• Italia
  • Venerdì 11 dicembre 2020

L’Italia aveva un piano pandemico?

Sembra che non fosse aggiornato da anni, se non per la data: lo diceva anche l'OMS, ma poi ha cancellato un rapporto e ora impedisce ai ricercatori di collaborare con le indagini

Il campo dove sono stati sepolti i morti di coronavirus nel cimitero di Bergamo (Claudio Furlan - LaPresse)
Il campo dove sono stati sepolti i morti di coronavirus nel cimitero di Bergamo (Claudio Furlan - LaPresse)

È in corso un’indagine giudiziaria per capire se l’Italia avesse un piano pandemico quando è stata colpita dalla pandemia da coronavirus: cioè se negli anni precedenti al 2020 fosse stato predisposto un documento che indicasse la strategia sanitaria da adottare nell’eventualità di una pandemia, e quando fosse stato aggiornato l’ultima volta. L’obiettivo dei magistrati è ricostruire le responsabilità e le decisioni prese nella gestione dell’epidemia, soprattutto nella sua fase iniziale. «È importante per le valutazioni che la procura sta facendo nell’ambito dell’indagine sull’ospedale di Alzano e sulla gestione dell’epidemia nella Bergamasca», ha detto all’ANSA il capo della procura di Bergamo, Antonio Chiappani.

– Leggi anche: Il disastro in Val Seriana

L’inchiesta è stata aperta dalla procura di Bergamo, dove il coronavirus ha causato seimila morti durante la cosiddetta prima ondata, e si sta sviluppando in diverse direzioni, perché gli inquirenti hanno definito tre capi d’accusa ampi: epidemia colposa, omicidio colposo e falso. I magistrati si sono concentrati in particolare su due fatti: la chiusura e la riapertura dell’ospedale di Alzano Lombardo, lo scorso 23 febbraio, dopo la confermata positività di due pazienti; la mancata istituzione della cosidetta “zona rossa” nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro, durante la prima settimana di marzo. Per capire come giudicare i comportamenti delle persone coinvolte – e quindi quali sono le eventuali responsabilità penali – è rilevante capire se esistessero delle procedure a cui attenersi: e quindi se esistesse un piano pandemico nazionale.

Da quanto è emerso finora, sembrerebbe che l’Italia avesse un piano pandemico ma non lo aggiornasse dal 2006, dal momento che gli aggiornamenti successivi – compreso l’ultimo del 2017 – non avevano apportato alcuna modifica sostanziale. Ma è una storia intricata, anche perché vede il coinvolgimento dell’OMS e di un suo documento pubblicato online e poi rimosso dopo ventiquattro ore; secondo alcuni, proprio dopo le pressioni esercitate dalla persona che avrebbe dovuto aggiornare il piano pandemico. Cominciamo dall’inizio.

L’ingresso dell’ospedale di Alzano Lombardo (Claudio Furlan – LaPresse)

Il 13 maggio l’OMS ha pubblicato online un documento intitolato «Una sfida senza precedenti. La prima risposta dell’Italia al Covid». Lo studio evidenziava sia le buone prassi che gli errori commessi dall’Italia, la prima nazione occidentale colpita in modo massiccio dal coronavirus. «Impreparati a una simile marea di pazienti gravemente ammalati, la reazione iniziale degli ospedali fu improvvisata, caotica e creativa», si legge. «Ci è voluto del tempo prima che una guida formale diventasse disponibile». Lo studio sosteneva inoltre che il piano pandemico italiano più recente, quello del 2017, fosse in sostanza lo stesso piano del 2006. «Nel 2006, dopo la prima epidemia di sindrome respiratoria acuta grave (SARS), il ministero della Salute e le regioni hanno approvato un piano di preparazione nazionale contro l’influenza pandemica e un piano di risposta, riconfermato nel 2017, con linee guida per i piani regionali».

A maggio anche la trasmissione Report aveva raccontato che il piano pandemico pubblicato sul sito del ministero della Salute era lo stesso del 2006, senza nessun aggiornamento o modifica sostanziale: di fatto ogni anno ne veniva aggiornata soltanto la data. Intervistato il 9 dicembre dal Corriere della Sera, il procuratore capo di Bergamo Antonio Chiappani ha confermato che esiste un piano pandemico «datato 2017 che riguarda l’influenza», e che «effettivamente molte parti sono identiche» al piano del 2006.

