La vita delle donne di Neanderthal

La rivista Aeon ha messo insieme quello che abbiamo scoperto finora: l'infanzia, l'adolescenza, la caccia e la cura dei figli

Il teschio di un uomo di Neanderthal (a destra) e di un sapiens, New York, 2003
(AP Photo/Frank Franklin II, File)
Il teschio di un uomo di Neanderthal (a destra) e di un sapiens, New York, 2003 (AP Photo/Frank Franklin II, File)

Sappiamo poco della vita degli uomini di Neanderthal, la specie di ominidi che visse tra circa 400mila e 40mila anni fa in una zona che si estendeva dall’Europa occidentale al Medio Oriente e fino alla Siberia, e che convisse per gli ultimi millenni della sua esistenza con l’Homo sapiens, la specie a cui apparteniamo. E sappiamo ancora meno della vita delle donne: fino ad anni recenti, infatti, i Neanderthal sono stati studiati in modo monolitico e senza sfumature di sesso e di genere. Rebecca Wragg Sykes, archeologa del paleolitico specializzata in Neanderthal, ha messo insieme in un articolo per la rivista online Aeon le cose che sappiamo di quelle donne: dall’infanzia al parto, dalle mansioni all’accoppiamento.

Poco studiate
Per iniziare, il primo esemplare di Neanderthal ritrovato fu proprio una donna, nel 1848 nella cava di Forbes, a Gibilterra. Prima di lei, era stato ritrovato lo scheletro di un bambino, sempre in zona, nel 1826. Questi due scheletri però non vennero identificati subito come una nuova specie di ominide: il primo fossile catalogato fu scoperto a Feldhofer, in Germania, nel 1856, due anni prima che Alfred Russel Wallace e Charles Darwin presentassero la loro teoria dell’evoluzione.

Il teschio di Forbes venne riconosciuto come neanderthaliano solo nel 1863, quando attirò l’attenzione di un dottore con interessi antropologici che lo spedì in Regno Unito per sottoporlo a Darwin. Attirò subito interesse per la sua anatomia ma non per il suo sesso e soltanto nel XX secolo gli scienziati, paragonandolo ad altri fossili di Neanderthal rinvenuti nel frattempo, iniziarono a sospettare che si trattasse di una donna. Rispetto ai maschi, infatti, aveva dimensioni più piccole e le sopracciglia erano meno sporgenti rispetto al cranio di Feldhofer. Fu soltanto grazie all’analisi genetica che venne dichiarata, con certezza, donna.

– Leggi anche: Forse la storia più vecchia del mondo

Per tutto il Novecento gli studi archeologici vennero influenzati da una visione androcentrica, che considerava al centro le attività dei maschi e quelle femminili ai margini. Il teschio di Forbes venne raffigurato per la prima volta dal biologo Thomas Huxley, nel 1864, come fosse di un uomo; per i successivi 130 anni le donne di Neanderthal vennero rappresentante come timorosamente nascoste nell’oscurità delle caverne, impegnate nella cura dei piccoli e nella lavorazione delle pelli, mentre gli uomini erano protagonisti dell’azione: andavano a caccia e intagliavano armi e utensili.

Soltanto dagli anni Novanta questo approccio fu messo in discussione e si iniziò a studiare con più attenzione i fossili femminili, in parte anche a causa di una teoria per cui i Neanderthal si sarebbero estinti a causa della diminuzione del tasso di fertilità delle donne. In particolare, nel 2008 e nel 2009 lo studio dei fossili di neonati e delle ossa pelviche femminili aiutarono a capire come avveniva la nascita mentre già nel 2006 era stato condotto uno studio importante sulla sessualità.

