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  • Mercoledì 31 marzo 2021

Quelli che corrono per il FKT

Cioè il "fastest known time": il tempo più veloce, per quanto se ne sappia, su un certo percorso, a New York o in qualche vetta alpina

(Ezra Shaw/Getty Images)
(Ezra Shaw/Getty Images)

In genere, quando si parla di record di corsa, ci si concentra su due aspetti: il tempo e la distanza. Sebbene ci siano differenti condizioni tra una pista e l’altra, e ancor di più tra un percorso di una maratona e il percorso di un’altra, il dove conta relativamente poco. Da qualche anno, però, tra certi appassionati sta prendendo piede un nuovo e diverso concetto, che mette l’enfasi sul dove e che apre più possibilità anche ad alcuni non professionisti. È il FKT, acronimo di “fastest known time”: il “tempo più veloce conosciuto”. E serve a misurare e, per quanto possibile, certificare record di corsa fatti all’aperto – tra le montagne o anche in città, su percorsi celebri ma anche no – e, soprattutto, corsi in forma privata, fuori da gare o competizioni.

I “fastest known time” si sono diffusi negli ultimi anni grazie alle possibilità di misurazione, certificazione e archiviazione rese possibili da internet e dai GPS. Ma è nell’ultimo anno che – anche in conseguenza della pandemia – stanno avendo davvero successo: perché, appunto, permettono di correre da soli, ma anche di confrontarsi con altri.

Come ha scritto il Financial Times, per anni i “fastest known time” sono stati «un angolo arcano nella storia della corsa». I tempi – e quindi i record – erano presi solo su percorsi famosi e spesso durante eventi competitivi; oppure solo a livello personale o locale. Le cose hanno iniziato a cambiare intorno al 2000, con l’arrivo di strumenti e app in grado di registrare tracciati e tempi, e poi di confrontarli. E in particolare nel 2004, quando alcuni appassionati di trail running (la corsa all’aperto, perlopiù su superfici diverse dall’asfalto) aprirono online un primo archivio di FKT. «Le persone ci presero subito gusto» ha detto Buzz Burrell, uno dei fondatori; il quale ha aggiunto, tuttavia, che «”i tempi più veloci conosciuti” sono vecchi quanto il mondo, perché è una cosa che fa parte degli esseri umani». Burrell ha spiegato di aver creato il sito dopo essersi accorto che, per capire se poteva dirsi con un ragionevole livello di certezza “il più veloce di sempre su un certo percorso”, aveva dovuto consultare via microfilm vecchie copie del Los Angeles Times.

Dal 2004 in poi il sito è cresciuto di pari passo con il generale interesse per il mondo della corsa e, al suo interno, di attività un po’ più estreme come le ultramaratone e gli ultra trail, cioè il trail running su percorsi più lunghi di una maratona e con alcune migliaia di metri di dislivello. Già nel 2014 Outside Magazine scrisse un articolo intitolato “La strada meno corsa: il successo dei FKT”, e già nel 2015 il New York Times parlò dei record relativi agli oltre 400 percorsi di quello che allora ancora era un “forum online, asciutto e senza fronzoli” dedicato a questo tipo di record.

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Negli ultimi mesi, invece, l’interesse per i “fastest known time” è cresciuto a causa della cancellazione di molti importanti eventi della corsa: dalle più famose maratone fino a eventi più estremi come l’Ultra-Trail du Mont-Blanc, una corsa di 170 chilometri su tre versanti del Monte Bianco, tra Francia, Italia e Svizzera. E quindi è anche cresciuto molto il vecchio forum, che da qualche anno è diventato fastestknowntime.com: un sito più articolato, con regole, FAQ e linee guida. Solo nel 2020, il sito ha omologato circa 4.500 nuovi record, il 350 per cento in più rispetto al 2019.

