I dati della settimana sul coronavirus in Italia

I contagi sono ancora in crescita e la situazione preoccupa soprattutto in Friuli Venezia Giulia e in Piemonte

Negli ultimi sette giorni non si è fermata la crescita dei nuovi casi di positività al coronavirus, iniziata a metà febbraio dopo un mese di stabilità. Dal 12 al 18 marzo sono stati trovati 157.694 nuovi positivi, il 5,2 per cento in più rispetto ai 149.898 casi registrati nella settimana precedente.

Nonostante il numero di casi sia in aumento, sembra che il ritmo di crescita sia più lento rispetto alla progressione avvenuta tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. In quel periodo il numero di casi era aumentato di circa il 20 per cento, costante di settimana in settimana, mentre nel monitoraggio di venerdì scorso la variazione era stata del 14,7 per cento.

L’aumento più contenuto è piuttosto evidente anche osservando il grafico che mostra il numero di nuovi casi settimanali: come si può vedere nell’istogramma, lo scarto tra le colonne è più marcato tra la metà di febbraio e l’inizio di marzo.

È molto complesso capire quali siano i motivi di questo ritmo più lento di crescita. Senza dubbio possono avere influito le misure restrittive adottate in molte regioni italiane. Prima le aree rosse locali dove la situazione era preoccupante, poi il ritorno di molte aree rosse a livello regionale hanno limitato gli spostamenti e quindi la trasmissione del virus.

La crescita avvenuta da metà febbraio, invece, era stata un chiaro segnale che le misure restrittive entrate in vigore nel periodo natalizio avevano ormai perso efficacia, anche a causa della presenza delle varianti. In molte regioni italiane, infatti, la maggioranza dei tamponi eseguiti sui nuovi positivi ha confermato che le varianti – soprattutto quelle inglese e brasiliana – si sono diffuse con grande rapidità.

Gli effetti della crescita dei positivi si vedono anche nel numero di decessi notificati negli ultimi sette giorni: sono stati 2.671, il 20,1 per cento in più rispetto ai 2.210 registrati nei sette giorni precedenti. Come ormai è noto, la curva dei decessi cresce in ritardo rispetto a quella dei contagi perché, quando un caso risulta fatale, i dati dicono che tra l’inizio dei sintomi e la morte trascorrono in media 13 giorni.

In questa che molti esperti definiscono la terza ondata dell’epidemia, l’andamento dei decessi è in netta crescita nonostante l’età media dei ricoverati in gravi condizioni sia più bassa – 60 anni, secondo l’ultimo aggiornamento – rispetto alla prima e alla seconda ondata. Va precisato, però, che solo una parte dei decessi avviene nei reparti di terapia intensiva degli ospedali.

Si attendono anche gli effetti della campagna vaccinale, che negli ultimi giorni ha subìto un rallentamento a causa della sospensione delle somministrazioni del vaccino sviluppato da AstraZeneca. Già da tre settimane l’Istituto superiore di sanità sottolinea il divario tra l’andamento dei casi registrati tra le persone con più di 80 anni e il resto della popolazione sopra i 16 anni. I dati non sono ancora consolidati, ma sembra essere evidente che a partire da fine gennaio ci sia stata una diminuzione del numero di casi tra le persone con più di 80 anni. Un calo che l’ISS attribuisce agli effetti della campagna vaccinale.

La regione con l’incidenza più alta di decessi rispetto alla popolazione è stata il Friuli Venezia Giulia, dove negli ultimi sette giorni sono stati registrati 8,6 decessi ogni 100mila abitanti. È calata, anche se di poco, l’incidenza in Molise, a 7,9 decessi ogni 100mila abitanti. Il dato è cresciuto in Emilia-Romagna, una delle regioni dove la situazione è stata più critica nelle ultime settimane: 7,7 decessi ogni 100mila abitanti registrati negli ultimi sette giorni. La Sardegna è rimasta la regione con l’incidenza più bassa: 0,7 decessi ogni 100mila abitanti.

Nella mappa qui sotto, che mostra l’incidenza dei casi negli ultimi sette giorni, tutte le province colorate di arancione e rosso, fino al rosso scuro, hanno superato la soglia di 250 casi ogni 100mila abitanti fissata dal ministero per consentire ai presidenti delle Regioni di decidere l’eventuale chiusura delle scuole. Quasi tutte le province sopra la soglia, però, si trovano già in area rossa oppure in area arancione.

Nell’ultima settimana la provincia con l’incidenza più alta è stata Udine, con 622 casi ogni 100mila abitanti. I dati confermano le criticità in Emilia-Romagna: l’incidenza è stata di 602 positivi ogni 100mila abitanti in provincia di Rimini, 552 nella provincia di Forlì-Cesena e 523 a Bologna, dove però c’è stato un calo rispetto ai 626 casi ogni 100mila abitanti dei sette giorni precedenti.

È stata registrata un’incidenza ampiamente oltre la soglia anche nell’area orientale della Lombardia: a Brescia, una delle province con più casi nella terza ondata, sono stati registrati 474 nuovi positivi ogni 100mila abitanti. Anche a Mantova l’incidenza è stata alta: 464 nuovi casi ogni 100mila abitanti.