Un altro problema era la difficoltà nello stabilire il sesso a partire da qualche frammento osseo; in mancanza dell’osso pelvico ci si affidava all’idea che le donne erano più piccole con una costituzione più leggera. Le cose cambiarono con l’arrivo degli studi genetici, che consentirono di stabilire con certezza quali fossili fossero donne e quali no. Oltre a quello di Forbes vennero identificati come femminili, tra gli altri, la donna di Altai, che visse nella Siberia occidentale circa 90mila anni fa, quella della grotta di Chagyrskaya, vissuta sempre in Siberia in un periodo leggermente più recente, e tre donne di Vindija, in Croazia, vissute circa 50 mila anni fa, i cui resti permisero anche di sequenziare per la prima volta il genoma di un Neanderthal in modo dettagliato. Una volta riconosciuto il sesso degli scheletri, resta comunque difficile, in mancanza di testimonianze scritte o dipinte, farsi un’idea di come fosse la loro vita e di cosa volesse dire essere una donna di Neanderthal.

La prima cosa da sapere è che ci sono sostanzialmente tre modi per farsi un’idea della vita delle persone nella preistoria: i ritrovamenti archeologici, che però spesso sono rari e incompleti, gli studi sui primati e quelli antropologici delle popolazioni che conducono (o hanno condotto fino al secolo scorso) uno stile di vita da cacciatori-raccoglitori, simile a quello dei neanderthaliani. L’altra cosa da ricordare sono le enormi differenze territoriali, climatiche e temporali in cui vissero i Neanderthal: sono separati tra loro da migliaia di anni, alcuni si aggiravano nei climi caldi e umidi ed erano abituati a cicale e ippopotami, altri attraversavano lande desolate popolate da renne e mammut. Per finire, se possiamo identificare il sesso di uno scheletro, studiarlo e immaginare la vita da un punto di vista biologico è ancora più difficile affrontarne il tema dell’identità di genere e conoscere le differenze culturali e sociali tra maschi e femmine e quanto fossero rigide e stabilite.

La nascita e l’infanzia
Wragg Sykes inizia la sua ricostruzione a partire dall’inizio: la nascita di una neonata. Spiega che non era così diversa da una piccola di sapiens: era piccola, con la pelle vellutata, senza sopracciglia e dagli occhi vitrei come quelli umani; la differenza principale era il cranio, leggermente più allungato, e probabilmente pesava un po’ di più perché le ossa erano più grosse. La madre doveva tenersela vicina per aiutarla a regolare la temperatura corporea e il battito del cuore; aveva bisogno di molto latte, che probabilmente era più denso e cremoso di quello umano attuale. La sua crescita seguiva le stesse tappe di quelle degli umani odierni, forse solo con un ritmo un po’ più rapido (alcuni studi mostrano per esempio che i denti da latte cadessero prima).

– Leggi anche: Sappiamo cosa mangiavano i Neanderthal, grazie al loro tartaro

Non si sa se, al di là dell’aspetto biologico, tra i Neanderthal esistesse qualcosa di simile a quel che consideriamo infanzia. Guardando ai modelli antropologici offerti dai cacciatori-raccoglitori, piccoli e ragazzini tendono a stare in gruppi tra loro: esplorano il territorio e, giocando, imparano le regole sociali e le tecniche per sopravvivere, come raccogliere erbe e bacche. Alcuni fossili ritrovati di orme piccole ravvicinate fanno pensare che i Neanderthal avessero comportamenti simili. In particolare, nel sito di Le Rozel in Francia, risalente a circa 80mila anni fa, ci sono orme lasciate da almeno 4, ma forse anche 10, bambini, alcuni non più grandi di due anni. I fossili ritrovati sono pochi e le ricostruzioni dello sviluppo dei muscoli e delle ossa fanno pensare che tutti i piccoli, indipendentemente dal sesso, fossero molto attivi e imparassero presto le cose fondamentali per sopravvivere.

Le impronte, però, dicono qualcosa sui bambini in generale ma non sulle bambine. Si può allora guardare al comportamento dei primati, come gli scimpanzé: nei primi tre anni di vita, le femmine restano vicino alle madri più a lungo e hanno meno compagni di giochi dei maschi. Questo consente loro di imparare prima alcune tecniche difficili, come la pesca alle termiti, che avviene con dei bastoncini e che maneggiano già a due anni. Le femmine di scimpanzé, poi, sono solite giocare con dei bastoncini come fossero bambole, mimando la cura dei piccoli: li portano in un nido, ci giocano per ore e smettono di farlo quando nasce il loro primo figlio.

