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  • Martedì 18 maggio 2021

L’Europa è divisa sulla guerra tra Israele e Gaza

I paesi dell'Unione Europea faticano a trovare una posizione comune, e questo rende inefficace la sua azione diplomatica

Un bombardamento israeliano a Gaza il 18 maggio (Fatima Shbair/Getty Images)
Un bombardamento israeliano a Gaza il 18 maggio (Fatima Shbair/Getty Images)

Dopo oltre una settimana di scontri tra Israele e gruppi armati palestinesi della Striscia di Gaza, martedì Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri, ha convocato una riunione in videoconferenza tra tutti i ministri degli Esteri dei paesi membri per discutere «il modo in cui l’Unione Europea può contribuire a porre fine alla violenza». Prima ancora di discutere su come contribuire a raggiungere un cessate il fuoco, i leader dell’Unione dovranno però trovare una posizione comune, un’impresa che ad oggi sembra quasi impossibile: i governi europei sono assai divisi sulla strategia da adottare davanti al conflitto israelo-palestinese, e questo sta producendo un’azione politica molto poco efficace.

L’Unione Europea è divisa sostanzialmente tra un gruppo di paesi sempre più ristretto che ha qualche simpatia per la causa palestinese, come Lussemburgo e Svezia; un gruppo di paesi, soprattutto tra i governi populisti dell’Europa dell’est, che sostiene in maniera piuttosto militante le posizioni di Israele, e in particolare del primo ministro conservatore Benjamin Netanyahu; e un gruppo di paesi, che comprende i più grandi e importanti, che cerca posizioni di neutralità e mediazione, non senza grossi imbarazzi.

Davanti a queste posizioni così differenti, il lavoro di Borrell è molto complicato. Nei giorni scorsi il responsabile della politica estera europea aveva fatto alcune dichiarazioni piuttosto generiche in cui aveva condannato «il numero inaccettabile di vittime civili» e aveva chiesto di porre fine alle violenze. Tuttavia, Borrell aveva parlato senza l’approvazione unanime dei 27 paesi membri, cosa che aveva reso molto deboli le sue parole.

Lo stesso è successo domenica scorsa, ha scritto Politico Europe, quando Olof Skoog, l’ambasciatore dell’Unione Europea presso le Nazioni Unite, non è stato in grado di rendere pubblico un comunicato di condanna delle violenze «a nome dei paesi membri», perché l’Ungheria, forte alleato di Israele, aveva posto il veto: è stato diffuso un comunicato che parlava genericamente delle posizioni dell’Unione, che è risultato però meno incisivo di quello che avrebbe potuto essere reso pubblico nel caso in cui fosse stato sostenuto da tutti i paesi membri.

L’Unione Europea è da sempre piuttosto lenta nella reazione sulle grandi questioni di politica internazionale, e uno dei suoi problemi storici è quello di non avere una politica estera coerente ed efficace. Nel caso del conflitto israelo-palestinese, tuttavia, le divisioni sono piuttosto profonde e hanno aggravato l’immobilismo diplomatico.

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La principale novità su questo tema riguarda la formazione negli ultimi anni di un gruppo di paesi che sostiene in maniera molto serrata non soltanto le posizioni di Israele (tutta l’Unione Europea sostiene senza obiezioni il diritto di Israele a difendersi e condanna il lancio di razzi da parte di Hamas), ma più nello specifico quelle assai conservatrici del governo Netanyahu. È una coalizione che era nata con il sostegno dell’ex amministrazione americana di Donald Trump, e che oggi comprende i governi conservatori e populisti di Ungheria, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, più l’Austria del primo ministro Sebastian Kurz.

Anche i governi della Grecia e di Cipro si sono avvicinati molto a Israele negli ultimi anni, a causa dei contrasti dei due paesi con la Turchia, che invece è una stretta alleata dei palestinesi.

Il gruppo di paesi europei più sensibile alla causa palestinese è sempre più ridotto e comunque meno militante nella sua attività. Il Belgio, il Lussemburgo, la Svezia e l’Irlanda, tra gli altri, sostengono che l’Unione Europea dovrebbe fare di più per sostenere la soluzione dei “Due stati”, che prevede la formazione e il riconoscimento internazionale di uno stato palestinese (ed è la soluzione sostenuta dalla comunità internazionale, con molti distinguo). Anche negli ultimi giorni questi governi hanno assunto una posizione più critica contro i bombardamenti di Israele sulla Striscia, anche se nessuno di loro ha espresso una condanna esplicita.

