Gli atleti russi saranno alle Olimpiadi di Tokyo, la Russia no

Parteciperanno ai Giochi senza poter usare le divise e la bandiera della loro nazione a causa di uno dei più grandi scandali di doping nella storia dello sport

di Alice Baccarella

Stanislav Pozdnyakov, presidente del Comitato olimpico russo durante una conferenza stampa nel 2018 ( EPA/YURI KOCHETKOV)
Stanislav Pozdnyakov, presidente del Comitato olimpico russo durante una conferenza stampa nel 2018 ( EPA/YURI KOCHETKOV)

Dopo essere stata esclusa dai Giochi invernali del 2018 in Corea del Sud, la Russia non ci sarà nemmeno alle Olimpiadi di Tokyo, a causa di uno dei più grandi scandali di doping nella storia dello sport. Gli atleti russi però potranno partecipare ai Giochi, ma non rappresenteranno formalmente il loro paese: non potranno usare la bandiera russa, né usare il loro inno nazionale durante le premiazioni.

Nelle grafiche televisive i nomi degli atleti russi saranno affiancati dalla sigla ROC – acronimo per Comitato olimpico russo, il nome con cui la delegazione si presenta alle Olimpiadi – e dal logo dello stesso comitato: tre fiamme di colore bianco, blu e rosso sopra i cerchi olimpici.

Anche le divise ufficiali degli atleti russi conterranno il logo del Comitato e i colori della bandiera russa: su base bianca, sono state disegnate due bande diagonali di colore blu e rosso che si aprono a ventaglio. Al posto dell’inno ci sarà il Concerto per pianoforte e orchestra n.1 del compositore russo Tchaikovsky: la prima proposta del Comitato olimpico russo, la canzone patriottica folk di era sovietica “Katjuša”, era stata respinta dal Tribunale arbitrale dello sport perché considerata troppo legata all’identità russa.

Inoltre le medaglie che vinceranno gli atleti russi non verranno conteggiate nel medagliere olimpico della Russia, ma in quello del ROC.

Gli atleti russi non avevano potuto partecipare come nazionale russa nemmeno alle Olimpiadi invernali del 2018 in Corea del Sud, quando però le sanzioni imposte erano state ancora più severe. Il Comitato olimpico internazionale aveva proibito l’uso dei colori nazionali nel logo e sulle divise, composte da jeans, giubbotto e guanti grigi, e cappello e sciarpa bianchi.

Gli atleti russi alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang nel 2018 ( Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)

La Russia era stata squalificata nel 2018 dopo che un’indagine risalente a due anni prima ad opera dell’Agenzia mondiale antidoping (WADA) aveva scoperto un gigantesco piano statale per somministrare sostanze dopanti agli atleti russi. L’indagine della WADA aveva portato l’allora direttore dei laboratori russi per i controlli antidoping a dimettersi e ad ammettere la propria complicità nel piano: la sua confessione aveva inoltre contribuito alla scoperta di un sistema per aggirare i controlli antidoping che era stato messo in piedi almeno dal 2012.

La rivelazione più importante aveva riguardato le Olimpiadi invernali del 2014 a Sochi, in Russia, durante le quali era stato attuato un piano di sostituzione dei campioni di urina degli atleti positivi con campioni “puliti”. Il rapporto ufficiale del 2016 aveva accertato il coinvolgimento del ministero dello Sport, dei servizi segreti russi e dell’Agenzia russa antidoping, la quale era stata poi sospesa dalla WADA.

Nel 2018 l’Agenzia russa antidoping era stata riammessa nella WADA a patto che gli ispettori potessero controllare i laboratori russi che si occupavano dei test antidoping. Nei registri provenienti da Mosca, la WADA aveva individuato la mancanza o la manipolazione di dati su decine di atleti che erano poi risultati positivi negli anni successivi. Alla Russia erano state date tre settimane per fornire spiegazioni valide, ma le autorità sportive russe si erano rifiutate nuovamente di collaborare.
Il provvedimento seguente, votato all’unanimità dalla WADA, aveva previsto l’esclusione della Russia dalle competizioni sportive internazionali per i successivi quattro anni e aveva permesso la partecipazione come “indipendenti” soltanto agli atleti ritenuti idonei dalla WADA.

La Russia aveva iniziato una battaglia legale contro la WADA che si era conclusa nel dicembre 2020 con la sentenza del Tribunale arbitrale dello sport, che aveva deciso che gli anni di squalifica del paese sarebbero passati da quattro a due e che agli atleti sarebbero state concesse molte più libertà, anche se sarebbe rimasto il divieto di competere sotto la bandiera nazionale russa.

La decisione del Tribunale aveva provocato molta rabbia e incredulità in altri paesi per l’attenuazione della condanna, e nel corso degli ultimi mesi diversi esponenti di agenzie antidoping, di organi sportivi e anche diversi atleti si sono espressi contro il rilassamento delle sanzioni imposte alla Russia.

Tra gli altri, Trevis Tygart, amministratore delegato dell’Agenzia antidoping statunitense, ha definito la sentenza un «risultato debole e annacquato», «un colpo catastrofico per gli atleti puliti, l’integrità dello sport e lo stato di diritto». Il sollevatore paralimpico Ali Jawad ha espresso la sua disapprovazione nei confronti dell’intero sistema dei controlli antidoping, dicendo che gli eventi degli ultimi cinque anni e «il costante compromesso con la Russia» gli hanno fatto capire che la «WADA non è all’altezza dello scopo» che le è stato dato.

Il ciclista britannico Callum Skinner ha criticato le libertà concesse agli atleti russi e ha sostenuto che l’ultima decisione del Tribunale arbitrale dello sport sia stata troppo morbida, perché di fatto non è un’effettiva squalifica, e che «il più grande scandalo di doping nella storia è rimasto impunito».

Questo e gli altri articoli della sezione Intorno alle Olimpiadi sono un progetto del workshop di giornalismo 2021 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.