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  • Martedì 31 marzo 2020

In Turkmenistan è stata vietata la parola “coronavirus”

Nello stato autoritario dell'Asia centrale, uno dei pochi che sostiene di non avere alcun caso di contagio, le restrizioni sono arrivate senza vere spiegazioni

Il presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov (EPA/EKATERINA SHTUKINA / SPUTNIK / GOVERNMENT PRESS)
Il presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov (EPA/EKATERINA SHTUKINA / SPUTNIK / GOVERNMENT PRESS)

Aggiornamento: Il sito Eurasia.net ha scritto che dopo la diffusione sui media occidentali della notizia sulla censura della parola “coronavirus” in Turkmenistan, il governo locale ha messo in piedi un servizio telefonico funzionante per dare informazioni ai cittadini sull’epidemia. Eurasia.net scrive che non è chiaro se ci sia un legame tra le due cose.

In Turkmenistan non esistono media indipendenti, e non è facile ottenere informazioni su quanto avviene nel paese: la notizia originale ripresa dal Post era stata segnalata da Reporter senza frontiere e Radio Free Europe, tra le poche testate ad avere inviati sul campo e, perlomeno la seconda, solitamente molto affidabili. Secondo Eurasia.net, quanto hanno raccontato è vero in gran parte e verosimile nella rimanente: ma il servizio telefonico ha smentito che ci sia stato un vero divieto sulla parola “coronavirus”, che però è effettivamente scomparsa dai depliant informativi e che è stata finora evitata nei discorsi del presidente Gurbanguly Berdymukhamedov.

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In Turkmenistan ai media statali è stato proibito di usare la parola “coronavirus”, ha segnalato Reporter Senza Frontiere, organizzazione internazionale che si occupa di libertà di stampa. I corrispondenti di Radio Free Europe raccontano poi di aver visto che nella capitale Aşgabat alcuni gruppi di persone sorprese a parlare della pandemia sono stati dispersi da agenti di polizia in borghese, che – sempre secondo la radio – adesso possono arrestare chi indossa la mascherina in pubblico.

Dai depliant informativi che erano stati diffusi nelle scorse settimane nelle scuole e negli ospedali, con le istruzioni sanitarie per prevenire il contagio, la parola “coronavirus” è stata sostituita con “malattia” o “infezione respiratoria”. La comunicazione ufficiale sull’epidemia nel paese è stata da subito insufficiente, e le misure restrittive sono state imposte senza grandi giustificazioni e spiegazioni: da una decina di giorni la capitale Aşgabat è stata chiusa, e gli spostamenti tra le province del paese sono stati fortemente limitati con posti di blocco e controlli.

Non è chiaro quale sia la strategia dietro questa censura imposta dal governo del Turkmenistan, che è formalmente una repubblica presidenziale ma concretamente una dittatura, guidata dal 2006 da Gurbanguly Berdymukhamedov. Le libertà civili nel paese sono represse come in pochi altri posti al mondo, e oltre al culto del presidente sono imposte severe restrizioni alla stampa. In queste settimane la mancanza di trasparenza del governo turkmeno è emersa anche dal conteggio ufficiale dei contagi da coronavirus nel paese: zero.

I confinanti stati di Kazakistan, Uzbekistan e Afghanistan hanno comunicato qualche decina di contagi, anche se si crede siano molti di più. L’Iran, che condivide centinaia di chilometri di confine con il Turkmenistan, è uno dei paesi più colpiti al mondo dall’epidemia, con decine di migliaia di casi e decine di morti (anche in questo caso, si pensa, ampiamente sottostimati). Ma ufficialmente in Turkmenistan non è stato ancora registrato nessun caso di coronavirus.