L’odore dei film

Sono stati fatti molti tentativi di accompagnare le scene con i profumi: due decisamente fallimentari hanno scoraggiato nuovi tentativi

(Hulton Archive/Getty Images)
(Hulton Archive/Getty Images)

«Iniziarono muovendosi (1893), poi parlarono (1927) e ora odorano (1959)»: era lo slogan sulla locandina di Scent of Mystery, uno dei primi film e rarissimi film proiettati al cinema con l’accompagnamento di profumi e rimasto senza seguito. Dalla sua nascita il cinema si è evoluto fino a offrire sempre più esperienze sensoriali, arrivando recentemente al 3D e alla realtà virtuale, ma finora non ha mai avuto successo con l’olfatto, un senso estremamente potente in grado di coinvolgere facilmente lo spettatore a livello emotivo: BBC ha raccontato i principali tentativi fatti nel tempo e perché, finora, non hanno funzionato.

Per prima cosa, ricorda BBC, già nell’antichità si cercava di accompagnare scene e profumi. Un’antica poesia greca racconta per esempio che per allietare una festa le ali delle colombe venivano impregnate di oli profumati, che spargevano nell’aria mentre si alzavano in volo. Incensi e profumi erano, e sono tuttora, parti importanti di riti e cerimonie. Facendo un salto temporale, The Outline scrive che nel 1902 il poeta e critico d’arte nippo-tedesco Sadakichi Hartmann mise in scena, a New York, un “Viaggio in Giappone in 16 minuti”: fu la prima esibizione artistica basata sull’olfatto di cui siamo a conoscenza. L’idea era di avvolgere il pubblico in una successione di odori che raccontassero un viaggio in mare verso l’Oriente: sul palco c’erano Hartmann e due donne in kimono che sventolavano tessuti profumati davanti a un ventilatore. Non funzionò e lo spettacolo venne interrotto dallo scontento del pubblico.

Nel mondo del cinema, il primo tentativo di aggiungere gli odori alle scene fu nel 1916, quando il proprietario di una sala proiettò il Rose Bowl Game, l’annuale partita di football americano universitario che si tiene a Pasadena, Los Angeles, accompagnandolo con essenza di olio di rose. Poi, nel 1939, arrivò il metodo Scent-O-Vision, successivamente detto Smell-O-Vision. Fu inventato da Hans Laube, un professore svizzero che aveva lavorato nella pubblicità; nel 1939 presentò nel Padiglione svizzero della Fiera mondiale di New York un film accompagnato dagli odori. L’idea gli era venuta dopo aver messo a punto un marchingegno che ripuliva l’aria: pensò che poteva essere utilizzato anche per diffondere i profumi. Nel 1943 il New York Times scrisse che Scent-O-Vision «era in grado di produrre profumi in modo facile e rapido così come la colonna sonora di un film fa partire la musica».

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Il sistema inventato da Laube prevedeva un macchinario centrale con fialette di 20 centimetri riempite con l’essenza concentrata di un odore. Il macchinario era collegato, attraverso una tubatura sotto il pavimento, a ogni singola poltrona: sullo schienale spuntava un piccolo tubo con un nebulizzatore sulla punta. Nel momento giusto, un operatore attivava la macchina: un ago iniettava nella tubatura due centilitri dell’essenza scelta e contemporaneamente tutti gli spettatori sarebbero stati raggiunti da una spruzzata di profumo. Anni dopo venne messa a punto una tecnica simile ma più economica, chiamata Aromarama, sviluppata da Charles Weiss, che lavorava nel settore delle relazioni pubbliche. In questo caso, gli odori erano spruzzati da bombolette spray e diffusi nella sala attraverso il sistema di aerazione.

I due metodi vennero impiegati per la prima volta in due film usciti a un mese di distanza: La muraglia cinese, realizzato con il metodo Aromarama e presentato a New York nel dicembre del 1959, e Scent of Mystery, prodotto in Smell-O-Vision e presentato a Chicago nel gennaio del 1960. La tempistica ravvicinata non è un caso: in quel tempo la tv stava diventando sempre più importante, i cinema ne temevano la concorrenza ed erano alla ricerca di qualcosa di nuovo e avvincente per non perdere spettatori. La vicenda venne rapidamente ribattezza “The battle of the smellies”, La battaglia degli odori.

