L’importanza dei “secondi” negli scacchi

Cioè gli assistenti e consiglieri scelti dai campioni per aiutarli nei grandi incontri, che poi diventano rivali, come nel Mondiale in corso

(AP Photo/Kamran Jebreili)
(AP Photo/Kamran Jebreili)

Dal 24 novembre a Dubai ci sono i Mondiali di scacchi, in cui si affrontano il campione in carica norvegese Magnus Carlsen e lo sfidante russo Ian Nepomniachtchi. Finora ci sono stati otto incontri: dopo molti pareggi, segno di grande equilibrio e dell’altissimo livello di entrambi, Carlsen ne ha vinti due: il sesto (che con le sue 136 mosse in quasi otto ore è stato il più lungo nella storia dei Mondiali di scacchi) e l’ottavo, sfruttando un errore piuttosto grossolano (a quei livelli) di Nepomniachtchi. Carlsen è senz’altro favorito per la vittoria: perché i Mondiali si giocano al meglio dei 14 incontri e lui è in vantaggio di due, ma anche perché è considerato il miglior scacchista almeno dai tempi di Garry Kasparov, forse il migliore di sempre, ed è campione in carica dal 2013.

Dalla sua, Nepomniachtchi deve sperare in più errori dell’avversario e puntare sul fatto che conosce Carlsen come pochissimi altri al mondo. Perché si conoscono fin da quando erano bambini e perché nel 2014, quando Carlsen aveva 23 anni e vinceva il secondo dei suoi Mondiali, Nepomniachtchi – suo coetaneo – era uno dei suoi secondi. E come ha raccontato un recente articolo del Wall Street Journal, i secondi (intesi come assistenti, consulenti, sparring partner e compagni di allenamento) sono importantissimi.

I secondi, ha scritto il Wall Street Journalsono «scacchisti di primissimo livello che prima e durante i grandi incontri diventano compagni di studio dei campioni».

Nel 2014, Carlsen vinse contro Viswanathan Anand, del quale anni prima – quando ancora doveva compiere vent’anni – era stato più volte secondo, e tra i suoi secondi scelse Nepomniachtchi, già allora noto per un approccio «aggressivo e incredibilmente intuitivo al gioco». Come ha ricordato Danny Rensch di Chess.com, fu una scelta che «molti accolsero con sorpresa», perché già si intuiva che un giorno Nepomniachtchi sarebbe potuto diventare un suo sfidante al più alto dei livelli, e avere come assistente un probabile futuro sfidante era un rischio.

Negli scacchi, i secondi sono giocatori che per mesi prima degli incontri decisivi e poi per tutta la durata di quegli incontri assistono i campioni, per studiare insieme strategie e stili di gioco dell’avversario e per elaborare insieme approccio e contromosse. Campioni e secondi, ha scritto il Wall Street Journal, «mangiano insieme, si allenano insieme e insieme studiano tantissimo gli scacchi». Il tutto lavorando «a ogni ora per divorare e distillare informazioni» utili ai campioni, con i quali stanno in «luoghi di allenamento segreti che diventano grandissimi laboratori per studiare e innovare gli scacchi».

I secondi servono ai campioni per discutere insieme di scacchi, per stimolare riflessioni e ragionamenti – una cosa non proprio semplicissima perché significa parlare di qualcosa con qualcuno che è il migliore al mondo in quella cosa – ma anche, come ha spiegato Peter Heine Nielsen, allenatore di Carlsen, per avere qualcuno «che lavori per i campioni mentre i campioni si riposano».

I secondi sono così importanti che quando possibile, quantomeno prima delle gare decisive, la loro identità è tenuta segreta, per esempio oscurando le loro facce nelle fotografie diffuse prima delle gare. Perché l’avversario potrebbe trarre vantaggio dal sapere che un certo scacchista si sta allenando e confrontando con un altro, magari noto per come padroneggia una certa mossa o apertura.

Durante le partite – quindi nel caso dei Mondiali, in questi giorni – i secondi sono invece sparsi in giro per il mondo, al fine di assicurare che anche mentre a Dubai Carlsen o Nepomniachtchi dormono, magari dopo ore di partite, altrove, in qualche parte in cui ancora è giorno, c’è qualche secondo ancora (o già) sveglio, magari intento ad arrovellarsi su qualche possibile contromossa.

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I secondi sono difficili da scegliere perché sebbene al mondo ci siano sempre più Gran maestri di scacchi, i seri candidati per essere validi secondi sono pochi e spesso contesi da entrambi gli sfidanti. I secondi rappresentano poi una peculiarità negli scacchi, perché presuppongono la creazione di qualcosa di molto simile a una “squadra” con quelli che sono stati o saranno avversari, per giunta in un contesto estremamente individuale, basato sull’uno contro uno, come quello degli scacchi. Spesso, oltre a riporre in loro grande fiducia scacchistica, i campioni finiscono per confrontarsi, svagarsi, chiacchierare e dibattere anche di altro con i loro secondi.

Eppure sono importantissimi, da decenni. C’erano ai tempi di Bobby Fischer – che nel 1972, ai tempi della storica finale di Reykjavik nel 1972 contro Boris Spassky, ne licenziò uno e ne ingaggiò un altro per parlare di scacchi ma anche di altro, magari passeggiando o giocando a bowling – e ci sono ancora oggi, quando gran parte del loro ruolo consiste nel tramutare in informazioni utili per i campioni di turno tutto ciò che i computer riescono ad analizzare durante ogni partita.

«Carlsen e Nepomniachtchi» ha scritto il Wall Street Journal «hanno accesso a reti neurali e computer potentissimi che capiscono il loro gioco meglio di ogni altro essere umano al mondo»; sono però così tante, e il loro tempo così poco, che i secondi diventano fondamentali per capirle e assimilarle.

L’ironia, ha scritto sempre il Wall Street Journal, è che si era pensato che la tecnologia avrebbe reso obsoleti i secondi (e più in generale l’analisi umana delle partite) mentre invece «li ha resi ancora più determinanti».

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