Gli altri presidenti non rieletti
Oltre a Trump ce ne sono stati altri tre, nell'ultimo mezzo secolo: e il nome di ciascuno di loro rimane legato a una grave crisi
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Riuscire a battere un presidente degli Stati Uniti che decide di ricandidarsi è un evento raro nella politica americana: non succedeva da quasi trent’anni, dal Secondo dopoguerra è successo soltanto tre volte, a fronte delle dieci elezioni in cui il presidente uscente aveva diritto di ricandidarsi. A questa lista si aggiungerà anche Donald Trump, e in effetti il suo mandato – almeno in superficie – mostra alcuni tratti comuni con gli altri presidenti rimasti in carica soltanto per quattro anni: cioè alcune rilevanti crisi che segnarono le loro amministrazioni.
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Se guardiamo un po’ più in là, fra l’Ottocento e l’inizio del Novecento era successo diverse volte che un presidente in carica non riuscisse a essere rieletto. Il primo in ordine di tempo fu John Adams, che nel 1801 perse contro Thomas Jefferson; poi toccò a suo figlio John Quincy Adams, a Martin Van Buren – il primo a perdere soprattutto per colpa di una crisi economica, il cosiddetto Panico del 1837 – e a Grover Cleveland, che perse la rielezione ma si ricandidò e vinse nella sua terza campagna elettorale, diventando il primo e unico presidente ad ottenere due mandati non consecutivi. È il motivo per cui Trump è considerato il 45esimo presidente ma i presidenti sono stati in tutto 44. Infine accadde a William Taft e a Herbert Hoover, che ebbe la sfortuna di governare durante la crisi del 1929.
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Hoover, sulla sinistra, col suo successore Franklin Delano Roosevelt durante il giorno del suo insediamento, 16 marzo 1933 (Topical Press Agency/Getty Images)
Il primo presidente del Dopoguerra a non essere rieletto fu Gerald Ford, Repubblicano, presidente dal 1974 – quando sostituì Richard Nixon dopo le dimissioni per il caso Watergate – al 1976, prima di essere sconfitto dal Democratico Jimmy Carter. Ford era un presidente non eletto che si candidò dietro la pressione del partito e la cui amministrazione fu associata al Watergate e alla Guerra in Vietnam, arrivata ormai al ventesimo anno. Nei suoi primi mesi di mandato Ford era talmente impopolare che a un certo punto il sondaggio di Gallup lo dava indietro di 33 punti rispetto a Carter. Alla fine gli arrivò a meno di due punti, grazie a una discreta campagna elettorale: tanto che negli anni successivi Ford ricordò di avere «quasi vinto» le elezioni.
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Gerald Ford (a sinistra) con Richard Nixon in una foto del 1973 (Ian Showell/Keystone/Getty Images)
Anche il suo successore, Carter, rimase in carica per un solo mandato. Carter fu un presidente abbastanza anomalo, che arrivò all’apice della sua carriera politica da semi-sconosciuto, e anche la sua presidenza fu abbastanza peculiare.
Per tanti versi fu un precursore del progressismo politico – ambientalista e a favore di un governo federale ampio – ma la sua amministrazione fu irrimediabilmente segnata da due gravissime crisi, entrambe provocate dalla rivoluzione iraniana del 1979: la crisi energetica causata dal brusco rincaro dei prezzi del petrolio, e la crisi legata agli ostaggi nell’ambasciata americana a Teheran – quella del film Argo, per capirci – che segnarono irrimediabilmente le sue possibilità di essere rieletto. Non aiutò il fatto che i Repubblicani candidarono Ronald Reagan, una figura talmente popolare e carismatica che stravinse entrambe le elezioni a cui si presentò, nel 1980 e nel 1984, con un distacco superiore ai 400 grandi elettori (nessuno ha più ottenuto un tale divario).
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Ronald Reagan insieme a Jimmy Carter alla Casa Bianca, nell’ottobre del 1981 (Gene Forte/Consolidated News/Getty Images)
Il suo successore ed ex vicepresidente, George H. W. Bush, ebbe un problema simile: nonostante avesse vinto le elezioni del 1988 con una percentuale rilevantissima – staccò di quasi otto punti il suo sfidante Democratico Michael Dukakis – durante la sua presidenza capitò una lunga crisi economica che di fatto lo rese molto impopolare. Nel giro di quattro anni la sua popolarità si ridusse a meno della metà, passando dal 90 per cento dei primi mesi a meno del 40 per cento nell’anno delle elezioni (durante il quale fra l’altro fu attaccato da destra dal suo sfidante alle primarie Pat Buchanan, e dal candidato indipendente alla Casa Bianca Ross Perot).
Anche a Bush, fra l’altro, capitò uno sfidante in rampa di lancio e super carismatico: Bill Clinton, che vinse le elezioni del 1992 piuttosto agilmente – anche grazie alla candidatura di Perot, che divise il voto conservatore – e quattro anni dopo stravinse la rielezione, ottenendo l’ultima ampia vittoria di un presidente Democratico.
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Bill Clinton e George H. W. Bush fotografati nel 2005 (Frank Micelotta/Getty Images)
Arriviamo così a Trump, il cui mandato verrà ricordato sicuramente per moltissime cose – il muro col Messico, i rapporti con i leader più autoritari del pianeta, la nomina di ben tre giudici alla Corte Suprema – ma soprattutto per la prima pandemia da quasi un secolo, gestita in maniera assai controversa.