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  • Venerdì 25 settembre 2020

Haftar è diventato un problema, ma i suoi alleati non lo mollano

Il maresciallo libico continua ad avere l'appoggio di Francia, Russia ed Emirati, nonostante sia visto come un ostacolo alla pace

Khalifa Haftar (AP Photo/Thanassis Stavrakis, File)
Khalifa Haftar (AP Photo/Thanassis Stavrakis, File)

Uno dei più grandi ostacoli al processo di pace in Libia, paese in cui si combatte una guerra civile praticamente dal 2011, è il maresciallo Khalifa Haftar, uno degli uomini più potenti del paese che è a capo delle milizie legate al governo della Libia orientale. Negli ultimi mesi sembrava che qualcosa fosse cambiato: Haftar aveva subìto importanti sconfitte militari in Tripolitania, la regione della Libia controllata dal suo avversario Fayez al Serraj, e alcuni governi occidentali avevano iniziato a fare pressioni affinché fosse estromesso dalle decisioni politiche relative al futuro del paese. Haftar però ha dimostrato di essere ancora molto influente, grazie al controllo dei terminal petroliferi e al riconfermato appoggio dei paesi suoi amici, tra cui Francia ed Emirati Arabi Uniti.

L’idea che Haftar potesse essere messo di lato, almeno per quanto riguarda le decisioni politiche sul futuro della Libia, era cominciata a circolare negli ultimi mesi dopo le dure sconfitte subite dalle sue milizie attorno a Tripoli, la capitale libica e sede del governo di Serraj.

Haftar aveva attaccato Tripoli nell’aprile dello scorso anno, sperando di ottenere una rapida vittoria e di prendere così il controllo di tutto il paese. Le sue milizie avevano però incontrato una resistenza inaspettata, e le sorti del conflitto erano cambiate drasticamente a inizio anno con l’intervento militare della Turchia a fianco di Serraj. Le milizie di Haftar erano state costrette alla ritirata, arrivando fino a Sirte, città sulla costa. Nonostante le pressioni di diversi governi, Haftar si è sempre rifiutato di ritirare le sue milizie da Sirte, oltre che di accettare l’eventuale creazione di una zona demilitarizzata attorno alla città. Secondo diversi analisti citati da Reuters, le sorti di Sirte potrebbero dipendere più dalla volontà degli alleati di Haftar, tra cui Emirati Arabi Uniti, Egitto e Russia, che dalle stesse milizie legate al governo orientale.

– Leggi anche: L’embargo sulle armi in Libia è una farsa

Oltre a Sirte, Haftar è riuscito anche a mantenere il controllo dei terminal petroliferi della Libia, tra gli obiettivi più ambiti della guerra civile.

La scorsa settimana il maresciallo aveva annunciato la fine del blocco delle attività dei terminal petroliferi che lui stesso aveva imposto otto mesi prima, nel tentativo di fare pressione sulla comunità internazionale e costringerla ad abbandonare il suo appoggio verso il governo di Serraj. Haftar aveva comunicato la ripresa delle attività sostenendo di avere raggiunto un accordo con un membro del governo rivale – ma non con Serraj, che si era opposto a intese simili –, mossa che molto probabilmente aveva provocato ulteriori divisioni all’interno del governo di Tripoli. Wolfram Lacher, analista all’Istituto tedesco per la sicurezza e gli affari internazionali, principale think tank tedesco che si occupa di politica internazionale, ha detto al Financial Times che l’accordo è stato «una totale capitolazione alle richieste di Haftar».

Finora, comunque, sono ripartite le attività di soli tre terminal petroliferi (quelli di Hariga, Brega e Zueitina), mentre gli altri sono ancora bloccati per decisione della National Oil Corp (NOC), compagnia nazionale petrolifera della Libia, che ha sostenuto che non ci fossero le condizioni di sicurezza sufficienti per ripartire, soprattutto per la presenza nei terminal di mercenari stranieri, tra cui i russi del gruppo Wagner.

I diplomatici stranieri impegnati in Libia sostengono che Haftar si stia mettendo di traverso nei negoziati di pace, così come era già successo in passato in diverse occasioni. L’offensiva contro Tripoli era iniziata per esempio poco prima di un’importante e attesa conferenza di pace promossa dall’ONU: Haftar l’aveva avviata per ottenere nuove vittorie in battaglia da usare poi nei negoziati, e partire da una posizione di forza.

Il fatto che oggi possa contare ancora su un significativo potere militare e finanziario, ha detto a Reuters Mohamed Eljarh, esperto di Libia, potrebbe permettere ad Haftar di riprendersi la rilevanza politica persa con le sconfitte militari degli ultimi mesi.

Al momento sembra difficile pensare che Haftar si faccia da parte, e non solo per il controllo dei terminal petroliferi. I suoi più importanti alleati hanno infatti deciso di non scaricarlo, valutando che non ci fossero alternative migliori: negli ultimi anni Haftar è diventato una figura di enorme rilevanza in Libia, che tra le altre cose ha garantito una relativa coesione alle molte milizie che combattono al fianco del governo orientale.

Gli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni hanno fornito alle milizie del governo orientale molte armi e molti droni, non sembrano intenzionati a ritirare il loro appoggio ad Haftar, diversamente da quanto avevano fatto in Yemen nella guerra contro i ribelli houthi. L’interesse emiratino per le sorti della guerra in Libia potrebbe inoltre essersi rafforzato dopo l’intervento in aiuto di Serraj della Turchia, paese che da parecchio tempo si scontra con gli Emirati su diversi temi, tra cui l’appoggio al movimento politico-religioso dei Fratelli Musulmani (che il governo turco sostiene, quello emiratino no). Un discorso simile si può fare per il governo francese di Emmanuel Macron, che sta continuando a insistere sull’affidare ad Haftar un ruolo politico, oltre che militare, nonostante l’opposizione di diversi paesi dell’Unione Europea. Negli ultimi anni Macron aveva investito molto su Haftar, di fatto elevandolo da comandante militare a figura politica centrale per risolvere la guerra in Libia: per la Francia, rinunciare ora ad Haftar potrebbe quindi voler dire rinunciare a tutto il capitale e l’influenza accumulata finora in Libia.