Quante persone sono morte nei comuni italiani

I dati ISTAT per il periodo gennaio-settembre mostrano quante persone sono morte in più rispetto alla media degli ultimi cinque anni, comune per comune

(Il Post)
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L’ISTAT, l’istituto nazionale di statistica, ha pubblicato i dati che mostrano quante persone sono morte in Italia da gennaio fino al 30 settembre 2020. Sono dati importanti perché il 2020 non è stato un anno come tutti gli altri: la pandemia da coronavirus ha causato un aumento anomalo della mortalità, soprattutto nei mesi di marzo e aprile, secondo i numeri che possiamo analizzare al momento. Tra tre mesi, al termine della verifica e della validazione degli statistici dell’ISTAT, si potranno conoscere anche i dati della mortalità rilevati durante i mesi di ottobre e novembre, quando c’è stata la cosiddetta seconda ondata della pandemia.

I dati dell’ISTAT non dicono quanti sono stati i morti ufficiali causati dalla Covid-19, ma registrano quelli per tutte le cause. Quindi, tutte le persone che sono morte in Italia. Confrontando il numero dei morti di quest’anno con la media dei cinque anni precedenti, si può capire qual è stata la sovramortalità, cioè quante persone sono morte in più rispetto al passato. In questo modo si riesce a misurare l’impatto della pandemia: non solo le morti dirette – le persone che sono morte a causa della COVID-19 – ma anche le morti “indirette”, cioè causate dalla saturazione del sistema di emergenza (negli ospedali non c’era spazio per tutti, e le ambulanze non riuscivano a soccorrere i malati in tempi rapidi).

Questi numeri sono stati importanti per ricostruire quello che è successo nei mesi di marzo e aprile in alcune province lombarde come Bergamo, Brescia e Cremona, dove il coronavirus ha causato moltissimi morti. Come è stato ricordato in più occasioni, i numeri ufficiali della pandemia sono ampiamente sottostimati, perché durante la prima ondata migliaia di persone sono morte in casa o nelle RSA senza essere mai essere state sottoposte a un tampone per accertare la positività.

Il bilancio di ISTAT
In tutta Italia, dal 1° gennaio al 30 settembre sono morte 527.888 persone, contro le 484.435 registrate in media dal 2015 al 2019 negli stessi nove mesi. Quindi sono morte oltre 43mila persone in più rispetto alla media degli ultimi cinque anni: un aumento dell’8,9%. Tra marzo e aprile, invece, in Italia ci sono stati circa 48mila decessi in più rispetto alla media degli anni precedenti. Circa 29mila sono stati attribuiti ufficialmente al coronavirus.

Nell’ultimo rapporto pubblicato, ISTAT osserva che nei primi due mesi del 2020 la mortalità è stata inferiore del 7% rispetto alla media dei cinque anni precedenti. A partire da marzo, invece, l’istituto parla di «rottura della tendenza alla diminuzione della mortalità riscontrata per i primi due mesi soprattutto nelle aree più colpite dalla pandemia».

Le regioni più colpite sono quelle del nord, con un aumento del 60,5%. In Lombardia, per esempio, si passa da una diminuzione dei decessi del 5,6% del bimestre gennaio-febbraio 2020 a un aumento del 111% nei tre mesi successivi. Giugno e luglio sono i mesi in cui invece l’effetto della prima ondata della pandemia sembra aver esaurito i suoi effetti sull’eccesso di mortalità: si registra, infatti, un livello di decessi inferiore dell’1,2% rispetto alla media 2015-2019 dello stesso periodo.

L’ISTAT rileva un aumento di mortalità anche nei mesi di agosto e settembre, ma non così significativo come in primavera (3,7% contro il 31% registrato tra marzo e maggio). «La seconda fase si caratterizza per una distribuzione dei casi Covid-19 su tutto il territorio nazionale», si legge nel rapporto. «Anche l’eccesso di mortalità totale, rispetto ai 5 anni precedenti, riguarda tutte le ripartizioni territoriali, con incrementi generalmente più sostenuti nelle regioni del centro-sud».

Tra le aree che registrano un incremento almeno del 5% si segnalano la Sardegna (8,9% di decessi in più rispetto alla media 2015-2019), la Puglia (7,8%), la Toscana (7,4%), l’Umbria (6,1%), la Sicilia (5,7%) e la Calabria (5%). Le uniche regioni del nord che raggiungono o superano la soglia di incremento del 5% sono la Valle d’Aosta e il Veneto.

I dati dei comuni
Oltre al rapporto nazionale, l’ISTAT pubblica anche i dati di tutti i comuni italiani. Ci sono i dati giornalieri dei morti, distinti per classe d’età e sesso, registrati in tutti i comuni italiani. Grazie a questi dati, è possibile vedere quanti sono stati i morti in ogni comune italiano dal 1° gennaio al 30 settembre.

In questo grafico si vede la differenza tra i morti totali da gennaio a settembre e la media degli ultimi cinque anni, sempre dei primi nove mesi dell’anno, e l’andamento dal 1° gennaio al 30 settembre. Basta selezionare la regione, la provincia oppure il comune per osservare i dati nel dettaglio. ISTAT avverte che, soprattutto per i dati di settembre, potrebbero non essere consolidati a causa dei ritardi di comunicazione da parte degli uffici anagrafe. 

In questa mappa, invece, è rappresentata la variazione percentuale del numero di morti dal 1° gennaio al 30 settembre 2020. Anche in questo caso, si può selezionare la regione, la provincia o il comune. Scorrendo il puntatore del mouse sulle aree colorate, si possono leggere i dati. Come si può vedere, le aree con l’aumento più significativo sono le regioni del nord, e in particolare le province di Bergamo e Brescia.


Il rapporto dell’Istituto superiore di sanità
Venerdì 4 dicembre, inoltre, l’Istituto superiore di sanità ha aggiornato il rapporto che mostra alcune caratteristiche delle persone ufficialmente morte a causa della COVID-19, cioè solo di chi è stato sottoposto a un tampone.

Lo studio dell’Iss riguarda 55.824 pazienti deceduti da marzo al 2 dicembre. La maggior parte delle morti è avvenuta in Lombardia: 22.252, il 39,9% del totale. Tra le patologie preesistenti più diffuse ci sono ipertensione arteriosa, diabete tipo 2, cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, demenza e insufficienza renale, cancro e scompenso cardiaco. L’età media dei pazienti deceduti e positivi è 80 anni.

L’insufficienza respiratoria è stata la complicanza più comunemente osservata (94,1% dei casi), seguita da danno renale acuto (23,6%), sovrainfezione (19,3%) e danno miocardico acuto (10,8%). Nel 90,8% delle diagnosi di ricovero erano menzionate condizioni (per esempio polmonite, insufficienza respiratoria) o sintomi (per esempio febbre, dispnea, tosse) compatibili con la malattia. Al 2 dicembre 2020 sono 657 su 55.824 (1,2%) i pazienti deceduti positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 163 di questi avevano meno di 40 anni.