– Leggi anche: L’inchiesta sulla mancata “zona rossa” in Val Seriana

Ma questa vicenda ha anche un risvolto in più. Lo studio dell’OMS, infatti, è rimasto online soltanto 24 ore prima di essere rimosso (è ancora disponibile a questo link, grazie a Internet Archive). Secondo Report Ranieri Guerra – oggi direttore vicario dell’OMS e membro del Comitato Tecnico Scientifico col quale si confronta il governo italiano – avrebbe avuto un ruolo importante nella rimozione dello studio dal sito dell’OMS. Report infatti ha pubblicato una mail, attribuita a Guerra, che chiedeva modifiche nel testo dello studio per eliminare i riferimenti al piano pandemico del 2006. Sempre secondo Report, «uno dei dirigenti che avrebbero dovuto aggiornare il piano pandemico era proprio Ranieri Guerra, che tra il 2014 e il 2017 era Dg Prevenzione al ministero della Salute». Giovedì 5 novembre Guerra è stato ascoltato dai magistrati di Bergamo, ma il verbale è ovviamente coperto da segreto fino al termine delle indagini.

La divisione europea dell’OMS ha pubblicato una nota per spiegare che lo studio è stato rimosso dal sito «perché conteneva inesattezze e incongruenze». «Comprendiamo che la pubblicazione e la successiva rimozione del rapporto abbiano causato confusione, e abbiamo aggiornato di conseguenza le nostre procedure di pubblicazione», ha aggiunto. Anche il ruolo dell’OMS in questa storia però è oggetto di discussioni. Per tre volte nell’ultimo mese, infatti, la procura di Bergamo ha convocato undici ricercatori dell’ufficio europeo dell’OMS di Venezia, cioè gli autori dello studio pubblicato e poi rimosso dal sito dell’OMS. Inutilmente: l’OMS ha invocato l’immunità diplomatica per i suoi ricercatori, nonostante i magistrati avessero chiesto di sentirli solo come persone informate sui fatti.

Tra le persone convocate c’è anche Francesco Zambon, coordinatore nella sede veneziana dell’OMS. In un’intervista al Corriere del Veneto di qualche giorno fa, Zambon ha detto che «la situazione è delicata» e di non sapere per quanto tempo sarebbe stato al suo posto, nell’ufficio di Venezia. «In questi giorni sto anche aspettando la data della terza convocazione da parte della procura di Bergamo», ha detto. «Alle prime due non ho potuto rispondere perché l’OMS ha invocato l’immunità diplomatica per i propri funzionari e mi ha detto di non presentarmi». Soprattutto, Zambon ha aggiunto di aver «ricevuto pressioni e minacce di licenziamento affinché modificassi il rapporto e scrivessi che il Piano pandemico risale al 2016 e non al 2006, come invece è».

Secondo il Corriere Bergamo, la procura sta valutando l’ipotesi di un’omissione di atti d’ufficio da parte del ministero della Salute. «Stabiliremo chi doveva predisporlo e perché non è stato fatto. Se riterremo che le indagini vadano svolte a Roma, saranno quei magistrati a decidere come procedere», ha detto il procuratore capo Chiappani. La procura di Roma, infatti, è quella competente per le decisioni dei ministeri.

– Leggi anche: Il Comitato tecnico scientifico propose la “zona rossa” per Nembro e Alzano Lombardo

Il governo sostiene che non ci sia niente di particolare da vedere. Durante la trasmissione Piazza Pulita del 3 dicembre, il ministro della Salute Roberto Speranza ha parlato di «polemica senza senso». «Io ho visto il documento e non parla in nessun modo in maniera negativa dell’Italia», ha detto Speranza, aggiungendo però che «l’OMS dovrà fare chiarezza». Il vice di Speranza, Pierpaolo Sileri, ha detto che «effettivamente l’Italia non era pronta ad affrontare un’epidemia come quella da coronavirus. Il fatto che il piano pandemico fosse troppo vecchio è vero, credo che qualche spiegazione da questo punto di vista dovrebbe essere data».

La rimozione del piano pandemico dal sito dell’OMS aveva portato anche a un esposto presentato dal comitato “NOI denunceremo – Verità e Giustizia per le vittime del Covid-19”, di cui fanno parte famigliari delle persone morte di coronavirus. Negli ultimi mesi, il comitato ha depositato centinaia di esposti e denunce.

Esponenti del comitato “Noi denunceremo” in procura a Bergamo per presentare gli esposti (Claudio Furlan – LaPresse)

La procura di Bergamo ha raccolto migliaia di documenti e decine di testimonianze importanti per ricostruire quello che è successo in provincia di Bergamo: è difficile però capire dove porterà l’inchiesta, cioè se rimarrà un caso bergamasco o diventerà nazionale. Al momento gli indagati sono cinque: Francesco Locati, il direttore dell’Asst (Azienda sociosanitaria territoriale) di Seriate, Roberto Cosentina, ex direttore sanitario della stessa Asst, sostituito a fine agosto, Luigi Cajazzo, ex direttore generale del Welfare della regione Lombardia, il suo vice Marco Salmoiraghi e Aida Andreassi, dirigente dell’Unità organizzativa Polo ospedaliero.