La muraglia cinese era un documentario piuttosto noioso, stando ai critici, dove gli odori fiancheggiavano le scene mostrate: processioni con fiori, arance, fuochi d’artificio, zone in costruzione, il mercato delle spezie di Hong Kong. Il proiettore aveva un sistema che azionava le bombolette spray, poi l’aria veniva ripulita tra uno spruzzo e l’altro. A causa del sistema Aromarama, la proiezione costò 7.000 dollari dell’epoca ma fu comunque un insuccesso. Il New York Post scrisse che «i grandi paesaggi verdi all’aria aperta avevano l’odore di una bevanda al sedano» mentre il New York Times aggiunse che «nel mezzo dalla profusione di odori, l’aria del cinema è purificata da un sistema che lascia un odore dolciastro e appiccicoso e che tende a diventare insopportabile verso la fine delle due ore del film. Quando lo spettatore esce dalla sala si riempie felicemente i polmoni con quella deliziosa aria di New York carica di smog: non ha mai avuto un odore così buono».

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Smell-O-Vision era un sistema più raffinato, che portò il costo della proiezione di Scent of a mistery a 30mila dollari (250mila dollari di oggi). L’idea di realizzare un film con al centro i profumi era del produttore Mike Todd, Jr., figlio del noto produttore teatrale e cinematografico Mike Todd. Era la storia di uno scrittore di gialli che scopriva un piano per uccidere un’ereditiera americana, interpretata da Liz Taylor, mentre si trova in vacanza in Spagna; l’assassino era ossessionato dal profumo della donna e lui stesso veniva incastrato per l’odore della pipa che fumava. Todd affidò il compito di dirigerlo a Jack Cardiff, noto anche come il “grande maestro del Technicolor”: prima di diventare regista lavorava come direttore della fotografia, nel 1947 aveva vinto anche un Oscar per la fotografia del film Narciso Nero.

Anche qui gli odori erano descrittivi: pane, aglio, banana, brandy, fumo di pistola, incenso e aria fresca. La première si tenne a Chicago davanti a una platea di attori, registi e produttori, poi a New York davanti alla stampa. Le critiche non lasciarono scampo: la sala si era ridotta a una cacofonia di odori e Todd si pentì di non aver utilizzato il sistema di tubatura per aspirare e purificare l’aria. Inoltre il sibilo dello spruzzo era troppo rumoroso, il profumo a volte troppo intenso a volte troppo diluito, con le persone che annusavano fastidiosamente. Le successive proiezioni del film furono senza aromi e venne persino cambiato il titolo in Holiday in Spain. Il regista disse poi che quel film fu un disastro, l’unico della sua carriera che avrebbe cancellato, e accusò il professore Laube di essere un imbroglione. La figlia di quest’ultimo raccontò che il film fu per lui «il canto del cigno. Perse tutti i soldi, mia madre dovette andare al lavoro e lui morì, 16 anni dopo, senza un soldo e in rovina». Scent of a mistery venne restaurato nel 2012 e nel 2015 una versione completa, anche con i profumi, venne proiettata in contemporanea a Los Angeles, in Danimarca e in Inghilterra.

Dopo quegli insuccessi, i film odorosi vennero abbandonati fino ai primi anni Ottanta, quando il regista John Waters accompagnò il suo film Polyester, soprannominato Odorama, con delle carte profumate. Erano suddivise in 10 caselle numerate che andavano grattate quando il numero compariva sullo schermo; ognuna sprigionava allora un odore: rose, pizza, calzini sporchi. Anche in questo caso non andò benissimo, per esempio lo storico Leo Braudy, della University of Southern California, ha scritto su The Conversation, nel 2018, che a lui ricordavano tutti vagamente l’aroma di origano.

Negli anni 1990 DigiScents, una startup di Oakland, in California, presentò iSmell, un meccanismo per riprodurre gli odori su PC. La formula dell’odore era contenuta in un file che poteva essere inviato al computer via mail o trovarsi su un sito; cliccando sul file, la ricetta veniva inviata a un meccanismo collegato al computer tramite USB e che riproduceva l’odore combinando 128 aromi primari contenuti ognuno in una cartuccia sostituibile, come quelle delle stampanti. iSmell era pensato per la pubblicità di cibo e profumi, per accompagnare i videogiochi, l’ascolto di musica e la visione di un film; non era quindi destinato primariamente al cinema, ma nulla vietava che fosse utilizzato anche nelle sale. Il progetto aveva ottenuto investimenti per 20 milioni di dollari ma non aveva convinto molto gli utenti, che non lo comprarono né usarono secondo le aspettative; nel 2001, a due anni dal lancio del primo prototipo, finirono i soldi e venne abbandonato.

