognuna delle quali si possono “costruire” (in realtà programmare e realizzare digitalmente) grattacieli infinitamente alti.

«Comprare “immobili” in queste piattaforme» ha scritto Ravenscraft «è come comprare un terreno a Manhattan, ma in un mondo in cui chiunque può creare un numero infinito di Manhattan alternative altrettanto facili da raggiungere».

Per il suo articolo, Ravenscraft si è anche fatto una passeggiata virtuale per le strade di Decentraland. Lo ha descritto come un mondo ancora piuttosto vuoto e deludente, frequentato solo in alcuni suoi punti nevralgici: per esempio il “fashion district”, il quartiere della moda, presidiato da pubblicità di aziende come Chanel, Tommy Hilfiger o Dolce & Gabbana, ma che per ora non offre comunque granché da fare. Ravenscraft ha scritto che più che un mondo in divenire, in Decentraland ha visto «le facciate di un set cinematografico» dietro le quali però non c’è ancora nulla. «È una città fantasma a tutti gli effetti», ha scritto, evidenziando peraltro la pochezza grafica della piattaforma, i suoi molti bug e i pochi controlli sui nomi talvolta offensivi usati nel gioco.

Come le tecnologie su cui si appoggiano, anche i terreni nel metaverso sono insomma una questione su cui esiste un enorme scarto di percezione tra chi se ne occupa ed è coinvolto direttamente e chi osserva il fenomeno dall’esterno. I primi accusano solitamente i secondi di non capire.

Forse questi terreni sono un pezzo – letteralmente – di quello che potrebbe essere il futuro della tecnologia, e quindi dell’economia, e quindi il corrispettivo di quello che vent’anni fa potevano essere le azioni Amazon o dieci anni fa una manciata di Bitcoin. Magari tra qualche anno moltissimi tra noi avranno un avatar in Decentraland, e oltre a pagare terreni virtuali compreranno armadi virtuali in cui riporre cappotti virtuali, da usare in quello di cui già si parla come “omniverso” (l’unione tra il reale e il metaverso). O magari, qualche abbozzo di metaverso continuerà a crescere per alcuni mesi, dando modo a molti di rischiare e guadagnare soldi prima che la bolla esploda.

È possibile che uno o più metaversi perdano di colpo valore, magari perché rimpiazzati da qualcosa di migliore e più interessante, e che molte persone si ritrovino quindi con terreni senza valore. Per esempio per colpa di una imprevista svalutazione dei mana. Come sempre succede quando tutti vogliono vendere e nessuno comprare, qualcuno resterà fregato.

Intanto, però, c’è chi parla di ambasciate e cimiteri nel metaverso, e tra le piattaforme che si stanno facendo notare c’è SuperWorld, un mondo virtuale che ricalca il mondo reale (la Terra, insomma) ed è diviso in 64,8 miliardi di pezzettini, ognuno in vendita come NFT. A meno che non viviate a Manhattan o davanti al Colosseo, ci sono buone ragioni per credere che il quadratino della vostra casa sia acquistabile per qualche centinaio di euro. Nel caso ci stiate pensando è il caso, come ha scritto Fortune, «di fare prima i conti con quello che è davvero un terreno digitale: uno spazio intangibile in un mondo virtuale», una scommessa che rappresenta a sua volta «una scommessa sul futuro del metaverso stesso».