Cosa fare con i vestiti che non si usano più

Per chi ha fatto ordine nell'armadio e ora vorrebbe sbarazzarsene, ma non buttarli via

(AP Photo/Dave Martin)
(AP Photo/Dave Martin)

Spesso i vestiti che non usiamo più e di cui vogliamo sbarazzarci per fare spazio nell’armadio non sono rotti o da buttare, ma possono benissimo essere riutilizzati. Si possono ad esempio donare a enti benefici che li fanno avere a persone in difficoltà. Da qualche mese, però, a causa dei rischi legati alla pandemia, molte delle parrocchie e delle associazioni benefiche a cui era possibile portare vestiti usati hanno interrotto l’attività di raccolta. Abbiamo raccolto alcune alternative per liberarsene in modo sostenibile e senza rischi di contagio.

Cassonetti comunali
In molti comuni italiani, per strada, si trovano cassonetti che servono proprio alla raccolta di vestiti usati a scopo sociale: nella maggior parte dei casi sono gialli, ma esistono anche bianchi o di altri colori. Molte persone sono scettiche rispetto all’uso di questi punti di raccolta perché in passato sono state pubblicate diverse inchieste sulle attività che li legano ad aziende private che vendono vestiti usati all’ingrosso, talvolta con profitti e modalità non del tutto lecite. Chi vuole sapere con certezza dove finiranno i propri vestiti una volta lasciati nei cassonetti può fare due cose. La prima è visitare il sito del proprio Comune o contattarlo telefonicamente per chiedere quali cassonetti sono effettivamente autorizzati dall’amministrazione e destinati ad attività non profit. La seconda cosa è verificare che sul cassonetto siano indicati il nome e i contatti dell’ente che li gestisce, e poi cercare informazioni direttamente su quello.

Uno degli enti che gestiscono i cassonetti di alcune città è Humana, un’organizzazione umanitaria indipendente e laica nata nel 1998 per portare avanti vari progetti a scopo sociale in Italia e nel mondo. Tra le sue attività c’è la raccolta di vestiti usati, che avviene tramite oltre 5mila cassonetti distribuiti in circa 1.200 comuni italiani. I vestiti, le scarpe e le borse raccolte vengono smistate da un gruppo di addetti che ne decide la destinazione. La maggior parte viene destinata a persone che ne hanno bisogno, soprattutto in Africa. Gli abiti giudicati di particolare valore invece sono venduti nei negozi di abbigliamento vintage che Humana ha a Bologna, Milano, Roma e Torino. Il ricavato dei negozi viene poi investito nei progetti dell’organizzazione. I vestiti ritenuti inutilizzabili invece vengono destinati alle riciclerie. In nessun caso comunque Humana vende i propri vestiti ad altre aziende.

– Leggi anche: Il futuro della moda è l’usato?

Un altro logo che potreste aver visto sui cassonetti gialli se abitate tra le province di Como, Lecco, Milano, Monza-Brianza e Varese è quello di Dona Valore, la rete di cassonetti di Caritas Ambrosiana. La gestione dei cassonetti è affidata a varie cooperative sociali: dopo essere stati raccolti e smistati, alcuni vestiti vengono destinati a persone che ne hanno bisogno, altri vengono venduti ad aziende e il ricavato viene utilizzato per finanziare iniziative di solidarietà. Nello specifico, sul sito di Dona Valore si legge che «una parte viene commercializzata ad imprese autorizzate a svolgere il lavoro di selezione, cernita ed igienizzazione che sottoscrivono contratti commerciali ed etici con le nostre cooperative garantendo il pieno rispetto di tutte le normative nazionali ed internazionali». Altri vestiti della rete Dona Valore, invece, finiscono nei negozi di abbigliamento di seconda mano Share.

Una precisazione doverosa: i cassonetti non sono fatti per gettare abiti logori e non più utilizzabili, come i calzini bucati. Quelli si possono buttare nei bidoni dell’indifferenziata.

