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  • Domenica 11 ottobre 2020

Quando arriveranno i soldi dell’Europa

Il governo sta rifinendo l'elenco dei progetti che potranno essere finanziati dal cosiddetto Recovery Fund, ma il lavoro da fare è molto

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

In queste settimane il governo italiano sta preparando il documento con cui spiegherà all’Unione Europea come intende spendere i circa 209 miliardi di euro di prestiti e sussidi che otterrà nei prossimi cinque anni grazie al cosiddetto Recovery Fund, il principale strumento comunitario per bilanciare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus.

Le attenzioni di giornalisti e addetti ai lavori si stanno concentrando sui progetti che finiranno nel documento finale, cioè il cosiddetto Piano di ripresa e resilienza: ma per capire meglio quali conseguenze avranno i fondi sulla politica nazionale e le comunità che li riceveranno, è interessante soffermarsi su quando e come arriveranno. Per ora nessuna delle due domande ha una risposta chiara, ma parlando con alcuni esperti della cosa e leggendo i documenti ci si può fare un’idea più precisa.

Le basi
Il Recovery Fund in realtà non esiste. È solo l’espressione con cui viene informalmente chiamato il Dispositivo di ripresa e resilienza (Recovery and Resilience Facility), cioè il principale serbatoio di risorse inserito nella più ampia strategia dell’Unione Europea per bilanciare le conseguenze della pandemia, chiamata NextGenerationEU.

I famosi 750 miliardi che associamo al Recovery Fund – recuperati sui mercati finanziari con una soluzione molto coraggiosa, cioè titoli di stato collegati al bilancio dell’Unione Europea – in realtà sono legati al NextGenerationEU, che ha una decina di canali diversi di finanziamento. Il Dispositivo di ripresa e resilienza è il più consistente fra questi: entro il 2026 distribuirà nei 27 paesi dell’Unione circa 310 miliardi di euro di sussidi e 250 miliardi di prestiti a tasso agevolato, per un totale di 560 miliardi.

Il criterio utilizzato per decidere come spartirsi i 560 miliardi di euro è stato misto: la popolazione di ogni singolo stato, il PIL pro capite, e per i primi due anni il tasso medio di disoccupazione fra 2015 e 2019; nel 2023 questo criterio verrà sostituito con la riduzione del PIL nazionale fra 2020 e 2021 causato della pandemia.

Tutti i criteri citati rendono l’Italia uno dei principali beneficiari del NextGenerationEU. Secondo un calcolo diffuso dal governo italiano e confermato da alcuni economisti, l’Italia otterrebbe circa 81,4 miliardi di sussidi e 127,4 miliardi di prestiti sui 750 dell’intero pacchetto: e così otteniamo i famosi 209 miliardi.

Quando arrivano i soldi?
In linea teorica i fondi del NextGenerationEU potranno essere erogati a partire dall’1 gennaio 2021, primo giorno in cui sarà valido il nuovo bilancio pluriennale europeo. In realtà ci vorrà ancora più tempo.

Ogni paese avrà fino al 30 aprile 2021 per sottoporre alla Commissione i Piani nazionali di ripresa e resilienza per spiegare ai funzionari europei come intende spendere i prestiti e i sussidi che riceverà secondo le quote decise a luglio. I piani saranno valutati dalla Commissione e approvati dal Consiglio dell’UE – l’organo dove siedono i rappresentanti dei 27 governi – a maggioranza qualificata.

Per accelerare i tempi la Commissione ha invitato i governi nazionali a sottoporre le bozze del proprio piano di spesa entro il 15 ottobre 2020, in modo che i tecnici europei inizino a studiarli. Il governo italiano ha annunciato che presenterà una bozza proprio il 15 ottobre, lavorandoci probabilmente fino all’ultimo minuto utile.

L’accordo politico trovato a luglio in sede di Consiglio Europeo prevede che il 70 per cento dei fondi sia stanziato nei primi due anni di NextGenerationEU, cioè entro il 2022. Attenzione, stanziati: come tutti i finanziamenti europei dovranno passare da diverse mani e livelli intermedi prima di arrivare a destinazione, tanto che secondo un calcolo del think tank Bruegel realizzato a giugno sulla base di documenti interni della Commissione, fra 2021 e 2022 saranno distribuiti sul territorio europeo circa un quarto dei fondi totali, mentre il resto arriverà soprattutto nel 2023 e nel 2024, a più di quattro anni dall’inizio della pandemia.

