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  • Lunedì 12 ottobre 2020

La Norvegia ha un’idea precisa su diritti umani e stato di diritto

Continua a tagliare le sovvenzioni a Polonia e Ungheria, due paesi semi-autoritari, e si mostra più efficace dell'Unione Europea che per ora ne sta solo discutendo

La prima ministra norvegese Erna Solberg (EPA/Valda Kalnina)
La prima ministra norvegese Erna Solberg (EPA/Valda Kalnina)

Negli ultimi mesi la Norvegia ha preso una serie di iniziative per sanzionare due paesi membri dell’Unione Europea – Ungheria e Polonia – a causa delle loro ripetute violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto. Il governo norvegese, che dal 2013 è guidato da Erna Solberg, del Partito Conservatore, ha sospeso l’erogazione di milioni di euro di sovvenzioni, provocando effetti molto più rilevanti ed estesi di quelli prodotti finora dalle iniziative dell’Unione Europea, a quanto pare non altrettanto efficaci.

La Norvegia non è membro dell’Unione Europea, ma fa parte del mercato unico grazie all’accordo sullo spazio economico europeo (SEE, che include i paesi dell’Unione, Islanda, Liechtenstein e Norvegia), che ha tra i suoi obiettivi quello di ridurre le disparità economiche in tutto il SEE. Attraverso il sistema delle sovvenzioni del SEE e della Norvegia, il governo norvegese dà ingenti somme di denaro a quindici paesi membri dell’Unione economicamente più deboli, tra cui Ungheria e Polonia. Negli ultimi anni, però, il governo norvegese è diventato sempre più esigente per quanto riguarda gli standard richiesti sui diritti umani e sullo stato di diritto per accedere ai fondi erogati: «a volte è andato anche oltre la stessa Unione Europea», ha scritto Politico.

Nel 2014, per esempio, la Norvegia decise di sospendere tutte le sovvenzioni dirette all’Ungheria – 214 milioni di euro – per i successivi sette anni, dopo che il governo del primo ministro ungherese Viktor Orbán aveva tentato di usare i soldi violando le regole stabilite dal sistema delle sovvenzioni. A febbraio di quest’anno ha congelato l’erogazione di 65 milioni di euro che avrebbero dovuto finanziare un progetto relativo a tribunali e carceri polacche, a causa della sempre più marcata perdita d’indipendenza del potere giudiziario in Polonia, e la conseguente erosione dello stato di diritto. A settembre, inoltre, la Norvegia ha escluso da un programma di 100 milioni di euro le città polacche che lo scorso anno avevano vietato «l’ideologia LGBT», come l’avevano definita le autorità locali.

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La particolare attenzione della Norvegia al rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, e la rapidità della sua azione sanzionatoria, ha scritto Politico, ha messo ancora più in evidenza la debolezza dell’Unione Europea, che negli ultimi anni ha mostrato grandi difficoltà a prendere misure altrettanto efficaci. Marlene Wind, scienziata politica all’Università di Copenhagen, ha detto: «È abbastanza ironico che ci sia un paese fuori dall’Unione Europea in grado di fronteggiare in maniera molto più decisa quello che sta succedendo in Ungheria e in Polonia rispetto all’Unione Europea stessa».

Negli ultimi anni l’Unione Europea ha provato a influenzare le decisioni di Ungheria e Polonia, considerati ormai paesi semi-autoritari, avviando procedure di infrazione su singoli provvedimenti o prese di posizione – per esempio il trattamento disumano nei confronti dei migranti in Ungheria, o le nomine politiche dei giudici in Polonia –, senza però riuscire a influenzare più di tanto le decisioni dei rispettivi governi.

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Qualcosa sembrava poter cambiare con le regole per la distribuzione degli aiuti previsti dal Fondo per la Ripresa, il principale strumento europeo per stimolare l’economia dopo la pandemia da coronavirus.

Nel luglio scorso i paesi dell’Unione avevano iniziato a discutere dell’opportunità di legare gli aiuti al rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto; la difficoltà a trovare qualsiasi tipo di accordo tra stati del Nord e stati del Sud Europa aveva però spinto i negoziatori a rimandare la questione. Alla fine di settembre il governo tedesco, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, aveva detto di avere ricevuto un mandato per introdurre un meccanismo che collegasse l’accesso ai fondi europei al rispetto dello stato di diritto: l’annuncio era stato visto come un primo passo per permettere alle istituzioni europee di ottenere un efficace strumento di pressione nei confronti dei governi dei paesi dell’Est, ma comunque un passo troppo poco ambizioso, che potrebbe – di nuovo – non portare a nulla di concreto.

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