Le auto salvarono le città dal letame dei cavalli?

Secondo una popolare credenza un grosso problema di sanità urbana venne risolto dal motore a scoppio, ma ebbero un ruolo anche altre trasformazioni

Taxi-carrozza a Londra, 1905 (London Stereoscopic Company/Hulton Archive/Getty Images)
Taxi-carrozza a Londra, 1905 (London Stereoscopic Company/Hulton Archive/Getty Images)

In alcune pubblicazioni che parlano di storia sociale e urbanistica può capitare di leggere di un problema che avevano le grandi città sul finire dell’Ottocento: l’enorme quantità di letame prodotta dai cavalli. A quell’epoca, infatti, il cavallo era ancora il mezzo che la gente usava di più per spostarsi, trainava le carrozze e anche i primi tram sfruttarono la loro forza motrice prima di diventare elettrici.

Questa gran quantità di cavalli, però, produceva anche un sacco di letame, che il più delle volte rimaneva per strada o al limite veniva radunato in mucchi di varia grandezza, senza essere smaltito. Tutto ciò provocò un esteso dibattito – soprattutto in città più popolose come Londra e New York – sulle possibili soluzioni al problema.

Secondo alcune versioni, come quella contenuta nel libro SuperFreaknomics dell’economista Steven D. Levitt e del giornalista Stephen J. Dubner, il fattore che alla fine risolse nel giro di poco tempo la presenza del letame nelle città fu l’avvento dell’automobile che rese obsoleti i cavalli. Ma, come ha raccontato il sito della rivista scientifica Nautilus, il passaggio dai cavalli alle automobili non fu così immediato, e se è vero che il cavallo come mezzo di trasporto venne rimpiazzato gradualmente dal motore a scoppio, è anche vero che alla pulizia delle città contribuirono le trasformazioni nella loro organizzazione e amministrazione.

Una carrozza in Inghilterra, 1890 circa (Francis Frith/Getty Images)

«C’è questa idea per cui tra le epoche sembra esserci una frattura netta» ha detto lo storico Martin Melosi a Nautilus. «Ma nel mondo reale non è così». La transizione che portò alla motorizzazione di massa durò infatti decenni. All’inizio le automobili non solo erano poco diffuse, ma erano anche viste con sospetto da molte persone che non erano abituate a considerarle un mezzo di trasporto utile o alla portata di tutti.

L’automobile divenne un bene di consumo di massa in tutti i paesi occidentali solo dopo la Seconda guerra mondiale. Prima era appannaggio soprattutto di alcune persone molto ricche, che di solito le usavano per andare fuori città, nelle case di campagna. Le strade stesse in città non erano pensate – come lo sono oggi – per ospitare le automobili, con i cartelli stradali e i marciapiedi, bensì erano un luogo ibrido in cui passavano tram e carrozze e in cui chiunque parcheggiava dove voleva, un po’ alla rinfusa. E dove bambini e persone adulte si radunavano per incontrarsi in pubblico e per giocare.

In un contesto simile, le automobili non erano proprio nel loro ambiente ideale e infatti gli abitanti le consideravano una sorta di pericolo pubblico. «La colpa degli incidenti ricadeva interamente sui conducenti» scrive Nautilus. «Nel 1923, a Cincinnati, i residenti chiesero che le auto autorizzate a girare in città fossero modificate in modo da non superare le 25 miglia orarie», cioè 40 chilometri l’ora.

Era così anche in Europa e in Italia: «All’inizio l’automobile non ebbe vita facile» dice Federico Paolini, docente all’Università della Campania e autore del libro Storia sociale dell’automobile in Italia. «Faceva paura e c’erano molte limitazioni. La sua percezione iniziò a cambiare dagli anni Venti del Novecento, sull’onda dell’automobilismo sportivo e della mitologia degli eroi al volante. Poi arrivarono le politiche di modernizzazione, la gara tra fascismo e nazismo per produrre l’auto del popolo. Ma in Europa la motorizzazione di massa avvenne solo a partire dagli anni Settanta. Ancora negli anni Cinquanta, in Italia, circolavano poche migliaia di auto».

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Per quanto riguarda la sporcizia nelle città, il problema fu risolto non soltanto dalla comparsa di un mezzo di trasporto che non produceva letame, ma anche dallo sviluppo di nuove infrastrutture e metodi più sistematici di pulizia. Nautilus cita a questo proposito le interpretazioni di due storici americani esperti dell’argomento, Peter Norton e Christopher Wells. Entrambi ritengono infatti che la cacca dei cavalli fosse una componente – senza dubbio consistente e fastidiosa – di un problema più esteso di smaltimento generale dei rifiuti.

Alcuni aspetti delle città che oggi ci sembrano scontati, come la manutenzione delle strade, la raccolta dei rifiuti e la pulizia degli spazi pubblici, sono comparsi relativamente di recente, tra la fine dell’Ottocento e il Novecento inoltrato. Prima l’immondizia e i rifiuti erano accumulati dove capitava, vicino a dove venivano prodotti. Le fabbriche e le attività commerciali gettavano i rifiuti direttamente nei terreni circostanti o nei fiumi, quando scorrevano nei paraggi. I rifiuti delle case venivano gettati nei canali di scolo cittadini e le acque reflue finivano in latrine e fosse comuni. In breve, per dirla con le parole di Nautilus, «le città erano buchi infernali».

Gli adeguamenti sanitari che resero le città più vivibili (le discariche, lo smaltimento sistematico dei rifiuti, un sistema fognario sotterraneo) comparvero solo tra la fine dell’Ottocento e il Novecento inoltrato, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa e nelle città italiane più sviluppate. In pratica, le trasformazioni avvenute nelle città per adeguare le infrastrutture e costruire sistemi fognari più igienici avvennero parallelamente alla graduale diffusione delle prime automobili.

Per costruire questi nuovi sistemi, peraltro, le strade furono spaccate e distrutte, e vennero poi rifatte in asfalto, un derivato del petrolio che si cominciò a impiegare all’inizio del Novecento per rendere le strade più compatte, lisce e facili da pulire.

Incidentalmente, le strade asfaltate divennero anche decisamente più praticabili per le automobili, che per la prima volta acquisirono un vantaggio competitivo sulle carrozze e sui tram. E questo fu solo uno dei fattori che alla fine portarono alla graduale diffusione delle automobili e alla contestuale scomparsa del cavallo (e del letame dalle strade): furono necessarie anche un’intensa attività di lobbying da parte delle case automobilistiche per far cambiare la percezione delle persone, l’avvento del motorismo sportivo, la crescita dell’industria petrolifera che mise a disposizione grandi quantità di carburante e anche gli investimenti pubblici per costruire nuove strade e autostrade.

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