• Mondo
  • Martedì 12 ottobre 2021

Il G20 sulla crisi in Afghanistan

Coordinato dall'Italia: si è parlato soprattutto di come evitare il crollo dell'economia afghana e una gravissima crisi umanitaria

Un miliziano talebano armato cerca di controllare decine di persone che si accalcano davanti a una banca per ritirare denaro (AP Photo/Bernat Armangue)
Un miliziano talebano armato cerca di controllare decine di persone che si accalcano davanti a una banca per ritirare denaro (AP Photo/Bernat Armangue)

Martedì si è tenuto tramite videoconferenza un G20 straordinario in cui i leader di alcuni dei paesi più sviluppati del mondo, assieme ai rappresentanti delle Nazioni Unite e di altre istituzioni, hanno discusso della situazione in Afghanistan, conquistato da pochi mesi dal gruppo islamista radicale dei talebani a seguito del ritiro delle truppe statunitensi. L’incontro è stato indetto dall’Italia, che ha la presidenza di turno del G20: si è discusso in particolar modo della grave crisi economica e umanitaria del paese, e del rischio che torni a essere un luogo di proliferazione del terrorismo internazionale, come prima dell’invasione statunitense del 2001.

La situazione dell’Afghanistan è particolarmente complicata perché l’economia del paese sta crollando e la popolazione corre il rischio di dover affrontare una gravissima crisi, che potrebbe alimentare anche flussi migratori molto forti. Ma inviare aiuti in Afghanistan significa di fatto inviarli al regime dei talebani, che non è riconosciuto ufficialmente da nessuno dei paesi che partecipano al G20.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi, in conferenza stampa alla fine dell’incontro, ha definito i risultati del G20 «soddisfacenti», anche se le misure concrete annunciate sono state poche: la principale prevede l’assegnazione alle Nazioni Unite di un mandato per trovare soluzioni alla crisi umanitaria. L’altro annuncio rilevante è stato quello della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che ha promesso lo stanziamento di un miliardo di euro in aiuti umanitari alla popolazione afghana.

All’incontro ha partecipato buona parte dei grandi leader internazionali: tra gli altri il presidente americano Joe Biden e quello indiano Narendra Modi; il presidente della Cina ha inviato il proprio ministro degli Esteri, mentre per la Russia ha parlato un viceministro. A seguito dell’incontro non è stato prodotto un documento finale firmato dagli stati: al termine è stato lasciato a Draghi il compito di riassumere i risultati in conferenza stampa.

Il problema principale di cui hanno discusso i leader è il crollo dell’economia afghana. Dopo la conquista sorprendentemente rapida del paese da parte dei talebani, all’Afghanistan sono stati bloccati tutti i prestiti e gli aiuti internazionali. Gli Stati Uniti e altri paesi, inoltre, hanno bloccato miliardi di dollari di fondi della Banca centrale afghana conservati all’estero.

Il paese, di fatto, si è trovato senza riserve di denaro e il governo ha dovuto imporre un rigido controllo dei capitali: ha interrotto o limitato l’erogazione degli stipendi pubblici e ridotto al minimo la quantità di denaro che i cittadini possono prelevare dagli sportelli automatici. Senza clienti, molti negozi stanno chiudendo o rischiano di chiudere, scrive Bloomberg, e la situazione è così grave che molte persone non hanno abbastanza soldi nemmeno per comprare da mangiare.

Secondo il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, i prezzi di generi di prima necessità come riso, olio per cuocere e farina sono già aumentati di oltre il 30 per cento.

Le cose vanno malissimo anche nelle campagne, dove è in corso la peggiore carestia «da 35–36 anni», come ha detto il direttore della FAO in Afghanistan al Wall Street Journal.

Uno studio pubblicato alla fine di settembre dalle Nazioni Unite ha cercato di prevedere come potrebbero andare le cose per l’economia afghana, a seconda delle circostanze (accesso ai mercati internazionali, apertura dei commerci, e così via). Nello scenario peggiore, il PIL dell’Afghanistan potrebbe calare del 13,2 per cento nell’anno fiscale che finisce a giugno 2022, e il 97 per cento della popolazione potrebbe finire sotto la soglia di povertà (attualmente vi si trova il 72 per cento).

Il G20 deve trovare un modo per evitare la catastrofe umanitaria, ma al tempo stesso molti dei suoi membri sono decisi a non voler aiutare il regime talebano, che nelle prime settimane di governo si è dimostrato violento e irrispettoso dei diritti umani.

Durante l’incontro, ha detto Draghi, «c’è stata sostanzialmente una convergenza di vedute sulla necessità di affrontare quest’emergenza umanitaria». La soluzione trovata finora è stata quella di affidare all’ONU un mandato «generale» per coordinare la risposta ed eventualmente agire direttamente. Non è ancora chiaro però cosa comporti nei fatti questo mandato.

Lunedì António Guterres, il segretario generale dell’ONU, prima di partecipare al G20, aveva esortato i paesi ricchi ad «agire e iniettare liquidità nell’economia afghana per evitare il collasso». Un modo per farlo, ha detto, potrebbe essere quello di creare fondi a cui abbiano accesso direttamente i cittadini afghani, e non il governo dei talebani.

Per Guterres, «la responsabilità principale» di risolvere la crisi rimane tuttavia dei talebani, che hanno rotto la promessa di un governo più moderato ed egualitario che fecero ad agosto, quando presero il potere. Per esempio, dice Guterres, «non c’è modo» di risollevare l’economia se i talebani continueranno a impedire alle donne di lavorare.

– Leggi anche: Nelle città afghane le donne protestano, in campagna le cose sono più complicate