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  • Domenica 5 dicembre 2021

Prima di Rosa Parks, c’era stata Claudette Colvin

Come la famosa attivista per i diritti civili, anche lei si rifiutò di lasciare il suo posto a sedere: ma la sua storia non è altrettanto nota

di Roberta Cavaglià

Claudette Colvin (Julie Bennett/Getty Images)
Claudette Colvin (Julie Bennett/Getty Images)

Il primo dicembre 1955, a Montgomery, in Alabama, Rosa Parks fu arrestata per non aver lasciato il suo posto sull’autobus a un uomo bianco. All’epoca, in diversi stati del sud degli Stati Uniti, i cittadini neri come lei potevano sedersi solo nella parte posteriore degli autobus ed erano obbligati a spostarsi o eventualmente scendere dal mezzo in caso non ci fossero stati abbastanza posti per i passeggeri bianchi. Il rifiuto di Parks e il suo arresto convinsero la comunità afroamericana a boicottare il sistema degli autobus della città per quasi un anno, fino a ottenere l’abolizione della segregazione razziale sui mezzi di trasporto pubblico in Alabama.

Il gesto di Parks e le sue conseguenze l’hanno resa famosa in tutto il mondo, ispirando numerosi film, libri e canzoni. Nel 1999 a Parks – che è morta nel 2005 – fu attribuita la Medaglia d’oro del Congresso, il più prestigioso riconoscimento civile che un cittadino statunitense possa ricevere: nell’atto ufficiale viene riconosciuta come la «first lady dei diritti civili». Ma Parks non fu la prima persona a Montgomery a ribellarsi alle leggi segregazioniste, conosciute negli Stati Uniti anche come leggi “Jim Crow”. Nove mesi prima di lei una ragazza nera di 15 anni, Claudette Colvin, era stata arrestata per aver violato la stessa ordinanza cittadina e accusata di avere aggredito un agente della polizia. Per queste accuse era stata condannata alla libertà condizionale, senza mai ricevere la notifica di revoca o fine della pena. Oggi Colvin ha 82 anni e un mese fa ha chiesto al tribunale minorile della contea di Montgomery di ripulire la sua fedina penale.

«Di solito io e i miei compagni di scuola prendevamo un autobus speciale che era riservato ai bambini neri. […] Ma il 2 marzo del 1955 eravamo usciti da scuola prima, credo a causa di una riunione tra gli insegnanti. Avevamo camminato fino in centro e preso il bus cittadino per tornare a casa», ha raccontato Colvin nella dichiarazione scritta che accompagna la petizione presentata in tribunale. Qualche fermata dopo, lo spazio anteriore sul bus era al completo e l’autista aveva detto a lei e ai suoi compagni di liberare quindi la prima fila della sezione posteriore per fare spazio a una ragazza bianca: gli altri si erano spostati, mentre lei era rimasta seduta. Nella dichiarazione Colvin ha raccontato che fu «trascinata fuori dal bus, ammanettata e portata in cella», senza menzionare l’accusa di aggressione al poliziotto.

In un articolo sul sito di CNN ha aggiunto che resistette all’arresto e che gridò «è un mio diritto costituzionale!». Fu per l’aggressione che una corte di Montgomery – annullando le condanne del tribunale minorile per violazione delle regole segregazioniste – confermò la condanna assegnandole la libertà condizionata a tempo indefinito, legata al mantenimento di una buona condotta. «Per quanto ne so, la mia libertà condizionata non è mai stata revocata», ha scritto ora Colvin, anche se il suo avvocato ha spiegato a CNN che il periodo di libertà condizionata invece scadde quando Colvin compì diciotto anni, nonostante lei non avesse ricevuto all’epoca nessuna comunicazione ufficiale.

La storia di Colvin attirò subito l’attenzione della National Association for the Advancement of Coloured People (NAACP), una delle prime e più importanti associazioni per i diritti civili negli Stati Uniti, e di altre associazioni simili che però decisero di non organizzare nessuna azione politica, nonostante fossero da qualche tempo alla ricerca della figura giusta per guidare le proteste contro la segregazione razziale sugli autobus di Montgomery.

