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  • Domenica 10 ottobre 2021

Il COVID-19 in Turkmenistan, paese che dice di essere sempre stato “COVID-free”

Non è vero che non ci sono casi, come sostiene il governo, e ignorare l'esistenza della pandemia sta complicando molto le cose

(AP Photo/Alexander Vershinin)
(AP Photo/Alexander Vershinin)

Il Turkmenistan è uno dei pochissimi paesi del mondo dove ufficialmente non è mai stato riscontrato alcun contagio da coronavirus. Secondo i dati raccolti da alcuni osservatori esterni, però, la pandemia esisterebbe eccome, e anzi in Turkmenistan sarebbe in corso una terza ondata, anche piuttosto grave.

Nel paese la parola “coronavirus” non viene mai usata nelle comunicazioni ufficiali, e i medici e le autorità sanitarie si riferiscono al COVID-19 chiamandolo “malattia” o “infezione respiratoria”.

Secondo i dati indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Turkmenistan sono state somministrate circa 42mila dosi di vaccini contro il coronavirus su circa 6 milioni di abitanti, ma secondo le autorità del paese le vaccinazioni sarebbero solo una misura preventiva. Così come sarebbero misure preventive l’invito a non uscire di casa se non per assoluta necessità e la raccomandazione di indossare la mascherina, ufficialmente per proteggersi dalla polvere nell’aria.

Quando si parla di autorità del Turkmenistan, in realtà ci si riferisce quasi solo al presidente Gurbanguly Berdymukhamedov, che governa in maniera autoritaria dal 2006, e che nel corso del tempo ha introdotto sempre più limitazioni alle libertà civili e di stampa. Tra le altre cose, a inizio anno il presidente aveva invitato i dipendenti pubblici e gli studenti a portare sempre con sé uno sciroppo a base di liquirizia, sottolineando la presunta «elevata capacità» della liquirizia di prevenire potenziali infezioni.

Radio Free Europe/ Radio Liberty, che si occupa per lo più di Europa orientale e Asia e che è considerato un media affidabile, ha scritto che lo scorso 2 settembre era morto l’ex vice primo ministro turkmeno Gurbanmukhammed Kasymov dopo essersi ammalato di COVID-19; il governo, comunque, lo aveva tenuto nascosto. A metà settembre sarebbe stato ricoverato in ospedale anche l’attuale ministro degli Esteri, Rashid Meredov, sempre dopo aver sviluppato i sintomi della malattia.

Fonti del ministero della Salute turkmeno non autorizzate a parlare pubblicamente dell’argomento hanno detto a RFE/RL che alla fine di agosto il numero dei morti giornalieri per cause legate al COVID-19 era arrivato a 70. Gli ospedali della capitale del paese, Ashgabat, sarebbero da tempo sotto enorme stress, e alcune storie raccontate negli ultimi mesi sembrerebbero mostrare una situazione assai critica, resa ancora più grave dai tentativi del governo di ignorare l’esistenza della pandemia dentro ai confini nazionali.

Una di queste storie è quella del diplomatico turco Kemal Uckun, morto il 7 luglio del 2020 dopo aver sviluppato i sintomi del COVID-19 proprio in Turkmenistan.

La rivista Asian Affairs ha raccontato che Uckun era stato ricoverato ad Ashgabat e che i medici turchi a cui erano state mandate le radiografie fatte nell’ospedale turkmeno erano praticamente certi che si trattasse di COVID-19. I medici turkmeni tuttavia sostennero che Uckun fosse risultato negativo a un test per il coronavirus per due volte, e le autorità negarono il suo trasferimento in un ospedale turco. L’ospedale turkmeno attribuì poi la morte di Uckun a un attacco cardiaco. Il suo corpo venne imbalsamato, ha raccontato a Turkmen.news la moglie di Uckun, Guzide, rendendo impossibile ai medici turchi riscontrare tracce del virus.

La parata militare organizzata ad Ashgabat il 9 maggio del 2020 per festeggiare i 75 anni dalla sconfitta del nazismo dopo la Seconda guerra mondiale. Lo stesso giorno in Italia erano stati accertati più di 218mila contagi dall’inizio della pandemia (AP Photo)

Un’altra storia è quella di un turkmeno chiamato col nome di fantasia Sayahat Kurbanov, raccontata da BBC.

A settembre Kurbanov sentì un intenso dolore al petto accompagnato da altri sintomi tipici del COVID-19 mentre correva una maratona. Chiamò un’ambulanza e chiese di essere ricoverato, ma l’assistenza gli fu negata perché l’ospedale che aveva contattato era pieno. Decise quindi di chiamare il centro medico dove pochi giorni prima aveva fatto un test per accertare la presenza del coronavirus: gli fu detto che sì, era risultato positivo, e in quel momento scoprì che in Turkmenistan non esiste alcun documento che certifichi la positività al virus.

Dopo varie telefonate piuttosto insistenti riuscì a farsi ricoverare in un altro ospedale, dove per i giorni seguenti continuò ad avere dolori piuttosto intensi. Le cure che ricevette furono però assai scarse. Non c’erano ventilatori disponibili, le macchine per l’ossigeno non funzionavano e nel giro dei dieci giorni di ricovero la terapia gli venne cambiata varie volte. Kurbanov ha raccontato che l’ospedale era evidentemente sotto organico, tanto che a un certo punto aveva visto una donna delle pulizie fare le iniezioni ai pazienti.

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