È meglio rinviare la seconda dose del vaccino?

Chi lo sostiene dice che aiuterebbe a compensare la scarsità dei vaccini, ma ci sono ancora dubbi su opportunità e rischi

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

La scarsa disponibilità di dosi di vaccini contro il coronavirus in Europa ha riportato al centro del confronto scientifico e politico la possibilità di ritardare le seconde somministrazioni, in modo che più persone possano ricevere almeno una dose del vaccino e avere qualche protezione contro la COVID-19. Il tema è dibattuto da mesi e negli ultimi giorni ha interessato anche l’Italia, con il governo di Mario Draghi che sta valutando una revisione del piano vaccinale.

A inizio anno la possibilità di ritardare la seconda dose ben oltre le indicazioni dei produttori non convinceva tutti gli esperti e molti sono ancora scettici, nonostante alcune analisi condotte nelle ultime settimane abbiano mostrato risultati promettenti. Il timore è che un rinvio possa favorire la diffusione di nuove varianti del coronavirus e che, più in generale, trasmetta il messaggio sbagliato alla popolazione e l’idea che i risultati dei test clinici svolti lo scorso anno su sicurezza ed efficacia dei vaccini non fossero affidabili.

L’esempio del Regno Unito
Nel Regno Unito la strategia del rinvio della seconda dose è stata seguita con convinzione, proprio con l’obiettivo di vaccinare il maggior numero possibile di persone nel tempo più breve possibile. Circa il 30 per cento della popolazione britannica ha già ricevuto la prima dose del vaccino, mentre poco più dell’1 per cento è stato sottoposto alla vaccinazione completa. È una differenza considerevole se si fa il confronto con altri paesi dove si è comunque proceduti rapidamente con le vaccinazioni, ma mantenendo la somministrazione della seconda dose entro i tempi indicati dai produttori.

Test clinici
Per valutare modalità e tempi di somministrazione dei vaccini, le aziende che li sviluppano e producono svolgono numerosi test su gruppi piuttosto ampi di volontari. Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca, per esempio, li hanno condotti nel corso del 2020, raccogliendo dati sulla sicurezza e l’efficacia dei loro vaccini che sono poi stati sottoposti alle autorità di controllo per ricevere autorizzazioni di emergenza.

Nel caso di Pfizer-BioNTech, per esempio, la seconda dose del vaccino era stata somministrata a tre settimane dalla prima, mentre Moderna aveva scelto di fornire la seconda dose quattro settimane dopo la somministrazione iniziale. L’analisi dell’efficacia dopo due dosi aveva portato al 94-95 per cento per entrambi i vaccini.

AstraZeneca aveva invece sperimentato più combinazioni nei tempi di somministrazione della seconda dose, adottando un intervallo tra le 4 e le 12 settimane a seconda dei casi, in quattro diversi test clinici. A seconda degli intervalli e delle dosi impiegate, il vaccino aveva fatto rilevare un’efficacia tra il 62 e il 90 per cento.

I dati derivanti da questi test sono più complessi e articolati rispetto a quelli di Pfizer-BioNTech e di Moderna, e per questo hanno portato a un certo scetticismo nei confronti del vaccino di AstraZeneca, nonostante sia sicuro ed efficace nel prevenire le forme gravi di COVID-19.

Analisi successive
A metà febbraio, una nuova analisi dei dati sui test clinici effettuati da Pfizer-BioNTech lo scorso anno ha evidenziato come il vaccino abbia un’efficacia del 92,6 per cento dopo due settimane dalla somministrazione della prima dose. Le due aziende avevano inizialmente stimato un’efficacia del 52,4 per cento, ma il calcolo era basato sulla protezione fornita già nei giorni successivi alla somministrazione, quando la risposta immunitaria indotta dal vaccino non è ancora completa. L’analisi a due settimane dalla vaccinazione ha portato quindi a risultati più incoraggianti, e in linea con quelli indicati da altre autorità sanitarie.

Moderna aveva usato criteri di analisi simili sui dati del proprio vaccino, sempre derivanti dai test clinici. L’azienda aveva poi stimato che l’efficacia dopo una dose fosse del 92,1 per cento.

Una recente ricerca ha segnalato come nel caso di AstraZeneca alcuni ritardi nella produzione del vaccino, che avevano interessato i test clinici condotti nel Regno Unito, in Sudafrica e in Brasile, abbiano consentito di rilevare una maggiore efficacia. I partecipanti che avevano ricevuto la seconda dose a meno di sei settimane dalla prima avevano fatto rilevare un’efficacia del 52 per cento, mentre quelli che a causa dei ritardi avevano dovuto attendere almeno 12 settimane avevano poi fatto rilevare un’efficacia dell’81 per cento.

La stessa ricerca ha rilevato il mantenimento degli anticorpi a tre mesi di distanza dalla prima dose, condizione che sembra indicare la capacità del vaccino di far mantenere nel tempo una buona protezione già dopo una somministrazione.

Nel mondo reale
Essendo trascorsi ormai quasi tre mesi dall’avvio delle campagne vaccinali, iniziano a essere disponibili dati sull’impiego dei vaccini tra la popolazione che possono essere messi a confronto con quelli dei test clinici. Il punto di riferimento per analisi di questo tipo è al momento Israele, il paese che in proporzione ha vaccinato più di tutti con il 52,7 per cento della popolazione che ha ricevuto almeno una dose del vaccino, e il 37,3 per cento che ha ricevuto anche la seconda.

