Una canzone di Aretha Franklin

Che arriva da questa parte del mondo

(Jemal Countess/Getty Images)
(Jemal Countess/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Il mio lavoro di engagement dei lettori sul suono della sveglia ha prodotto i suoi frutti, ed ecco una selezione delle canzoni che usano come sveglia quelli di voi che non usano i canonici e molestissimi suoni da sveglia.
«Paranoid android in versione ninna nanna»
«L’inizio di By this river»
«La mia sveglia da anni è questa: calma e perfetta per le 6.00 AM»
«Il punto adesso è che ogni volta che ascolto le primissime note di Rimmel, ovunque mi trovi, nel supermercato al banco della frutta o nel baretto sulla spiaggia, avverto quel salto al cuore del mattino quando devi svegliarti e ti tocca alzarti»
Oggi compie 70 anni persino Ivano Fossati.
Nel film nuovo di Wes Andreson c’è una canzone di Jarvis Cocker dei Pulp, una cover di una vecchia canzone francese, anticipazione di un progetto più esteso di Cocker sulle canzoni francesi. Intanto l’altroieri Cocker ha compiuto 58 anni e Valerio Lundini lo ha disegnato su Instagram. Lundini sarà a Faenza sabato per Talk del Post.
Solo una coincidenza? Non credo.
C’è un tour di reunion dei Fugees, nientemeno: da novembre, con un’anteprima a quasi sorpresa a New York domani.
Sto tornando da Firenze, dove era una giornata pazzesca di sole e vento e tutto era meraviglioso, e quindi potrei essere stato contagiato nelle mie reazioni da un pregiudizio favorevole: ma mi sono trovato a passare per caso davanti al negozio di Contempo, che è una storica istituzione di dischi fiorentina, ed erano decenni che non ci andavo, e anzi credo che l’ultima volta fosse persino in una sede un cento metri più in là. E ho potuto passarci solo un minuto perché ero in ritardo per un dibattito, ma mi è sembrato bellissimo.

Oh me oh my (I’m a fool for you baby)
Aretha Franklin

Oh me oh my (I’m a fool for you baby) su Spotify
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Confesso che la prima volta che sentii Oh me oh my fu nell’inconsueto contesto di un disco di Buster Poindexter, ovvero il nome che si diede per un po’ David Johansen dei (o delle) New York Dolls: che furono una band americana degli anni Settanta poi molto celebrata come inventiva promotrice del “glam rock” e di tutta una cosa di travestitismo nel rock che avrebbe avuto noti ed estesi successi (si è tornati a citarli come modello dei Maneskin, in estremo esempio). Poi negli anni Ottanta David Johansen, rinnegando e confermando insieme quello stile, si mise dei completi, si pettinò e si trasformò in Buster Poindexter, cantante da night, ottenendo dei buoni successi con cover e pezzi suoi dagli ammiccamenti retrò.

Ma abbiamo già deragliato. L’inizio della storia è che un gran classico del soul arriva da Glasgow, in Scozia (luogo che compare nelle circostanze più varie, in questa newsletter): lo scrisse un Jimmy Doris che poi ebbe guai grossi di salute mentale e finì sotto un autobus. Nel 1969 la canzone uscì cantata da Lulu, che poi sarebbe diventata, al cinema e in tv, un’istituzione dello spettacolo britannico (ma con successi internazionali, e un controverso Eurofestival vinto a pari merito sempre nel 1969): ora ha 72 anni e due anni fa era ancora in giro con i Take That. Nel 1969 Lulu era già famosa, la canzone si fece notare (ne pubblicò anche una versione in italiano, con discreta pronuncia ma il solito effetto goffo di questi casi: “io-vado-sopra-ad-un-tavolo”).

Poi arrivò Aretha Franklin. Vi devo avere già raccontato del giorno che per caso mi sono trovato nei pressi della casetta natale di Aretha Franklin, con molti altri venuti invece apposta. Ci metto, in questa aneddotica personale, anche che io Aretha Franklin l’avevo conosciuta a 15 anni vedendola col grembiule e le pantofole nei Blues Brothers, prima era solo un nome sentito pronunciare.
E invece lei era la fine del mondo, e non si dirà mai abbastanza. Io vado matto per questa baracconata di commozione generale tra lei, Carole King e gli Obama, nel 2015: la canzone, ricordo, è di King, Aretha canta e suona come se stesse asciugando i piatti (in pelliccia).

Invece in Oh me oh my è una di quelle volte in cui si sente che si è data da fare, e proprio perché la canzone alla fine tutto quello che dice è “mamma mia, come vado pazza per te”, il resto ce lo mette lei. Una di quei pochi che tutti quanti chiamiamo solo per nome.

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