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Negozi che raccolgono vestiti usati
Recentemente anche nel settore della moda sta aumentando l’attenzione alle tematiche ambientali e di sostenibilità. Molte catene di negozi hanno cominciato a utilizzare per la propria produzione i tessuti riciclati ricavati dai vestiti usati che i clienti possono lasciare nei negozi spesso in cambio di un buono o di uno sconto sugli acquisti.

Per esempio il programma “Garment Collecting” della catena di fast fashion H&M permette di consegnare alla cassa un sacchetto di abiti usati di qualsiasi marca, tipologia e stato di usura (vanno bene anche calzini spaiati e lenzuola rovinate). In cambio si riceve un buono da 5 euro che vale per una spesa minima di 40 euro. Il programma di riciclo di & Other Stories, che fa parte dello stesso gruppo di H&M, consente di portare in qualsiasi punto vendita un sacco con qualsiasi tipo di prodotto tessile: in cambio si riceve uno sconto del 10 per cento per un acquisto su qualsiasi spesa nei tre mesi successivi. Di tutti i negozi che promuovono iniziative di questo tipo avevamo scritto qui: per essere sicuri che la raccolta sia ancora attiva nonostante la pandemia, vi consigliamo di chiamare direttamente il negozio più vicino a voi.

Armadioverde
È una piattaforma italiana che raccoglie vestiti usati in buone condizioni e li rivende. Chi vuole può prenotare un ritiro di abiti usati direttamente a casa e poi sfruttare le “stelline” guadagnate (una specie di moneta virtuale della piattaforma) per acquistare altri abiti sul sito a pochi euro. Armadioverde accetta solo vestiti in ottime condizioni e non è interessato a biancheria intima, abbigliamento da notte, valigie e scarpe per bambini di taglia inferiore al 17: i vestiti ritirati e successivamente giudicati non adatti alla vendita sul sito vengono mandati a Humana, l’organizzazione citata sopra. Il ritiro è sempre gratuito, ma bisogna rispettare le dimensioni del pacco indicate al momento della prenotazione: la scatola grande per esempio deve avere una somma di lunghezza, larghezza e altezza non superiore a 130 centimetri.

App per la compravendita
Chi oltre a liberarsi dei propri vestiti usati vorrebbe provare a guadagnarci qualcosa, può provare a usare una app. Depop è forse la più usata in Italia e permette a chiunque di vendere i propri vestiti pubblicandone le foto e una breve descrizione. Per ogni vendita Depop trattiene il 10 per cento dell’importo. Chi vende si fa carico di tutto, dalla scelta del prezzo alla spedizione dell’articolo, perché Depop è solo una piattaforma che aiuta l’interazione tra venditori e compratori, ma non si occupa della logistica. Durante la pandemia è stata molto usata: ad aprile ha avuto un aumento del traffico del 100 per cento rispetto all’aprile dell’anno precedente.

Depop comunque non è l’unica app su cui si possono vendere vestiti e anzi ultimamente ne sono nate diverse: Vintag, Shpock e per il lusso Vestiaire Collective, solo per citarne alcune. A dicembre in Italia è arrivata anche Vinted, una app simile a Depop già molto diffusa in altri paesi europei: a differenza di Depop non trattiene commissioni, quindi ai venditori viene riconosciuto l’intero importo ricavato da ogni vendita.

– Leggi anche: La storia di Depop

Negozi che comprano vestiti usati
Negli ultimi anni si sono diffusi in diverse città italiane i negozi di abbigliamento che comprano e rivendono vestiti usati. Alcuni, come Bivio a Milano, hanno momentaneamente interrotto l’acquisto di vestiti a causa della pandemia. Altri, come Ambroeus, sempre a Milano, continuano invece a ritirare vestiti nei giorni di apertura dalle 14 alle 18, previa telefonata. Gli addetti di Ambroeus fanno una selezione dei vestiti, scelgono il prezzo a cui li rivenderanno e pagano al venditore il 35 per cento di quel prezzo o il 50 per cento in forma di buono da spendere in negozio. Chi invece vuole vendere vestiti per bambini, può provare con Baby Bazar, che ha negozi in tutta Italia e che permette ai venditori di ottenere il 50 per cento del prezzo di ogni articolo venduto, oppure Secondamanina, che funziona in modo molto simile.