L’adolescenza
È probabile che, durante la pubertà, anche per i Neanderthal si amplificasse la tendenza a stare con persone dello stesso sesso. Wragg Sykes racconta che un collante in più potevano essere le mestruazioni, che potevano verificarsi tra gli 11 e i 16 anni di età. Le osservazioni su donne cacciatrici-raccoglitrici fanno pensare che durassero meno di quelle donne del mondo industrializzato. Non sappiamo se fossero le madri, le sorelle più grandi o le amiche a spiegare come comportarsi, forse esistevano delle specie di assorbenti fatti con pelle di animale lavorata e ammorbidita.

L’altro aspetto tipico dell’adolescenza è la sessualità. La prima cosa che non sappiamo è se i Neanderthal fossero consapevoli, come tutti i sapiens, del rapporto tra sesso e riproduzione, un aspetto molto importante per costruire i lignaggi su linea maschile. Non sappiamo neanche se fossero le donne a lasciare il proprio gruppo in cerca di maschi con cui accoppiarsi o viceversa. Gli scimpanzé e i bonobo sono patrilocali, cioè i maschi restano con il loro gruppo e le femmine si spostano, ma per la maggioranza dei cacciatori-raccoglitori avviene il contrario, anche se gli spostamenti sono abbastanza fluidi.

I Neanderthal vivevano in gruppi piccoli e spesso isolati, cosa che riduceva molto la disponibilità di partner sessuali e favoriva le unioni tra consanguinei. Il DNA della femmina della grotta di Denisova, in Siberia, rivela che non solo apparteneva a un gruppo piccolo – con forse meno di 100 individui – ma che i suoi genitori erano strettamente imparentati tra loro: potevano essere una zia e un nipote, un nonno e un nipote o anche dei fratellastri e non sappiamo se loro lo avvertissero come un’anomalia. La donna della grotta di Chagyrskaya, invece, apparteneva a un gruppo altrettanto piccolo ma i suoi genitori non erano parenti così stretti. Il gruppo della femmina di Vindija era un po’ più grande ma non c’erano molte unioni tra consanguinei ed è presumibile che ci fossero spostamento tra gruppi. Probabilmente, come accade tra i cacciatori-raccoglitori, erano le donne a spostarsi in cerca di maschi, forse aiutavano gli incontri anche l’arrivo di grosse mandrie, appetitose per molti.

Vita adulta
Anche in questo caso, è difficile stabilire con certezza quali fossero le mansioni delle donne di Neanderthal, anche perché probabilmente cambiavano in base ai territori, alle epoche e alle circostanze in cui vivevano. È possibile che cacciassero: le femmine di scimpanzé e bonobo lo fanno e nuove evidenze mostrano che anche le donne preistoriche andavano a caccia. In alcuni gruppi di Inuit, le donne cacciano renne e foche mentre le donne Aeta, un gruppo etnico di Luzon, nelle Filippine, cacciano da sole o in gruppo come gli uomini e uccidono cervi e maiali selvatici con archi e frecce.

In generale, stando ai ritrovamenti archeologici, ci sono meno tracce di donne quando gli animali sono molto grandi e lontani, come i mammut nella steppa e gli orsi tra i ghiacci. È probabile che le donne cacciassero animali più piccoli e vicini all’insediamento, come tartarughe, conigli e uccelli, a volte in compagnia di piccoli e anziani. È anche molto probabile che le donne intervenissero a caccia finita, portando i primi utensili per macellare la carne e per raschiare le pelli. L’usura dei denti riscontrata in molti fossili assomiglia a quella osservata in popolazioni indigene che lavorano molto il cuoio, come gli Inuit, e che facevano il lavoro di scarnitura con i denti, usandoli come raschietti.

– Leggi anche: Anche le donne cacciavano nella preistoria?

Studiando gli scheletri femminili, si nota che le cosce erano resistenti come quelle degli uomini ma i polpacci meno, cosa che fa supporre diverse abitudini negli spostamenti e che gli uomini percorressero un terreno più accidentato. Lo stesso vale per le braccia: gli avambracci sono meno sviluppati dei bicipiti ma le braccia hanno uno sviluppo simmetrico, probabilmente perché trasportavano pesi con entrambe le mani oppure perché lavoravano molto il cuoio; i maschi invece avevano il braccio destro generalmente molto più sviluppato dell’altro.

