E gli NFT?

Dopo che se ne parlò ovunque in relazione all'arte, ora i certificati di autenticità digitali si stanno spostando più silenziosamente altrove

(Cindy Ord/Getty Images)
(Cindy Ord/Getty Images)
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È probabile che la maggior parte di chi sa cos’è un NFT, lo sappia da meno di cento giorni. Ovvero da poco prima o poco dopo che la casa d’arte Christie’s vendesse per 69,3 milioni di dollari la versione originale e certificata di un’opera d’arte digitale che esiste solo come file JPEG. Quella vendita rappresentò infatti il momento di massima visibilità degli NFT, i certificati di autenticità digitale (acronimo delle parole inglesi “Non-Fungible Token”) usati per garantire la proprietà di qualcosa. Certificati che esistono grazie alla blockchain: una tecnologia spesso associata alle criptovalute, ma che può avere anche altre applicazioni.

Sebbene gli NFT esistessero già da diversi anni, un centinaio di giorni fa in molti si misero quindi a spiegare come e perché quelle semplici informazioni o firme digitali erano improvvisamente usate per dare valore a cose che fino a poco prima non sembravano poterne avere. Tra quelle cose c’erano opere d’arte, ma anche tweet, canzoni, articoli di giornale, meme, brevi video sportivi in edizione limitata o anche il corrispettivo digitale di figurine o carte da collezione. Essendo gli NFT una serie di informazioni allegate a qualcosa, di pressoché qualsiasi cosa si può fare un NFT. Superato quel picco di interesse, gli NFT sono però usciti dalle attenzioni di molti.

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Nonostante siano oggi un po’ meno mainstream rispetto a qualche mese fa, gli NFT continuano però a essere creati, comprati e a volte rivenduti con una certa intensità. In alcuni casi per centinaia di migliaia di euro l’uno.

Secondo certe stime – che di certo sono in difetto perché è impossibile monitorare a pieno un settore vasto come quello degli NFT – solo a maggio ne sono state comprati decine di migliaia. I dati elaborati da Nonfungible.com – che tengono conto solo di NFT venduti tramite la blockchain Ethereum: quindi tanti, ma non tutti – dicono addirittura che c’è stato un singolo giorno, il 3 maggio, in cui le transazioni relative agli NFT hanno superato i 100 milioni di dollari. Nei circa tre anni in cui Nonfungible.com ha monitorato il giro d’affari del settore, in nessun giorno era stato raggiunto un valore così alto. Gli NFT, insomma, continuano a essere qualcosa di grosso anche quando molti hanno smesso di parlarne o interessarsene.

Dopo il picco di inizio maggio, tuttavia, per quella che è stata descritta come una naturale flessione del mercato, il volume di soldi legato agli NFT è diminuito, cosa che ha portato alcuni osservatori a parlare di una preannunciata esplosione della presunta bolla che li riguardava.

A ben vedere, però, potrebbe non essere così. Se da un lato è infatti vero che sembra essere diminuito il volume di transazioni legate agli NFT artistici o pseudo-artistici, dall’altro continuano a restare rilevanti altre applicazioni. In particolare quelle legate ai cosiddetti collectibles, ovvero gli NFT “da collezione”. Per esempio i CryptoPunk: 10mila “personaggi unici da collezione” (come quello nella foto in alto) che esistono dal 2017, ma il cui valore è notevolmente cresciuto nelle ultime settimane.

Continua inoltre la trasformazione in NFT di altre cose che esistevano già da tempo in altre forme. Tim Berners-Lee, l’inventore del world wide web, ha per esempio messo all’asta, sotto forma di NFT, «il codice sorgente del primo internet». E nella grande varietà di quello che è diventato NFT c’è un po’ di tutto: dalle spille originali delle Olimpiadi alle macchinine Hot Wheels dell’azienda di giocattoli Mattel, dagli orologi a dei particolari “cavalli digitali”, da allevare e far gareggiare tra loro su un’apposita piattaforma.