Il calcolo di Bruegel tiene conto sia di NextGenerationEU sia dei soldi che avanzeranno dal bilancio del 2020: in azzurro sono indicati i fondi stanziati in miliardi di euro, in rosso quelli erogati

Nei giorni scorsi il governo italiano ha pubblicato la stima ufficiale di quanto prevede di ottenere dal NextGenerationEU nella Nota di aggiornamento al DEF: nel 2021 dovrebbero arrivare in tutto 25 miliardi di euro, fra cui 10 di sussidi, 11 di prestiti e 4 da ReactEU, uno dei vari canali del programma. L’anno in cui il governo italiano si aspetta di ricevere più fondi in assoluto sarà il 2023, con 43 miliardi di cui 26 di sussidi.

(tabella contenuta a pagina 24 del NADEF)

La Commissione e la presidenza di turno del Consiglio dell’UE, cioè la Germania, sanno bene che gli stati membri hanno un immediato bisogno di liquidità: per questo nella bozza di compromesso in corso di valutazione in sede di Consiglio hanno proposto che ciascun paese ottenga un anticipo del 10 per cento sul finanziamento totale una volta che la Commissione e il Consiglio approveranno il Piano di ripresa e resilienza, verosimilmente nei primi mesi del 2021 (a patto che il NextGenerationEu sia stato approvato da tutti i parlamenti nazionali, e che la Commissione sia già riuscita a reperire i soldi sui mercati finanziari). A meno di sorprese, la proposta dovrebbe essere approvata.

A regime i sussidi e i prestiti verranno invece erogati in due tranche all’anno sulla base del raggiungimento degli obiettivi intermedi compresi nel Piano e nelle comunicazioni successive alla Commissione.

Quali saranno i passaggi necessari
Al momento le attenzioni del governo sono concentrate sulla stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza: alla Commissione se ne potrà dare un assaggio a metà ottobre, mentre il periodo per presentarlo ufficialmente va dall’1 gennaio al 30 aprile 2021.

Il lavoro di scrematura dei progetti da inserire nel Piano lo sta portando avanti il ministro degli Affari europei Enzo Amendola, che coordina il CIAE (Comitato interministeriale per gli affari europei), formalmente presieduto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. I lavori del CIAE sono a sua volta supportati da un comitato tecnico seguito ancora più direttamente da Amendola e che comprende i rappresentanti di regioni e province e i funzionari tecnici dei principali ministeri coinvolti. I lavori del comitato tecnico servono soprattutto a dare indicazioni su quali progetti includere e per quali motivi, e informare gli enti locali delle priorità che il governo riceve dall’Unione Europea.

Molte delle priorità del NextGenerationEu sono già contenute nei vari documenti della Commissione: «l’obiettivo generale sarà quello di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione migliorando la resilienza e le capacità di reazione degli stati, mitigando le conseguenze della crisi sull’economia e sulla società, e promuovendo la transizione verso uno stile di vita più sostenibile e legato al digitale», si legge ad esempio nella proposta principale.

Il Piano dovrà elencare per ogni progetto – in tutto dovrebbero essere circa un centinaio, ciascuno di dimensioni medio-grandi – il contesto in cui si inserisce, gli obiettivi che deve raggiungere alla fine del periodo di finanziamento e quelli intermedi, che permetteranno alla Commissione di valutare i progressi fatti nel corso degli anni, ed eventualmente chiedere spiegazioni e nella peggiore delle ipotesi rinviare o bloccare l’erogazione dei fondi.

Non è ancora chiaro, però, come verranno distribuiti i fondi una volta che saranno trasferiti dai conti dell’Unione Europea a quelli dello Stato italiano. L’idea che circola negli ultimi giorni è quella di affidarne la gestione a una task force che si occupi di lavorare coi partner privati e con gli enti locali, e che permetta alla presidenza del Consiglio di tenere più sotto controllo la sua gestione, rispetto alla delega a uno specifico ministero.