I Neanderthal non erano stanziali e si fermavano in un posto per qualche settimana, accampandosi in grotte o luoghi riparati, dove la vita si svolgeva attorno al fuoco: le donne condividevano il cibo, affilavano gli utensili e lavoravano le pelli, con i piccoli accovacciati in grembo. I fossili mostrano che le dimensioni dei corpi non variavano così tanto tra uomo e donna e questo fa pensare che la società non fosse organizzata sulla competizione violenta tra maschi. Secondo Wragg Sykes la struttura sociale poteva ricordare quella dei bonobo, che ruota attorno alle relazioni di lunga data, soprattutto femminili. È possibile che l’affetto venisse dimostrato con regali di cibo e altro tipo, oltre che verbalmente e fisicamente. Probabilmente c’era qualche forma di intimità tra sole donne.

Il parto e la maternità
Per le donne di Neanderthal la gestazione durava quanto quella delle donne sapiens e presentava le stesse difficoltà. Gli studi delle ossa dei fianchi di uno degli scheletri femminili meglio conservati, trovato a Monte Carmel in Palestina nel 1932 e chiamato Tabūn 1, fanno pensare che la nascita avvenisse, però, in modo diverso: il bambino non doveva torcersi durante il parto e la testa sbucava lateralmente anziché rivolta all’indietro come per gli umani. Probabilmente, quindi, il parto era più rapido e c’erano meno rischi che il bambino restasse incastrato. Doveva avvenire in un luogo protetto e sicuro, come una grotta o un rifugio dove passare anche le ore successive. Non sappiamo se partorivano da sole o se, come le donne sapiens, volevano essere assistite durante il parto: cosa non esclusa, considerato il comportamento di altri primati come i bonobo e le relazioni di amicizia che sembrano, come dicevamo, diffuse.

Una volta partorito, iniziava la cura del neonato. Studi sui denti indicano che venivano allattati oltre l’anno di vita ma introducevano cibi solidi tra i sei e sette mesi, come gli umani. Quelli troppo piccoli per camminare venivano portati in braccio, probabilmente avvolti in pelli attorno al corpo della madre, che poteva anche allattarli durante gli spostamenti. Non si sa, infine, se tutte le donne fertili diventassero madri ma probabilmente, scrive Wragg Sykes, valeva per la maggior parte di loro.

L’importanza delle nonne
L’Homo sapiens ha costruito parte della sua forza sugli anziani: si occupavano dei piccoli e trasmettevano informazioni e abilità. Alcune teorie, poi smentite, sostenevano invece che i Neanderthal morissero troppo giovani e non riuscissero a riprodurre questo meccanismo. I fossili studiati con il DNA mostrano invece poche differenze con quelli degli uomini preistorici e anzi, è possibile che le donne anziane avessero un ruolo fondamentale. Come accade nelle moderne società di cacciatori-raccoglitori, le donne potevano svolgere molte mansioni tra cui la caccia, come fanno le Aeta, non solo perché le prede erano vicine ma anche perché potevano affidare i piccoli alle proprie madri.

Quel che resta delle donne di Neanderthal
Gli studi sul genoma dei Neanderthal hanno permesso di scoprire che ci furono accoppiamenti con la specie sapiens non solo quando i Neanderthal erano in via di estinzione ma probabilmente a partire da 200mila anni fa. In alcuni casi erano le donne di Neanderthal ad accoppiarsi con i maschi sapiens ma a partire da 60mila anni fa accadde soprattutto il contrario: le popolazioni euroasiatiche hanno una percentuale di DNA derivato dai Neanderthal pari all’1-4 per cento ma non presentano alcuna traccia del loro DNA mitocondriale, che viene trasmesso soltanto dalle madri. Nella fase finale della loro storia, erano quindi gli uomini di Neanderthal e le donne sapiens ad accoppiarsi tra loro e dare vita ai piccoli.