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Insomma, se è vero che una flessione c’è stata, è altrettanto vero che è forse presto per parlare degli NFT come di qualcosa che è già svanito e non più rilevante. Come ha detto a Quartz Daniel Roberts, caporedattore del sito Decrypt, dedicato alle criptovalute, per quanto gli NFT siano usciti dai radar di molti «non sono per niente morti». E come ha scritto Artnet, «le vendite di NFT sono diminuite, ma il mercato non è imploso, almeno non ancora».

In un articolo intitolato “Il futuro degli NFT dopo l’hype” (cioè dopo la grande e improvvisa passione e curiosità nei loro confronti), Forbes ha scritto che «gli NFT potrebbero diventare estesamente usati, anche se magari in modi meno appariscenti rispetto agli ultimi mesi». Perché, «a patto che si risolvano alcuni importanti problemi che li riguardano», potrebbero avere numerose applicazioni pratiche, in svariati settori.

Anzitutto, c’è chi ritiene che una recente flessione fosse in qualche modo necessaria all’intero settore per assestarsi, dopo i picchi degli ultimi mesi. E che, nello specifico, sia successo in conseguenza di una rapida ascesa e altrettanto rapida discesa nel valore di alcuni collectibles noti come MeeBits, che erano stati creati con l’ambizione di replicare il successo dei CryptoPunk, però senza riuscirci.

C’è inoltre chi sostiene che così come gli NFT avevano avuto successo in relazione all’aumento di valore di molte criptovalute, ora che molte criptovalute sono crollate anche il mercato degli NFT si è ridimensionato. Sebbene li si possa anche acquistare con valute tradizionali, gli NFT sono infatti spesso comprati e venduti da chi di criptovalute si intende almeno un po’, tanto che se ne era parlato come di un modo per capitalizzare (in investimenti però tutt’altro che sicuri) i guadagni fatti da molti con le valute digitali.

Guardando al futuro, l’idea di alcuni osservatori è che gli NFT potranno continuare a essere utili per la compravendita di proprietà di vario tipo, digitali ma anche reali, concrete. Come ha scritto Forbes, nel caso di compravendite reali, gli NFT «potrebbero potenzialmente garantire transazioni più semplici e veloci» e svilupparsi per diventare dei tipi di contratti “intelligenti” e “automatizzati”, con una serie di regole che si mettono in atto da sole» a seconda di determinate situazioni (cose che del resto si dicono spesso con discorsi un po’ vaghi anche per le criptovalute e la blockchain).

C’è insomma chi pensa che a una prima fase più speculativa, sul medio e lungo termine gli NFT possano trovare applicazioni più utili e meno effimere. «Per definizione, i mercati speculativi sono instabili e tendono a prosciugarsi», ha detto a CNBC Nadya Ivanova, direttrice operativa di L’Atelier, una società di ricerca di BNP Paribas. Secondo lei c’è però la possibilità che «quando le tecnologie per la realtà aumentata e virtuale saranno mature, sempre più persone passeranno il loro tempo online, e quindi anche spenderanno lì i loro soldi, in ambienti virtuali». Ambienti e contesti in cui gli NFT e le proprietà virtuali con essi certificate potrebbero trovare tanti campi di applicazione.

Si continua inoltre a parlare – con vari livelli di fattibilità – di possibili applicazioni degli NFT in contesti ben diversi da quelli per i quali sono noti ai più. Tra gli altri, la musica, il cinema, la pornografia, la scienza, i viaggi, la moda, il design e il mercato immobiliare.

In qualsiasi caso, che si tratti di un contesto virtuale o reale, legato o meno alle criptovalute, resta però da vedere se le transazioni, i contratti e le proprietà certificate dagli NFT potranno anche essere sicure, tracciabili e a prova di falsificazione. Come già si diceva a marzo, ai tempi del JPEG di Beeple, gli NFT chiamano in causa tutta una vasta serie di complicazioni, e per ogni possibile prospettiva ci sono anche tanti possibili problemi, in gran parte ancora da risolvere. Compresa la non secondaria questione ambientale, legata al costo energetico della blockchain, di cui spesso si parla anche in relazione alle criptovalute.

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