Un’analisi realizzata sui dati raccolti su 600mila israeliani vaccinati con Pfizer-BioNTech ha fatto rilevare il 62 per cento di efficacia nel prevenire casi gravi di COVID-19 a due o più settimane dalla somministrazione della prima dose. L’efficacia nel prevenire morti per la malattia è stata calcolata del 72 per cento, e si è rilevata un’efficacia del 46 per cento nel prevenire nuove infezioni da coronavirus.

Un altro studio, sempre realizzato in Israele, ha rilevato una riduzione del 75 per cento nelle nuove infezioni tra gli operatori sanitari che avevano ricevuto la prima dose del vaccino tra 15 e 28 giorni prima, rispetto ai loro colleghi non ancora vaccinati. Il tasso di casi con sintomi si è inoltre ridotto dell’85 per cento, sempre rispetto al gruppo di controllo non vaccinato.

In Scozia una ricerca ha segnalato come il vaccino di Pfizer-BioNTech abbia mostrato un’efficacia dell’85 per cento nel prevenire i ricoveri tra i 28 e i 34 giorni dopo la prima somministrazione del vaccino. Lo studio è preliminare, quindi deve ricevere ulteriori verifiche, ma ha inoltre indicato come il vaccino di AstraZeneca abbia avuto un’efficacia del 94 per cento nell’evitare i ricoveri a partire da un mese dalla prima somministrazione.

A favore
Chi è favorevole al rinvio della seconda dose sostiene che i vantaggi siano ormai evidenti, visto che la differenza nell’efficacia tra la prima e la successiva somministrazione non sembra essere così marcata. In una fase in cui i vaccini ancora scarseggiano, si ritiene che questa soluzione possa compensare le carenze e tutelare un maggior numero di persone, soprattutto nelle fasce più a rischio.

I sostenitori di questo approccio ricordano che rinviare la seconda dose non significa cancellarla del tutto, ma semplicemente ritardarla in modo da avere più tempo e risorse per iniziare a vaccinare un maggior numero di persone.

Contro
Non tutti sono però convinti che la strategia della seconda dose rinviata sia la scelta più saggia, soprattutto perché a oggi non ci sono dati affidabili su quanto duri la protezione fornita da una sola somministrazione, rispetto alle due previste. Gli esperti ritengono che nel caso di un rinvio di qualche giorno o di alcune settimane non dovrebbero esserci rischi particolari, ma le cose potrebbero complicarsi nel caso di rinvii prolungati nel tempo. Nel caso di un rinvio di molti mesi, si potrebbe correre il rischio di arrivare tardi con la somministrazione della seconda dose, quando ormai sono svaniti o diminuiti eccessivamente gli effetti sul sistema immunitario della prima dose.

Nel caso di campagne vaccinali condotte velocemente, come sta avvenendo in Israele, non dovrebbero esserci particolari problemi, perché difficilmente si arriverebbe al rinvio di svariati mesi. Nei paesi dove le campagne procedono a rilento o è più difficoltoso raggiungere le persone da vaccinare, potrebbero esserci più rischi di vanificare i risultati ottenuti dopo le prime somministrazioni.

Altri timori sono legati alla possibilità che milioni di individui solo parzialmente immunizzati, tramite la prima dose, possano fare aumentare il rischio che si sviluppino nuove mutazioni del coronavirus tali da portare alla diffusione di nuove varianti. La differenza nel livello di anticorpi dopo la prima e dopo la seconda somministrazione è del resto molto marcato, e per questo in diversi ritengono che una sola dose possa essere insufficiente per impedire al coronavirus di replicarsi e mutare nell’organismo.

Un’altra preoccupazione è che un rinvio possa essere frainteso o interpretato male dalla popolazione. Seguire una strategia diversa, e non completamente verificata, rispetto a quella fornita dai test clinici potrebbe fare aumentare lo scetticismo nei confronti dell’efficacia in generale dei vaccini e nei modi in cui vengono sperimentati. Si potrebbe anche diffondere la percezione che una seconda dose non sia strettamente necessaria, rendendo più difficile il completamento delle vaccinazioni per i milioni di individui che avranno già ricevuto la prima dose.

Nei paesi in cui si è scelto di privilegiare la strategia della seconda dose rinviata, la scelta è stata più politica che scientifica, seppure basata su primi dati ed esperienze precedenti con vaccinazioni per altre malattie. Nel Regno Unito sembra che per ora il rinvio abbia funzionato, ma saranno necessari diversi mesi per comprendere se abbia portato a benefici e senza rischi più gravi, legati sia alla diffusione di nuove mutazioni sia alla percezione dell’importanza della seconda dose per completare la vaccinazione.

In Italia i piani non sono ancora molto chiari e il confronto è in corso. Il rinvio potrebbe comunque essere ridotto, con la somministrazione delle seconde dosi solo poche settimane in ritardo rispetto alle indicazioni dei produttori, nel caso in cui aumentasse significativamente la quantità di dosi disponibili. A partire da aprile la situazione dovrebbe migliorare, non solo grazie alle maggiori forniture dei vaccini già disponibili, ma anche grazie all’autorizzazione del vaccino di Johnson & Johnson che prevede l’utilizzo di una sola dose. Il vaccino è stato autorizzato negli Stati Uniti nel fine settimana e dovrebbe ricevere l’autorizzazione di emergenza nell’Unione Europa a metà marzo.

Una volta aumentate le dosi a disposizione, sarà ancora più importante potenziare la capacità dei punti di somministrazione per vaccinare più velocemente la popolazione. Salvo imprevisti, nel periodo aprile-giugno l’Italia dovrebbe vaccinare circa mezzo milione di persone ogni giorno per utilizzare tutte le dosi che riceverà; negli ultimi giorni sono state vaccinate in media 90-100mila persone.