Furono le mediche a farci cambiare approccio alle mestruazioni

A non vederle più come una malattia che giustificava l'esclusione delle donne dall'istruzione, dalla vita lavorativa o pubblica

di Giulia Siviero

"The Question of Rest for Women during Menstruation", saggio di Mary Putnam Jacobi
"The Question of Rest for Women during Menstruation", saggio di Mary Putnam Jacobi

Per secoli superstizioni, leggende e stereotipi hanno descritto le mestruazioni come un fenomeno invalidante per la vita delle donne, giustificando con varie e connesse argomentazioni l’esclusione delle donne stesse dall’istruzione, dalla vita lavorativa o pubblica. «Il modo più semplice per i medici antifemministi e misogini di usare argomenti contro l’espansione dei diritti delle donne era essenzialmente dire, “beh, sono tutte malate per almeno una settimana al mese”», ha spiegato al New York Times Elinor Cleghorn, autrice di un recente libro sul tema.

Quando le donne cominciarono ad essere ammesse all’università, e a diventare mediche, cominciarono però a modificare l’approccio alla salute sui loro corpi, e in particolare l’immaginario medico e collettivo sulle mestruazioni.

Maionese impazzita
La donna con le mestruazioni è stata descritta per secoli come un’impura. Le religioni hanno ad esempio stabilito una serie di comportamenti da seguire per non compromettere l’integrità di ciò con cui la donna con le mestruazioni entrava in contatto: non toccare le piante, non pregare, non avere rapporti sessuali. Se ne trovano esempi nel libro del Levitico dell’Antico Testamento («Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera»), ma anche nel Corano.

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Oltre alle religioni, le sciagure che una donna con le mestruazioni poteva causare furono descritte da filosofi, scrittori e medici: nella ginecologia antica le mestruazioni erano viste come un indizio della “malattia femminile” e negli scritti ippocratici erano il sintomo dell’instabile equilibrio delle donne. Plinio il Vecchio, all’interno del Naturalis Historia, diceva ad esempio:

«All’arrivo di una donna mestruata il mosto inacidisce, toccate da lei le messi isteriliscono, muoiono gli innesti, bruciano le piante dei giardini; dove lei si siede i frutti cadono dagli alberi, al solo suo sguardo si appanna la lucentezza degli specchi, si ottunde il ferro, si oscura la luce dell’avorio, muoiono le api degli alveari, arrugginiscono istantaneamente il bronzo e il ferro e il bronzo emana un odore terribile»

Semplificando, si può dire che a partire dall’antichità greca fino all’Illuminismo la convinzione prevalente era che il sangue mestruale fosse sangue impuro dotato di poteri negativi.

Nei testi dotti e medici si trovavano diverse variazioni sul tema (negatività, velenosità, pericolosità) e si dovette arrivare al Settecento perché i medici parlassero del sangue mestruale come di tutto l’altro sangue, anche se con eclatanti eccezioni: si cominciarono ad aggiungere osservazioni sulla durata media delle mestruazioni o sull’età del menarca, ma l’idea che la disposizione di una donna, la sua particolare sensibilità o indisciplina fossero il prodotto diretto dell’attività delle sue ovaie non venne meno.

Continuarono, dunque, ad essere consigliati vapori, tisane e vari rimedi utilizzati anche per l’isteria.

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Tutte queste credenze sulle mestruazioni e le donne sono rimaste radicate nelle superstizioni popolari, e anche molto a lungo: si dice ad esempio che le donne con le mestruazioni non facciano lievitare il pane, facciano impazzire la maionese o marcire qualsiasi cosa acquisendo quasi un potere alchemico di trasformazione della materia, ma anche capacità insetticide (in alcune province francesi, all’inizio del Ventesimo secolo si spedivano ancora le donne mestruate a correre nei campi di broccoli per uccidere i bruchi).

Zitta e riposa
La storica britannica Jane McChrystal, in un recente articolo su History Today, ha spiegato che le credenze sulle mestruazioni hanno avuto una funzione sociale ben precisa: quella di escludere le donne dalla scuola, dal lavoro e dalla vita pubblica in generale. «La medicina del diciannovesimo secolo mescolava i progressi della conoscenza scientifica con idee persistenti sui pericoli delle mestruazioni». Una delle più insidiose e con le conseguenze più concrete sulla vita delle donne aveva a che fare con la presunta necessità di assoluto riposo durante “quei giorni”.

Uno dei sostenitori più influenti di questa teoria fu Henry Maudsley, fondatore di un noto ospedale psichiatrico nel sud di Londra.

In un articolo intitolato Sex in Mind and in Education pubblicato nel 1874, Maudsley – che aveva tra l’altro teorizzato come l’isteria e la pazzia femminile derivassero da un riflesso dell’utero al cervello –  disse che uomini e donne avevano corpi e menti diverse: da una parte ci sono «un corpo e una mente capaci di un duro lavoro sostenuto e regolare», dall’altra «un corpo e una mente che per un quarto di ogni mese durante i migliori anni della vita sono più o meno malati e inadatti al duro lavoro».

