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  • Giovedì 3 giugno 2021

La risposta alle proteste in Colombia sta diventando sempre più violenta

La polizia è stata accusata di uccisioni, abusi e stupri durante le ultime manifestazioni antigovernative, iniziate ad aprile

(AP Photo/ Ivan Valencia)
(AP Photo/ Ivan Valencia)

Le proteste antigovernative delle ultime settimane in Colombia sono state represse con enorme violenza dalle forze di polizia locali, arrivando a provocare in totale 59 morti e più di 2.300 feriti. Le prime manifestazioni erano state organizzate a fine aprile per contestare una proposta di riforma fiscale, poi abbandonata. Col passare dei giorni, però, le proteste erano diventate assai più estese e si erano rivolte contro le enormi disuguaglianze nel paese e la povertà, entrambi problemi che secondo i manifestanti erano stati esacerbati dalla cattiva gestione della pandemia da coronavirus da parte del governo.

Le richieste dei manifestanti sono varie: si chiede l’introduzione di un reddito universale per appianare le disuguaglianze, la significativa diminuzione delle tasse universitarie in modo da spingere più giovani a proseguire gli studi, e lo smantellamento della polizia antisommossa, che negli ultimi anni è stata accusata di aver compiuto numerose violenze, uccisioni e stupri durante le manifestazioni antigovernative.

Le maggiori violenze si sono verificate nelle città più grandi della Colombia, come Cali, Medellín e la capitale Bogotà, dove i manifestanti hanno saccheggiato negozi e banche, e incendiato autobus e stazioni di polizia, mentre le forze dell’ordine hanno risposto con gas lacrimogeni e manganelli. I manifestanti hanno inoltre disposto barricate sia lungo alcune autostrade del paese sia in alcuni quartieri delle maggiori città, provocando enormi problemi al rifornimento di cibo, medicinali e carburante, e ai trasporti pubblici.

La situazione continua a essere piuttosto critica in particolare a Cali, dove secondo i corrispondenti di BBC la povertà sarebbe aumentata tre volte in più che nel resto del paese a causa della pandemia, che ha spinto più di 3 milioni e mezzo di colombiani nella povertà. Negli ultimi giorni a Cali sono state uccise almeno 14 persone e un centinaio sono state ferite: l’ONU ha invitato la Colombia ad aprire un’indagine indipendente per accertare le cause delle morti durante le proteste, per le quali era stato chiamato a intervenire anche l’esercito su ordine del presidente colombiano Iván Duque.

Nelle ultime settimane diversi manifestanti hanno raccontato di essere stati manganellati sulla testa e minacciati dalle forze dell’ordine, mentre altri hanno detto che alcuni agenti avevano sparato colpi di arma da fuoco ai loro piedi da distanza ravvicinata. Allo stesso tempo, sui social network sono circolati diversi video in cui si vedono azioni particolarmente violente o controverse da parte della polizia, per esempio agenti che cercano di speronare la folla con le moto o altri che sparano gas lacrimogeni verso i medici impegnati a soccorrere i manifestanti feriti.

La violenza sessuale, e la minaccia di violenza sessuale, sono stati strumenti usati dalla polizia contro le donne e le ragazze che hanno partecipato alle manifestazioni, ha detto a Vice Emilia Márquez, co-direttrice della ong Temblores, che si occupa di segnalare gli abusi delle forze di sicurezza. Márquez ha definito lo stupro «un’arma di guerra, oltre che un’arma di tortura per punire chi protesta», e ha detto che a metà maggio Temblores aveva ricevuto 18 segnalazioni di presunto stupro e 87 di violenze di genere da parte di donne che avevano partecipato alle proteste.

Lo scorso 12 maggio la diciassettenne Alison Ugus era stata arrestata mentre filmava alcuni agenti che lanciavano gas lacrimogeni durante una protesta a Popoyán, la sua città. Dopo essere stata rilasciata, Ugus aveva scritto su Facebook di essere stata stuprata da quattro agenti mentre era sotto la custodia della polizia: due giorni dopo era stata trovata morta, per presunto suicidio.

Negli scontri sono stati coinvolti in particolare gli agenti della squadra antisommossa Escuadrón Móvil Antidisturbios (ESMAD), che sono dotati di armi non letali, come bombolette di gas lacrimogeno e fucili con proiettili di gomma. Già l’anno scorso la ong Human Rights Watch aveva accusato gli agenti dell’ESMAD di aver compiuto decine di atti di violenza durante le proteste antigovernative del 2019 e del 2020.

– Leggi anche: Le proteste contro la riforma fiscale in Colombia sono diventate qualcosa di più

Le proteste precedenti, dello scorso settembre, erano iniziate dopo la diffusione di un video in cui un uomo, prima di morire, veniva ripetutamente colpito da due agenti con un taser, un’arma non letale che colpisce con delle scosse elettriche. Nel novembre del 2019, invece, decine di migliaia di persone avevano protestato contro la morte di Dilan Cruz, un adolescente colpito da un proiettile sparato dalla polizia durante una delle prime manifestazioni contro Duque.

Domenica, insieme alle proteste, migliaia di persone hanno manifestato in maniera pacifica a Bogotà vestite con magliette o indumenti bianchi per chiedere di porre fine alle violenze e di rimuovere le barricate allestite dai manifestanti, che secondo loro starebbero contribuendo ad aggravare una situazione economica già molto critica. Nel frattempo Duque, la cui popolarità si è ridotta notevolmente, si è rifiutato di fare concessioni fino a che i manifestanti non rimuoveranno le barricate; il 28 maggio aveva peraltro annunciato che avrebbe mobilitato 7mila soldati per sgomberare quelle disposte sulle principali autostrade.

Manifestazione contro lo sciopero nazionale e le violenze della polizia a Bogotà, il 30 maggio (EPA/ Mauricio Duenas Castaneda via ANSA)

Finora le autorità colombiane hanno aperto 157 indagini per la presunta cattiva condotta dei loro agenti e 11 per omicidio; hanno però anche cercato di contenere le critiche e le lamentele rivolte verso le forze dell’ordine etichettandole spesso come “fake news” e sottolineando che negli scontri delle ultime settimane sono morti anche due poliziotti e altri 35 sono rimasti feriti.