Il social network che piace alla destra americana

Si chiama Parler, è simile a Twitter ma dice di essere “senza censura”, e dopo le elezioni ha quasi raddoppiato gli iscritti

Nei giorni successivi alle elezioni presidenziali americane, al primo posto delle classifiche delle app più scaricate di Apple e Android è salito un social network che ha acquisito una certa popolarità nella destra statunitense negli ultimi mesi. Si chiama Parler, ed è presentato come un’alternativa a Twitter senza quella che i sostenitori di Donald Trump definiscono “censura”, riferendosi per esempio ai messaggi che segnalano l’infondatezza dei tweet del presidente uscente sui brogli elettorali.

Dopo le elezioni, Parler ha detto di aver aumentato i suoi iscritti da 4,5 a 8 milioni, e gli utenti attivi da 500mila a 4 milioni. Rimangono numeri molto bassi rispetto a Twitter, che ha quasi 200 milioni di utenti giornalieri, e imparagonabili a Facebook, che arriva a oltre 1,5 miliardi. Ma comunque il successo di Parler è sempre più osservato nel dibattito politico americano, e ci si chiede se possa diventare davvero rilevante o se sia destinato a rimanere una nicchia dell’alt-right, la destra americana nata e cresciuta online che negli ultimi anni è stata progressivamente esclusa da molti dei più importanti social network.

Parler è stato creato proprio per questo: negli ultimi anni, Twitter ha cercato di limitare la diffusione di messaggi d’odio e violenti sospendendo alcuni account dell’estrema destra particolarmente influenti, per esempio quello dell’opinionista Milo Yiannopoulos o del divulgatore di teorie complottiste Alex Jones. E negli ultimi mesi ha iniziato ad apporre ai tweet di Trump che diffondono falsità e accuse non provate un avviso che ne segnala l’infondatezza.

Ma non è successo solo su Twitter: Facebook e YouTube hanno preso provvedimenti simili, pur senza riuscire davvero a escludere dalle proprie piattaforme i contenuti violenti e razzisti. Dopo le sospensioni di account legati alla teoria complottista QAnon, lo scorso ottobre, moltissimi utenti dei due social network sono passati a Parler. E perfino Reddit, il social che più degli altri era stato il riferimento per l’alt-right, ha adottato politiche un po’ più restringenti arrivando a chiudere il popolarissimo forum “the Donald”, lo scorso giugno.

– Leggi anche: “QAnon”, la teoria del complotto più diffusa nella politica americana

Parler esiste dal 2018, ed è stata fondata da due imprenditori informatici originari del Colorado. Il nome arriva dal francese parlare, anche se generalmente viene pronunciato all’inglese. Funziona in modo molto simile a Twitter: si possono pubblicare messaggi fino a mille caratteri, “votando” o condividendo con i propri follower quelli degli altri. I termini di servizio sui contenuti permessi sono un po’ vaghi e contraddittori, ma in generale la politica di Parler è di non rimuovere né segnalare quelli che diffondono bufale, lasciando semmai agli altri utenti il compito di smentirle. Riguardo ai messaggi d’odio, il fondatore John Matze ha detto che non saranno mai vietati perché «non possono essere definiti».

Questo contesto ha attratto molti commentatori e giornalisti di destra, che da anni si lamentano di un presunto clima di “censura” sui social network che invece hanno adottato qualche tipo di politica contro lo hate speech. Tra i personaggi famosi – famosi nella destra americana, almeno – che hanno iniziato a usare Parler in alternativa o insieme a Twitter ci sono stati la blogger Candace Owens, l’ex direttore della campagna elettorale di Trump Brad Parscale e l’avvocato di Trump Rudy Giuliani. Il popolare conduttore televisivo di Fox News Sean Hannity ha invitato a passare a Parler proprio ieri. Qualche mese fa aveva fatto lo stesso l’ex candidato alle primarie Repubblicane Ted Cruz, parlando di «censura della Silicon Valley». Su Parler c’è anche il presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Parler a un certo punto ha avuto anche un altro bacino di utenti: nel giugno del 2019, quando ancora era molto meno frequentato, aveva avuto improvvisamente un aumento di circa 200mila utenti (raddoppiando il totale di allora), tutti provenienti dall’Arabia Saudita. Erano account che in precedenza usavano Twitter, che però ne aveva sospesi alcune centinaia ritenendoli dei bot. Erano infatti profili che pubblicavano messaggi a sostegno del principe ereditario Mohammed bin Salman, e che una volta su Parler avevano iniziato a scrivere messaggi pro-Trump. Molti utenti americani del sito non gradirono quella che giudicarono un’intrusione, e ci furono molti messaggi islamofobi. Ma il fondatore chiese invece che i nuovi account fossero benvenuti dagli utenti.

In una “Dichiarazione di Indipendenza di Internet” pubblicata da Parler lo scorso giugno, il sito cercò di attrarre gli utenti di Twitter, parlando di «tecnofascismo» e di «tiranni della tecnologia», colpevoli di «accumulare i nostri dati personali deumanizzandoci tutti». In realtà anche Parler raccoglie i dati degli utenti con finalità di marketing, come dicono le stesse linee guida del social network.

Non è ancora chiaro come evolverà il dibattito pubblico statunitense con Trump fuori dalla Casa Bianca: e quindi nemmeno quale sarà il ruolo, se ne avrà uno, di Parler nei prossimi anni. Gli ultimi anni hanno dimostrato che fare competizione a una delle grandi società di internet, da Amazon a Facebook a Twitter, è quasi impossibile. Per ora, l’impressione è che sia una piccola “echo chamber”, una camera dell’eco popolata quasi esclusivamente da utenti e commentatori di destra. Non a caso, qualche mese fa Matze aveva offerto una «taglia progressista», cioè un premio di 20mila dollari per un account dichiaratamente di sinistra che avesse almeno 50mila follower su Twitter e che decidesse di passare a Parler.