Perché è così importante l’incontro tra il Papa e l’ayatollah Ali al Sistani

A Najaf è successa una cosa senza precedenti, che potrebbe avere conseguenze anche fuori dall’Iraq

(AP Photo/Vatican Media)
(AP Photo/Vatican Media)

Il momento più atteso e importante dello storico viaggio di Papa Francesco in Iraq è avvenuto nelle prime ore di questa mattina, quando si è svolto l’incontro con il Grande ayatollah Ali al Sistani, la massima autorità religiosa sciita del paese.

Organizzato nella città santa di Najaf, era considerato «una visita privata senza precedenti nella storia», come l’ha definito un religioso iracheno coinvolto nella sua organizzazione e citato in forma anonima da Associated Press. È senza precedenti non solo per il complicato momento che sta attraversando l’Iraq, da poco uscito da una guerra brutale contro l’ISIS, ma anche perché il Vaticano preparava una visita del genere da decenni, senza però che nessuno dei predecessori di Papa Francesco fosse riuscito a portarla a termine.

Al termine dell’incontro, la Sala Stampa vaticana ha diffuso un breve comunicato, spiegando che la “visita di cortesia” è durata 45 minuti e che durante la conversazione: “Il Santo Padre ha sottolineato l’importanza della collaborazione e dell’amicizia fra le comunità religiose perché, coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si possa contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità”. Il Papa ha ringraziato al Sistani per essersi impegnato, insieme alla comunità sciita, “in difesa dei più deboli e perseguitati”.

Al Sistani, 90 anni, non è soltanto un religioso riconosciuto da moltissimi iracheni e fedeli sciiti: è molto di più, un leader che quando è intervenuto nelle questioni politiche più dibattute degli ultimi vent’anni in Iraq ha cambiato la storia del paese.

Per fare degli esempi: nel 2005 un suo invito convinse moltissimi iracheni a partecipare alle elezioni di quell’anno, le prime dopo l’invasione statunitense dell’Iraq e la destituzione del regime sunnita di Saddam Hussein. Cinque anni dopo l’allora presidente statunitense Barack Obama gli chiese aiuto per risolvere una situazione politica di stallo, che impediva la formazione di un governo.

Nel 2014, al culmine del potere dell’ISIS in Iraq, emanò una fatwa per chiedere a tutti gli uomini di combattere contro lo Stato Islamico, favorendo il superamento delle moltissime divisioni che fino a quel momento avevano reso inefficace la risposta irachena al gruppo jihadista. Nel 2019, durante le enormi proteste antigovernative in corso in tutto il paese, un suo sermone spinse alle dimissioni l’allora primo ministro Adil Abdul Mahdi.

Ali al Sistani (Office of Grand Ayatollah Ali al-Sistani, via AP)

Al Sistani e il Papa si sono incontrati da soli, ad eccezione dei rispettivi interpreti, nella casa di al Sistani a Najaf. L’incontro era stato pianificato nei minimi dettagli: per esempio si sapeva che Papa Francesco si sarebbe tolto le scarpe prima di entrare nella stanza di al Sistani, e che al Sistani, che solitamente rimane seduto di fronte ai visitatori, si sarebbe alzato per salutare il Papa e accompagnarlo vicino a un divano blu a “L”, invitandolo sedersi. «Tutto questo non è mai stato fatto prima da sua Eminenza [al Sistani] per nessun ospite», ha detto un religioso di Najaf citato da Associated Press.

Tutto l’incontro per certi versi è stato eccezionale, per le modalità in cui è avvenuto – nel mezzo delle preoccupazioni per la pandemia e per la sicurezza della delegazione del Papa – e per la sua incredibile importanza simbolica.

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Anzitutto l’incontro tra il Papa e al Sistani è considerato storico per l’implicito “messaggio di pace” alla popolazione irachena, che negli ultimi anni ha attraversato momenti di enorme violenza (come la guerra contro l’ISIS) e instabilità (con diverse crisi di governo, tra le altre cose).

Inoltre, non meno importante, perché ha un significato politico che si estende oltre i confini nazionali iracheni, e che interessa il vicino Iran, paese anch’esso a maggioranza sciita e ormai da anni molto presente negli affari interni iracheni. Al Sistani non è amico dell’Iran, si è sempre opposto all’influenza iraniana nel paese, e la città irachena di Najaf è da sempre in competizione con quella iraniana di Qom per la supremazia tra i fedeli dell’Islam sciita. Le due scuole sono in contrasto anche perché hanno una visione opposta su quale dovrebbe essere il ruolo della religione nella politica, con al Sistani molto lontano dall’idea iraniana del clero gestore diretto e quasi assoluto del potere. Di recente, inoltre, al Sistani si era rifiutato di incontrare Embrahim Raisi, capo della Giustizia in Iran e considerato uno dei possibili successori di Ali Khamenei, la Guida suprema iraniana, cioè la massima autorità politica e religiosa del suo paese.

Per questo, per alcuni osservatori, con l’incontro di sabato non solo Papa Francesco ha riconosciuto implicitamente al Sistani come proprio interlocutore privilegiato nell’Islam sciita, ma al Sistani ha dimostrato anche di preferire un incontro con il capo della chiesa cattolica a uno con un leader politico di un paese formalmente alleato e amico dell’Iraq.

Fedeli e studenti dei seminari sciiti a Najaf, in Iraq (AP Photo/Hadi Mizban)

Nell’ultimo mese in Iraq ci sono stati due attacchi contro basi militari che ospitano soldati occidentali, e che hanno generato molta preoccupazione in vista della visita del Papa: il primo risale al 15 febbraio, compiuto contro una base di Erbil, nel Kurdistan Iracheno; il secondo al 3 marzo, quando è stato colpita la base aerea di Ain al Asad, nella provincia nordoccidentale di Anbar.

I responsabili di attacchi di questo tipo sono solitamente milizie appoggiate dall’Iran, le stesse che si erano rafforzate durante la guerra contro l’ISIS incentivata proprio da al Sistani. Il fatto che siano in grado di colpire obiettivi militari iracheni e occidentali la dice lunga sul tipo di influenza che sono ancora in grado di esercitare nel paese, e sulla capacità del regime iraniano di intromettersi negli affari interni iracheni.

L’incontro tra il Papa e al Sistani è stato importante anche per un’altra ragione: perché potrebbe garantire un po’ di sicurezza in più alla minoranza cristiana in Iraq dopo anni di difficoltà, anche di fronte agli atti intimidatori compiuti dalle milizie sciite. Era stata proprio la Chiesa caldea, dottrina cattolica diffusa soprattutto in Medio Oriente, a voler organizzare l’incontro tra i due leader religiosi, e a insistere quando sembrava che non se ne sarebbe fatto nulla.

Come previsto, l’incontro non è terminato con la firma di un documento condiviso, come si era ipotizzato in un primo momento e come Papa Francesco aveva fatto due anni fa alla fine del colloquio ad Abu Dhabi con il religioso sunnita Ahmed al Tayeb, l’autorità massima dell’Islam sunnita, citato esplicitamente dal Papa nella sua ultima enciclica. Non significa però che le due parti non vogliano dare importanza all’evento, o che l’incontro non produrrà conseguenze importanti in Iraq e nei paesi vicini.