Le compensazioni delle emissioni delle compagnie aeree sono affidabili?

Il Guardian dice che il contributo dei progetti di salvaguardia delle foreste che finanziano è probabilmente sovrastimato

Un'area riforestata dalla ong Onda Verde vicino a Tingua, in Brasile, il 21 aprile 2021 (AP Photo/Silvia Izquierdo, La Presse)
Un'area riforestata dalla ong Onda Verde vicino a Tingua, in Brasile, il 21 aprile 2021 (AP Photo/Silvia Izquierdo, La Presse)

Dall’inizio del 2020 la compagnia aerea British Airways “compensa” le emissioni di gas serra dei voli interni al Regno Unito finanziando progetti di produzione di energia da fonti rinnovabili, di protezione delle foreste pluviali e di riforestazione. Tante altre compagnie aeree e aziende di altro genere negli ultimi anni si sono prese impegni simili per ridurre il loro contributo al cambiamento climatico: ci sono organizzazioni specializzate nello stimare quanto una singola iniziativa contribuisca alla riduzione delle emissioni, che trovano per le aziende dei progetti in cui investire e ne certificano il valore.

Secondo un’inchiesta del Guardian e dell’organizzazione ambientalista Greenpeace però alcuni di questi progetti, finanziati da British Airways e altre grandi compagnie aeree, non compensano davvero tutte le emissioni che dicono.

L’inchiesta riguarda una decina dei 79 progetti supervisionati da Verra, la principale organizzazione non profit che attesta le compensazioni di emissioni di gas serra (chiamate anche con l’espressione in inglese carbon offset) con la certificazione Verified Carbon Standard, o VCS. Sono tutti progetti finanziati da sei grandi compagnie aeree, tra cui British Airways e EasyJet, e si occupano di salvaguardia di foreste tropicali in paesi in via di sviluppo. Lo fanno in vari modi: ad esempio impiegando i membri delle comunità locali per fare delle ronde contro il disboscamento illegale, oppure insegnando loro come portare avanti pratiche agricole sostenibili, due strategie per permettere a chi vive vicino alle foreste di sostenersi economicamente senza dover disboscare.

Le foreste tropicali assorbono anidride carbonica (CO2), il principale dei gas serra, e quindi contribuiscono a rimuoverla dall’atmosfera: l’idea dietro il sistema delle compensazioni è che finanziando i progetti di conservazione delle foreste le aziende, di fatto, contribuiscono a rimuovere dall’atmosfera una certa quantità di gas serra, dunque possono fare qualche sottrazione nel bilancio delle emissioni che causano con le loro attività, come i voli degli aerei. Per ogni progetto forestale che supervisiona, Verra fa una stima di quante emissioni sono state prevenute evitando la distruzione della foresta che difende, e poi vende queste emissioni “negative” alle aziende come “crediti di carbonio”.

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«Per quanto molti progetti forestali stiano facendo un importante lavoro di conservazione, il valore dei crediti che generano evitando forme di distruzione ambientali risulta essere basato su un sistema difettoso e già molto criticato», ha spiegato il Guardian: «Abbiamo scoperto che le previsioni su quante emissioni siano state risparmiate contrastano spesso con i precedenti livelli di deforestazione e, in alcuni casi, la minaccia a cui sono sottoposti gli alberi potrebbe essere stata sovrastimata». In sostanza, la quantità di emissioni “compensate” promessa dai progetti è superiore a quella reale.

I progetti supervisionati da Verra usano vari sistemi per stimare le emissioni negative riconducibili alle loro attività, ma in generale tengono conto del tasso di deforestazione nelle aree intorno ai tratti di foresta che difendono. Sulla base di questo tasso, fanno delle previsioni su cosa accadrebbe senza le iniziative a tutela degli alberi. Verra dice di prendere della cautele per evitare di fare previsioni irrealistiche, ma secondo il Guardian, Greenpeace e vari esperti da cui si sono fatti aiutare, queste precauzioni non sono sufficienti e le stime sulle deforestazioni che non sono avvenute sono basate su criteri discutibili e per questo un po’ campate in aria.

Un progetto ad esempio ha previsto che in sua assenza il tasso di deforestazione sarebbe triplicato rispetto all’anno peggiore prima del suo avvio. Un altro ha fatto le sue previsioni considerando i tassi di deforestazione registrati lungo una grande strada – dunque in una zona con del potenziale economico – sebbene la porzione di foresta di cui si occupa si trovi in una zona inaccessibile della giungla, lontano da quella strada. Un terzo progetto prevedeva grandi rischi sebbene si dedichi a una foresta che da anni fa parte di un parco nazionale e non subisce disboscamenti illegali. Tutti e dieci i progetti presi in considerazione dall’inchiesta avevano problemi simili: in generale, secondo l’analisi del Guardian e di Greenpeace, nessuno può avere avuto un impatto pari a quello promesso alle aziende che li hanno finanziati.

L’inchiesta ha anche evidenziato come in realtà sia molto difficile far stime accurate in questo campo, perché si tratta sostanzialmente di fare previsioni su alberi che non sono stati tagliati e bruciati, cioè su un futuro che non si è ancora realizzato, e valutare il contributo di una singola iniziativa escludendo altri fattori, come ad esempio nuove politiche governative oppure un diverso contesto economico.

Il principio su cui si basa lo scambio di emissioni negative in teoria non è scorretto, ma non ci sono prove che nella realtà il sistema stia effettivamente riducendo la deforestazione: l’Università di Cambridge sta lavorando a un grande studio per verificarlo, ma per ora ci sono solo ricerche parziali. Una di queste, pubblicata nel 2020 sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences e relativa a 12 progetti supervisionati da Verra nell’Amazzonia brasiliana, dice che le riduzioni delle emissioni sono sovrastimate e che quelle reali sono state quasi del tutto dovute a una moratoria del 2006 sulla coltivazione della soia, la principale coltura per cui si disboscava la foresta amazzonica.

Pur riconoscendo che certe stime sono complicate da fare, Verra ha difeso i propri metodi, sostenendo che i progetti che supervisiona – che difficilmente potrebbero funzionare senza il sistema dei crediti di carbonio – permettono di combattere il cambiamento climatico e al tempo stesso favorire l’economia delle zone che interessano. Ha anche duramente contestato l’inchiesta del Guardian, mettendone in discussione l’obiettività e l’indipendenza dato che è nata da una collaborazione con Greenpeace: l’organizzazione si oppone da anni al sistema dei crediti di carbonio perché lo considera un modo per giustificare l’utilizzo di combustibili fossili da parte delle aziende.

Il Guardian ha chiesto un commento sull’inchiesta ad alcune delle compagnie aeree che hanno finanziati i progetti certificati da Verra. British Airways ha detto che entro il 2050 vuole raggiungere la neutralità carbonica, cioè la condizione in cui per ogni tonnellata di COo di un altro gas serra che si diffonde nell’atmosfera se ne rimuove altrettanta, e che usa il sistema delle compensazioni in attesa che vengano sviluppati dei carburanti per gli aerei alternativi a quelli a base di combustibili fossili. EasyJet ha detto qualcosa di simile, dicendosi convinta che i progetti finanziati evitino la deforestazione. L’americana Delta ha detto che i metodi di Verra sono rigorosi e basati sulla scienza.

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