Colvin infatti aveva 15 anni al momento dell’arresto e poco tempo dopo scoprì di essere incinta. «[I membri dell’organizzazione] dissero di non voler usare un’adolescente incinta perché sarebbe stato controverso e le persone avrebbero parlato più della gravidanza che del boicottaggio», ha raccontato Colvin alla BBC.

L’attivista per i diritti civili Gwen Patton anni fa ha spiegato al Guardian che quella del direttivo della NAACP fu anche una decisione di classe, legata al fatto che Colvin vivesse in una «piccola baracca» e provenisse da una famiglia della classe operaia. Sempre al Guardian, Ed Nixon, all’epoca presidente della sezione di Montgomery della NAACP, ha ammesso che la successiva protesta da parte di Rosa Parks abbia offerto all’organizzazione la persona giusta per dare il via alle proteste: «una donna sposata, moralmente pulita e con una preparazione accademica abbastanza buona». Da qualche tempo Parks era anche segretaria della NAACP e Claudette Colvin ha raccontato di averla conosciuta durante une delle attività per i giovani organizzate dalla NAACP.

In un’altra intervista al Washington Post, Colvin ha aggiunto che oltre ad avere «il giusto background», Parks aveva un colore della pelle più chiaro rispetto al suo e quindi meno possibilità di essere discriminata sia dai membri della sua stessa comunità che dagli altri cittadini (questo genere di discriminazione è chiamato “colorism”).

Più di un anno dopo l’arresto, tuttavia, la NAACP contattò Colvin chiedendole di partecipare come querelante al caso giudiziario che prese il nome di “Browder contro Gayle” (William Gayle era il sindaco di Montgomery), insieme ad altre quattro donne che dopo di lei non avevano rispettato le leggi sulla segregazione razziale sugli autobus della città: Aurelia S. Browder, Susie McDonald, Mary Louise Smith e Jeanatta Reese (Reese si ritirò in seguito a intimidazioni e minacce razziste). Parks non venne coinvolta nella denuncia perché in quel momento era impegnata nel suo processo, che veniva sistematicamente rallentato e rischiava di durare anni e complicare anche l’altro. Il 5 giugno 1956, il tribunale distrettuale stabilì che la segregazione sugli autobus in Alabama fosse incostituzionale. La stessa sentenza venne confermata dalla Corte Suprema il 17 dicembre 1956 e tre giorni dopo finì il boicottaggio dei bus a Montgomery ispirato dal gesto di Parks.

Dopo aver testimoniato in quel processo, Colvin rimase per altri quattro anni in Alabama, dove però faticava a trovare lavoro. «Venivo sempre licenziata quando i miei datori di lavoro scoprivano che ero “la ragazza”, quella che era rimasta seduta sul bus», ha raccontato nella sua dichiarazione del mese scorso. Poi si trasferì nel Bronx, a New York, dove visse per gran parte della sua vita senza far sapere ad altre persone del suo arresto, tornando a trovare la famiglia in Alabama d’estate, ma sempre con il timore di essere arrestata dalla polizia per aver violato la libertà condizionata (dopo esser stata licenziata dal negozio in cui lavorava a Montgomery, anche Parks si trasferì prima a Hampton, in Virginia, e poi a Detroit).

Da qualche tempo Colvin vive in una casa di riposo a Birmingham, in Alabama, ma l’idea di andare a vivere in Texas con il figlio e i nipoti l’ha spinta a presentare una petizione per cancellare la condanna dalla sua fedina penale prima del trasferimento, e ottenere giustizia sui documenti storici. Il giudice a cui è stata affidata la questione ha preannunciato che la condanna sarà cancellata. Da almeno vent’anni, però, Colvin e la sua famiglia cercano anche di far riconoscere e valorizzare il suo ruolo all’interno della storia del movimento per i diritti civili.

Nel 2000, Colvin si è rifiutata di apparire in un video destinato al Rosa Parks Museum di Montgomery, affermando che il nome del museo avesse già scelto quale fosse la storia da raccontare. Nel 2016, la richiesta di Colvin e dei familiari di menzionare il suo arresto all’interno del National Museum of African American History and Culture (NMAAHC) di Washington non è stata accolta.