Il fatto che il Friuli Venezia Giulia abbia superato l’Emilia-Romagna sul maggior numero di casi registrati rispetto alla popolazione è chiaro anche da questo grafico, che mostra la variazione dell’incidenza negli ultimi sette giorni: in Friuli Venezia Giulia l’incidenza è cresciuta del 17 per cento, mentre in Emilia Romagna è calata del 4,7 per cento.

Una diminuzione significativa, del 16,3 per cento, si è registrata in Umbria, la prima regione ad adottare misure restrittive rigorose per evitare la trasmissione del contagio. Lo stesso è avvenuto in provincia di Bolzano, dove l’incidenza dei casi è diminuita del 23,5 per cento negli ultimi sette giorni. La crescita è stata contenuta in Lombardia, 3 per cento, e invece piuttosto netta in Veneto, dove l’incidenza dei casi ogni 100mila abitanti è aumentata del 31 per cento nell’ultima settimana.

La crescita del Veneto si può notare anche nel grafico del numero assoluto di nuovi casi settimanali: sono stati 12.895 negli ultimi sette giorni contro i 9.876 rilevati nell’ultimo monitoraggio. Sono calati invece in Campania, Emilia-Romagna, Marche, Molise, provincia autonoma di Bolzano, provincia autonoma di Trento, Umbria e anche in Sardegna.

Questo grafico mostra l’incidenza dei casi settimanali ogni 100mila abitanti e la variazione percentuale rispetto ai sette giorni precedenti: può essere utile per valutare l’andamento dei contagi nel tempo e capire quali regioni stiano attraversando una fase delicata. In Friuli Venezia Giulia, come detto, l’incidenza è stata molto elevata nell’ultima settimana, ma va monitorato anche il Piemonte: il numero dei casi è cresciuto soprattutto a causa dell’alta incidenza in provincia di Cuneo, dove sono stati registrati 453 nuovi positivi ogni 100mila abitanti.

Sono tredici le regioni che superano la soglia del 30 per cento dei posti letto in terapia intensiva occupati da malati di COVID-19 sul totale dei posti disponibili. La percentuale più alta in Italia, il 61,1 per cento, si registra nella provincia autonoma di Trento. È alta anche nelle Marche (59,7 per cento), in Lombardia (55,5 per cento), Emilia-Romagna (50,7 per cento) e Piemonte (50,2 per cento). L’Umbria sembra aver trovato una stabilità, 54,7 per cento, tasso di occupazione che mantiene ormai da qualche settimana.

Da metà dicembre la Protezione civile ha iniziato a pubblicare anche i dati dei pazienti ricoverati ogni giorno in terapia intensiva e non solo il numero di posti occupati. Il flusso giornaliero può essere un indicatore importante per capire la pressione sugli ospedali. Negli ultimi sette giorni ci sono stati 392 nuovi ingressi in rianimazione negli ospedali della Lombardia, 171 in Piemonte, 159 in Puglia e in Veneto.

Nelle ultime due settimane si è notato un leggero calo del tasso di positività dei tamponi. Questo è uno degli indicatori per capire se la scoperta dei nuovi casi e il tracciamento dei contatti stiano funzionando in modo efficace. Più il tasso di positività e basso, più ci sono possibilità che l’epidemia sia tenuta sotto controllo. Da gennaio i dati mostrano anche la differenza tra i tamponi molecolari e quelli rapidi antigenici, che finora sono stati utilizzati soprattutto per gli screening su larga scala.

È continuato a crescere anche il numero di nuovi tamponi eseguiti: nell’ultima settimana sono stati 2 milioni e 287 mila, una media di oltre 325mila tamponi al giorno. In totale nell’ultima settimana sono state testate 751 mila nuove persone.

Al momento in Italia sono state somministrate 5 milioni di prime dosi del vaccino contro il coronavirus e 2,3 milioni di persone hanno ricevuto anche la seconda dose.

Negli ultimi giorni la campagna vaccinale è stata rallentata dall’interruzione della somministrazione del vaccino AstraZeneca, sospesa il 15 marzo dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in seguito ad alcune segnalazioni di problemi circolatori (trombosi) riscontrati in persone da poco vaccinate.

L’indagine svolta dall’EMA, l’agenzia europea dei medicinali, non ha rilevato nessun nesso causale tra i casi di trombosi e l’utilizzo del vaccino contro il coronavirus. Il governo italiano ha annunciato che la somministrazione del vaccino AstraZeneca riprenderà da venerdì 19 marzo. Gli effetti dell’interruzione si possono notare in questo grafico che mostra il numero di somministrazioni giornaliere nelle regioni italiane secondo il fornitore. Cliccando sul filtro si possono selezionare tutte le regioni italiane.

Molte regioni hanno già utilizzato oltre il 90 per cento delle dosi a disposizione. La provincia autonoma di Bolzano ha somministrato il 96,7 per cento delle dosi consegnate finora e la percentuale è molto alta anche in Puglia, Valle d’Aosta, Campania, Marche, Toscana, Abruzzo e Lazio. Le ultime regioni per percentuale di utilizzo sono Calabria, Liguria e Sardegna.