Maudsley disse anche come fosse «evidente» che «i più ferventi difensori dell’accesso a un’istruzione superiore e a un miglioramento dello status sociale delle donne» non avessero considerato «la natura dei loro organismi e i vincoli imposti dalle loro funzioni speciali».

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Per Maudsley, le ragazze tra i 14 e i 16 anni non erano adatte a intraprendere alcuna forma di istruzione avanzata perché le prime mestruazioni toglievano loro troppe energie. Superata quell’età, poi, le donne non sarebbero mai state in grado di raggiungere i loro coetanei perché i loro sforzi sarebbero stati interrotti ogni mese da una fase di riposo. Maudsley sosteneva infine che tutte le donne che non avessero rispettato il divieto di attività durante le mestruazioni avrebbero rischiato di diventare disturbate, epilettiche o di soffrire di amenorrea (l’assenza di mestruazioni associata a un cattivo stato di salute).

Jane McChrystal, precisando che già a fine Ottocento accanto a quella tendenza reazionaria ne coesisteva un’altra più progressista, ha sostenuto che le convinzioni sul riposo e sulle mestruazioni come malattia invalidante rimanessero allora comunque molto diffuse. Poi cominciarono a parlare le donne, e a farsi sentire.

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A partire dal 1870, quando le donne cominciarono ad essere ammesse in alcune università, iniziarono anche a imporre un nuovo approccio alla salute femminile, e in particolare verso il ciclo mestruale.

Elizabeth Garrett Anderson – prima medica inglese, suffragetta e “prima” donna in molti ambiti – fu la confutazione vivente delle argomentazioni di Maudsley. Sostenne che tutte le donne che avevano ottenuto qualcosa ci erano riuscite ignorando le esigenze fisiche delle mestruazioni, oltre che le difficoltà e le ostilità del mondo esterno. Le donne che lavoravano nelle fabbriche e nelle case come domestiche, fece notare poi, non potevano certo permettersi il lusso di riposare durante le mestruazioni, e se la cavavano abbastanza bene.

Tra il 1876 e il 1923, diversi articoli scientifici scritti da donne rinforzarono le argomentazioni di Elizabeth Garrett Anderson.

La medica Mary Putnam Jacobi, anche lei impegnata per i diritti delle donne, pubblicò il saggio “La questione del riposo per le donne durante la mestruazione“, che le fece vincere un premio dell’Università di Harvard. Nello scritto, Jacobi rispondeva alle posizioni sostenute da un medico e professore di Harvard secondo cui il ciclo mestruale come fatto debilitante era il vero impedimento per le donne ad esercitare un lavoro impegnativo come quello del medico (diceva anche che l’eccesso di studio produceva nelle donne «cervelli mostruosi e corpi deboli, attività cerebrale abnormemente attiva, digestione difettosa, pensiero sfuggente e intestino costipato»).

Jacobi confutò queste posizioni antifemminili con dati e studi sulla forza muscolare nelle donne prima e dopo le mestruazioni: studi che non avevano portato a rilevare alcuna differenza. E concluse, senza ambiguità, che non c’era nulla nella natura delle mestruazioni che implicasse «la necessità, o anche l’opportunità, del riposo».

Nel 1914, la psicologa statunitense Leta Hollingworth fece uno studio sull’evoluzione delle capacità mentali e fisiche durante il ciclo mestruale. Registrò le prestazioni cognitive, percettive e motorie quotidiane di uomini e donne per tre mesi, senza osservare alcuna perdita di prestazione durante le mestruazioni.

Un’altra medica, Clelia Duel Mosher, smontò la tendenza dei medici a patologizzare il ciclo con uno studio intitolato “Woman’s Physical Freedom” su 12 mila cicli e 2 mila donne: i sintomi debilitanti, come il dolore mestruale, erano attribuibili secondo lei a un cattivo stato di salute e all’uso dei corsetti, piuttosto che a una mancanza di riposo. Suggerì di buttare i corsetti e di imparare una serie di esercizi di respirazione, che lei stessa aveva inventato. Nel 1930, la British Women’s Medical Federation pubblicò i risultati di uno studio su 6 mila ragazze che arrivava alle medesime conclusioni: le mestruazioni non sono un limite.

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Jane McChrystal conclude il suo articolo dicendo che la professione medica è progredita, ma che alcuni atteggiamenti nei confronti delle mestruazioni persistono a tal punto che alcuni siti di marche di assorbenti hanno ancora oggi delle pagine intere dedicate a spiegare che nuotare o lavarsi i capelli durante le mestruazioni è completamente sicuro.

La stigmatizzazione delle mestruazioni e il divario di genere nella medicina (il fatto che al centro della ricerca ci sia stato e spesso ci sia ancora esclusivamente un soggetto maschile) hanno poi avuto come conseguenza un ritardo enorme nella raccolta di dati sulle mestruazioni. Ancora oggi persiste cioè un “divario di conoscenza” tra ciò che i medici sanno sui corpi degli uomini e quello che sanno sui corpi delle donne, con conseguenze molto concrete sulla salute di queste ultime.

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