Google contro i negazionisti del cambiamento climatico

Dal prossimo mese chi utilizza i suoi servizi per diffondere notizie false sul clima non potrà guadagnare dalle pubblicità

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

Giovedì Google ha annunciato che chi diffonde contenuti che negano il cambiamento climatico non potrà guadagnare dai suoi servizi, tramite la pubblicità e gli altri sistemi di ricavo offerti dall’azienda ai produttori di contenuti. In una nota di aggiornamento sulle politiche di “monetizzazione”, Google ha chiarito che le limitazioni riguarderanno i contenuti che «contraddicono il consenso scientifico sull’esistenza e le cause del cambiamento climatico». Google ha detto che inizierà ad applicare la nuova politica a partire da novembre.

Sarà interessato, per esempio, chi pubblica video su YouTube ma anche siti e giornali che utilizzano sui propri siti i servizi pubblicitari di Google. La società ha specificato che non saranno tollerati i contenuti che definiscono il cambiamento climatico una bufala o una truffa, le affermazioni che negano l’aumento della temperatura media del pianeta, o quelle che negano che le emissioni di gas serra e l’attività umana contribuiscano al cambiamento climatico.

Google ha detto che questa decisione è stata presa dopo che negli ultimi anni un numero crescente di inserzionisti aveva espresso preoccupazione per il fatto che i propri annunci pubblicitari fossero spesso visualizzati accanto a contenuti con affermazioni false sul cambiamento climatico. Google ha anche detto che esaminerà il contesto in cui sono state fatte le affermazioni, differenziando tra contenuti che sostengono un’affermazione falsa come un fatto, e altri che ne parlano e la mettono in discussione. Ha inoltre spiegato che nella valutazione delle affermazioni false utilizzerà sia strumenti automatici sia moderatori umani.

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La decisione di Google rientra in un dibattito più ampio che negli ultimi anni ha riguardato tutte le grandi società tecnologiche, e in particolare quelle piattaforme che prevedono il coinvolgimento diretto degli utenti, come YouTube o come i social network Facebook e Twitter. La questione riguarda la responsabilità che queste società hanno nei confronti dei contenuti pubblicati dagli utenti, e se vadano considerate semplicemente come “contenitori” o se invece abbiano una responsabilità editoriale di ciò che viene pubblicato.

Se n’è parlato soprattutto in relazione alla diffusione di notizie false da parte degli utenti (che siano persone comuni, giornali o istituzioni), e alla cosiddetta “neutralità” da parte delle piattaforme nei confronti di questi contenuti. È una questione che, per esempio, ha provocato grandi discussioni in occasione delle ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, e in particolare dopo l’attacco al palazzo del Congresso a Washington il 6 gennaio scorso. I contenuti pubblicati dall’ex presidente americano Donald Trump, considerati comprensivi nei confronti degli assalitori, avevano fatto sì che Facebook e Twitter decidessero di sospendere il suo account.

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