In certi casi sono record che riguardano percorsi lunghi e a loro modo famosi, come il Pennine Way (una percorso britannico lungo oltre 400 chilometri) o il Nolan 14, che passa per 14 vette del Colorado che superano i 14mila piedi (un po’ più di 4mila metri). In altri sono percorsi più brevi: come un certo numero di giri su un determinato percorso di Central Park, a New York. A volte sono distanze e pendenze tali da richiedere di essere percorse camminando, almeno in certi tratti, e che si completano nell’arco di giorno; altre sono percorsi da fare tutti di corsa, anche in meno di un’ora.

In base alle regole del sito, per poter essere preso in considerazione per un record, un percorso deve essere lungo almeno cinque miglia (più o meno otto chilometri) o avere un dislivello di almeno 500 piedi (circa 150 metri di dislivello). Queste sono però le condizioni essenziali, non quelle sufficienti. I gestori del sito spiegano infatti che per essere inserito su fastestknowntime.com deve essere in qualche modo noto, quantomeno a livello locale, o comunque a suo modo significativo. In altre parole, deve essere qualcosa che altri possano avere un qualche interesse nel ripetere.

Inoltre, per ogni percorso ci sono una serie di sotto-categorie, che riguardano per esempio le differenze tra i record fatti in piena autonomia (cioè portandosi appresso e da soli tutto il necessario, a parte eventualmente l’acqua trovata strada facendo), quelli in cui si ottiene un qualche tipo di supporto esterno e quelli definiti “supported”, nei quali lungo tutto il percorso ci si può far seguire da accompagnatori e aiutanti.

Per far sì che un certo record risulti sul sito bisogna poi presentare i dati raccolti via GPS con uno dei tanti strumenti o delle tante app che rendono possibile farlo. Meglio, però, se con anche qualche prova fotografica. Com’è ovvio, visto che si tratta di dati raccolti autonomamente dai partecipanti, c’è un certo margine di fiducia – del sito e reciproca, tra chi ci fa affidamento – sull’onestà dei vari detentori dei FKT.

Vista la varietà di percorsi presenti – in tutto il mondo, alcuni anche in Italia – e la relativa ampiezza delle regole, quindi, ci sono sia “fastest known time” i cui detentori sono atleti professionisti, che se ce ne fossero farebbero le gare, sia persone che corrono in modo amatoriale e per passione.

Nel primo caso, i FKT sono raccontati come una possibile alternativa alla competizione spalla-a-spalla con altri atleti e, a volte, associati a importanti sponsorizzazioni da parte di aziende del mondo “outdoor”, quello degli sport e dell’attività all’aperto. Nel secondo caso, i “fastest known time” sono un più semplice modo di correre da soli, confrontandosi però con altri. Burrell, però, ci tiene a precisare che secondo lui i FKT sono qualcosa di diverso dai più semplici record di una famosa app come Strava, sulla quale chiunque può creare segmenti o percorso, anche lunghi poche decine di metri, per confrontarcisi con altri ciclisti o podisti. «Non siamo Strava» ha detto «dove chiunque può creare un segmento nel suo isolato, tra un cassonetto e l’altro».

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In questo senso, i FKT – per ora associati perlopiù alla corsa e all’escursionismo – sono visti e raccontati come qualcosa che unisce la pratica sportiva, a volte molto intensa, alla possibilità di riscoprire vecchi sentieri, tracciati o percorsi, magari associandoci elementi storici o paesaggistici, o anche solo a una certa dose di creatività e originalità da parte di chi li crea e, va da sé, può dire di essere stato il più veloce ad averli percorsi, almeno per un po’.

C’è però anche qualcuno più critico, che teme che la passione per la competizione possa portare a un rischio di esasperazione, magari dovuto al tentativo di provare percorsi o ritmi fuori delle proprie possibilità. C’è anche chi ritiene che, seppur fosse in crescita già da prima della pandemia, la relativa fama del concetto di “fastest known time” potrebbe sfumare quando torneranno le gare e la possibilità di confrontarsi con altri, tutti sullo stesso percorso.

Resterà invece sempre il dubbio che qualcuno possa pur sempre aver barato, o che qualcun altro possa aver fatto un certo percorso più in fretta di tutti, senza registrarlo.

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