Il problema principale, spiega BBC, è che ancora oggi non si sa precisamente come funzionano le funzioni olfattive umane. Nel 1991 Linda Buck e Richard Axel, due scienziati della Columbia University di New York, pubblicarono uno studio che dimostrava come l’olfatto sia regolato da 1.000 diversi geni, circa il 3 per cento dell’intero genoma umano, che codificano i recettori che rivestono la parte alta delle cavità nasale. Ogni cellula di questo tessuto esprime solo un recettore in grado di identificare uno dei 10mila odori che siamo in grado di percepire. Per questa scoperta, Buck e Axel vinsero il Nobel per la medicina, ma ancora non sappiamo con esattezza come i recettori olfattivi inviino i segnali al cervello.

Sempre BBC spiega che ci sono due teorie principali. Secondo la prima, quando una molecola si appoggia sui recettori olfattivi, deboli forze elettrostatiche tra gli atomi attivano delle vibrazioni che si traducono in segnali elettrici che portano le informazioni al cervello, dove vengono analizzate. La teoria più condivisa sostiene invece che le molecole dell’odore funzionino come una chiave per un armadietto e che invierebbero in questo modo i segnali nervosi al cervello. Comunque sia, «l’odore non funziona come il colore, dove possiamo prendere dei colori primari e riprodurre tutto quello che vogliamo: ogni odore ha i suoi componenti», precisa a BBC Saskia Wilson-Brown, fondatrice dell’Institute for Art and Olfaction di Los Angeles, in California. Significa che molti odori sono attivati da parecchie molecole e non da una sola, e che è difficile prevedere che odore produrrà una singola molecola a partire dalla sua formula chimica.

Tra i tentativi più recenti c’è quello di Jacki Morie, un’esperta di realtà virtuale che ha fondato un’azienda che si occupa di odori dagli anni Ottanta. Morie ha messo a punto vari marchingegni, l’ultimo è un collare che diffonde gli odori su una carta filtro e non via spray; così è più facile cambiare rapidamente il profumo perché vengono liberate meno molecole. Morie avrebbe bisogno di 100mila dollari per condurre delle sperimentazioni soddisfacenti ma, a distanza di 60 anni dal fallimento di Scent of mistery, trovare fondi per il settore è ancora difficile. Secondo la regista Grace Boyle, che ha lavorato a lungo con gli odori artificiali, va anche ripensato il modo in cui gli odori verrebbero usati nei film: non dovrebbero essere descrittivi – per esempio sprigionare l’odore del pane durante l’inquadratura di una pagnotta – ma evocativi, per far provare qualcosa o per accompagnare nella storia, per esempio si potrebbe far sentire il profumo dell’assassino quando entra in una stanza. Dovrebbero essere usati come la musica, per costruire l’atmosfera.

È forse per questo che le persone finora non sono state particolarmente attratte dagli odori nei film, come ha notato David Edwards, bioingegnere dell’università di Harvard e inventore del “digital scent speaker”. È un sistema presentato nel 2016 e basato su cartucce, in grado di diffondere 10 diversi odori, ognuna al costo di 49 dollari. Non era decollato perché, appunto, non incuriosiva molto gli spettatori. Lo stesso è accaduto a Scentee, un altro aggeggio basato su cartucce inventato dall’ingegnere malese Adrian Cheok. Nel 2013 un imprenditore locale utilizzò il metodo per produrre un giocattolo portatile, venduto a 30 dollari, ma la produzione venne presto interrotta: i giochini venivano comprati soprattutto da coppie che si mandano profumi di fiori e cioccolata a distanza, ma che si annoiavano rapidamente. Le cartucce si consumavano presto e spesso si restava senza profumo quando serviva, inoltre gli odori erano limitati così come le cose che si potevano fare. Ora Cheok sta lavorando a un nuovo strumento produci-odori: stimola i recettori dell’olfatto attraverso elettrodi inseriti direttamente nelle narici, senza la mediazione di cartucce e spray. Nell’anno del coronavirus, però, non è molto rassicurante infilarsi dei tubetti su per il naso e per ora Cheok ha messo da parte la ricerca.

Continuano invece gli esperimenti dell’imprenditore olandese Frederik Duerinck co-fondatore di Scentronix, che sta cercando di perfezionare una collana con appeso un cubetto di 5×5 centimetri, che ha all’interno un sistema a batteria che diffonde profumo su richiesta. Scentronix utilizza già una macchina che, attraverso un algoritmo, costruisce un profumo personalizzato in base alla risposte date da un cliente a un questionario. Ora vuole impiegare la stessa tecnologia nella profumazione digitale portatile. In questo modo, indossando il cubetto durante i film, si potrà usare una app sul cellulare per programmare il sistema a seguire le scene ed emettere il profumo giusto nei momenti chiave. Duerinck deve ancora migliorare le dimensioni del dispositivo, allungare la durata della batteria, migliorare la qualità del profumo e dell’emissione. Ha intenzione di registrare presto un brevetto e poi di rivolgersi agli investitori.