Josep Borrell (Olivier Hoslet, Pool via AP)

In mezzo a questi due schieramenti c’è la gran parte dei paesi dell’Unione Europea, che cerca di trovare un equilibrio e di mettere in atto una politica moderata, che sostenga il diritto di Israele a difendersi ma nel contempo eviti un uso eccessivo della forza da parte dell’esercito israeliano e raggiunga quanto prima un cessate il fuoco.

La Germania, per esempio, nel corso degli anni è stata sempre piuttosto critica nei confronti di alcune politiche del governo israeliano, come l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, ma negli ultimi giorni il governo della cancelliera Angela Merkel si è trovato in grave imbarazzo dopo una serie di manifestazioni filopalestinesi che sono sfociate in atti di antisemitismo: i manifestanti hanno bruciato bandiere israeliane davanti alle sinagoghe nelle città di Bonn e Münster, e in alcuni casi hanno intonato inni antisemiti.

Il governo tedesco ha condannato l’antisemitismo: Merkel ha telefonato a Netanyahu lunedì, offrendogli il sostegno della Germania, mentre il suo portavoce ha condannato il lancio di razzi da parte di Hamas e ha ribadito il pieno diritto di Israele «a rispondere in autodifesa a questi attacchi».

La Francia, che come ricorda il Financial Times ha la più ampia popolazione di residenti ebrei e musulmani nell’Europa occidentale, ha problemi simili: lo scorso fine settimana ci sono state manifestazioni in cui venivano intonati canti antisemiti e slogan come «Morte a Israele!», che hanno messo in difficoltà il governo. Lo scorso 10 maggio, prima dell’inizio degli scontri, il governo aveva condannato gli sfratti contro le famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est (una delle cause scatenanti degli scontri), ma negli ultimi giorni il presidente Emmanuel Macron è stato molto più duro nella condanna di Hamas e ha ribadito il suo sostegno «immutato alla sicurezza di Israele e al suo diritto di difendersi in linea con la legge internazionale».

– Leggi anche: Sheikh Jarrah non è un posto come gli altri

Secondo Politico, la Francia è tra i paesi europei che più hanno impegnato la propria diplomazia nella risoluzione degli scontri di questi giorni, ma per ora con pochi risultati: giovedì scorso l’ufficio di Macron ha fatto sapere di aver cercato Netanyahu, ma che il primo ministro israeliano «quel giorno non era disponibile». I due hanno parlato il giorno successivo.

Anche il Regno Unito si trova nella stessa situazione: un diplomatico britannico ha detto al Financial Times che «sembra che Israele non ci ascolti molto».

L’Italia fa parte di questo gruppo di paesi di mezzo: il presidente del Consiglio, Mario Draghi, finora non ha fatto dichiarazioni sul conflitto tra Israele e i gruppi armati palestinesi, mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha difeso il diritto di Israele a difendersi ma ha aggiunto su Facebook che «devono cessare le violenze e tutti gli attacchi tra Israele e Palestina» e che l’Unione Europea «deve prendere una posizione chiara e unitaria».

Buona parte della classe politica italiana sostiene il diritto di Israele a difendersi, e negli scorsi giorni tutti i leader delle forze politiche che fanno parte del governo – compresi il segretario del PD Enrico Letta e quello della Lega Matteo Salvini – hanno partecipato a una manifestazione di solidarietà con Israele.

Secondo il Financial Times, un intervento diplomatico europeo nel conflitto di questi giorni è reso particolarmente complicato dal fatto che l’Unione Europea, come gli Stati Uniti, considera Hamas come un’organizzazione terroristica, e dunque non ha canali di comunicazione ufficiali né alcun tipo di influenza sul gruppo. La gran parte della comunità internazionale ha come principale riferimento tra le forze palestinesi il partito moderato Fatah, che governa sulla Cisgiordania ma non ha nessuna influenza sulla Striscia di Gaza, dove Hamas è al potere (tra Hamas e Fatah inoltre i rapporti sono assai tesi da tempo).

Come ha ricordato il Foglio, tuttavia, negli ultimi anni l’Unione Europea ha inviato centinaia di milioni di euro in aiuti umanitari soprattutto nella Cisgiordania, ma anche a Gaza. Per ribadire il concetto, martedì Angela Merkel ha promesso 40 milioni di euro in aiuti umanitari ai civili di Gaza per facilitare la fine dei conflitti e l’inizio della ricostruzione. Al tempo stesso, l’Unione è il principale partner commerciale di Israele: questi fattori potrebbero essere usati per avere un peso nel negoziato, ma per ora trovare una posizione comune tra i paesi membri sembra molto difficile.