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  • Mercoledì 23 settembre 2020

Il piano per cambiare l’accordo di Dublino

La Commissione europea ha presentato una proposta che punta soprattutto sulla condivisione dei rimpatri dei migranti, più che sulla condivisione dell'accoglienza

(AP Photo/Emrah Gurel)
(AP Photo/Emrah Gurel)

Stamattina la Commissione Europea ha presentato una proposta per modificare il Regolamento di Dublino, il collo di bottiglia legislativo che trattiene in Italia e in Grecia migliaia di migranti che arrivano via mare, e che gli esperti di immigrazione considerano datato e inefficiente. La proposta era stata anticipata dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, durante il più recente discorso sullo stato dell’Unione.

A differenza delle più recenti proposte di riforma – che prevedevano quote obbligatorie di richiedenti asilo da accogliere in tutti i 27 paesi dell’Unione, ed erano state respinte dai paesi dell’Est – quella presentata oggi da von der Leyen prevede la possibilità per i paesi di scegliere se accogliere concretamente i richiedenti nel proprio territorio oppure se «aiutare» i paesi di primo ingresso, cioè Italia, Grecia e Spagna, a rimpatriare un numero pari di richiedenti asilo la cui richiesta di protezione è stata negata, oppure ancora finanziare centri di accoglienza nei paesi di primo ingresso o programmi di sviluppo nei paesi di origine dei richiedenti.

In sostanza, la nuova proposta punta a condividere lo sforzo sui rimpatri più che sull’accoglienza: la Commissione si è giustificata spiegando che al momento a circa due terzi dei richiedenti asilo che entrano in territorio europeo viene negata la possibilità di rimanerci legalmente. La Commissione non lo dice, ma in diversi paesi l’alto tasso di diniego è dovuto a pressioni dirette e indirette da parte della politica per accogliere meno richieste possibili, come del resto è successo in Italia nel periodo dei cosiddetti “decreti sicurezza”.

Von der Leyen ha parlato della necessità di trovare un equilibro fra «responsabilità e solidarietà» fra gli stati membri, e ha spiegato che il nuovo sistema offrirebbe «un modo nuovo» per gestire l’immigrazione «rispettando i nostri valori». Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione con la delega alla promozione dello stile di vita europeo, ha dato qualche dettaglio in più sulla proposta, diffusa anche dagli altri canali della Commissione.

Schinas ha precisato che la proposta prevede l’introduzione di misure più stringenti per l’identificazione dei richiedenti asilo che si presentano alle frontiere europee. Al momento i paesi europei hanno solamente l’obbligo di prendere le impronte digitali dei richiedenti e registrare la loro richiesta: la Commissione propone invece di aggiungere un primo processo di «identificazione e controlli sulla salute e la sicurezza» del richiedente, entro cinque giorni dal suo arrivo.

In questo modo, ha spiegato Schinas, i richiedenti che hanno poche probabilità di ottenere protezione entreranno in un meccanismo di gestione rapida – che non prevede l’ingresso vero e proprio nel territorio del paese di frontiera, dato che la Commissione sostiene che verrà eseguito al confine – che permetterà al paese di primo ingresso di respingerli più rapidamente.

Non è chiaro come questo meccanismo dovrebbe funzionare per i richiedenti asilo che arrivano via mare: la Commissione ha detto che proporrà misure specifiche per i migranti soccorsi in mare, ma seguendo questo ragionamento potrebbe proporre che i cosiddetti hotspot – i centri che si occupano della primissima accoglienza – non vengano considerati parte del territorio dello stato membro, e quindi funzionare come i centri di confine. Rispondendo a una domanda specifica sui migranti soccorsi in mare, Ylva Johansson, commissaria agli Affari interni dell’Unione, ha aggiunto che non ci saranno più «soluzioni ad hoc nave per nave» ma che si dovrebbe sapere in anticipo quali paesi si occuperanno delle persone soccorse.

«La normale procedura di asilo continuerà ad essere applicata per le altre richieste, e dovrà diventare più efficiente», si legge in una sintesi della proposta pubblicata dalla Commissione: l’idea è recuperare un criterio originale del Regolamento di Dublino, cioè ritenere responsabile della gestione della richiesta di un richiedente asilo quel paese europeo in cui dovesse risiedere regolarmente un parente stretto di quel richiedente asilo.

Per quanto riguarda il ruolo dei paesi che oggi non sono di primo arrivo, «si potrà scegliere in che modo dimostrare la propria solidarietà», ha detto Johansson, presentando le tre opzioni per la condivisione della gestione dei richiedenti asilo che verranno ammessi nel territorio europeo.

A ogni paese verrà assegnata una quota di richiedenti asilo, che potrà decidere di gestire in tre modi.

La prima opzione è un normale ricollocamento: se il paese europeo sarà disposto ad accogliere il richiedente asilo in questione, lo ammetterà nel proprio territorio e gestirà l’esito positivo o negativo della sua richiesta. I ricollocamenti in questi anni sono stati pochi e sempre al di sotto degli obiettivi concordati dai vari paesi europei.

La seconda opzione prevede quella che la Commissione chiama una «sponsorizzazione»: ciascun paese potrà decidere di rispettare la propria quota «fornendo tutto il supporto necessario per rimpatriare i richiedenti che non hanno diritto di rimanere, e assumendosi la piena responsabilità se il rimpatrio non viene realizzato», si legge nella sintesi. Tradotto: se la Repubblica Ceca dovrà rispettare una quota di cinquemila richiedenti asilo, potrà decidere di accoglierne 500 e di «sponsorizzare» – cioè pagare e gestire, in sostanza – il rimpatrio dei rimanenti 4.500. Se non riuscirà ad eseguirlo – la base per i rimpatri sono accordi bilaterali fra paesi, difficilissimi da realizzare – dovrà accoglierli nel proprio territorio.

La terza opzione prevede che ciascuno stato possa offrire «supporto operativo, tecnico e di personale, così come altri aspetti della gestione dell’immigrazione», ad altri paesi: in sostanza, che contribuisca alla gestione dei confini versando soldi agli stati di frontiera.

Non è ancora chiaro in che modo la proposta sarà accolta dai governi nazionali e dal Parlamento Europeo, da cui sarà esaminata nei prossimi mesi. Già nelle scorse ore, dopo che erano uscite alcune anticipazioni della proposta, erano emerse le prime critiche. «Sono imbarazzata dal dibattito europeo sull’immigrazione», ha scritto Amandine Bach, consulente per le politiche migratorie del gruppo parlamentare della sinistra radicale al Parlamento Europeo: «definiamo solidarietà il fatto che i paesi membri “sponsorizzino” l’espulsione di persone». In passato il Parlamento Europeo aveva già scartato una proposta che risparmiava ai paesi dell’Est l’onere di accogliere richiedenti asilo in cambio di soldi per la loro gestione.

Bisognerà anche capire se un compromesso del genere andrà bene a Italia, Grecia e Spagna: se tutti gli altri stati scegliessero la seconda e la terza opzione di solidarietà, per esempio, ai paesi di frontiera rimarrebbe l’onere di gestire tutte le richieste di asilo per conto proprio, esattamente come oggi.

La Convenzione di Dublino è stata firmata nel 1990 da 12 stati dell’Unione Europea ed è entrata in vigore l’1 settembre 1997 in forma di regolamento, cioè una legge europea vincolante per tutti gli stati che fanno parte dell’Unione. Riguarda il processo per chiarire quale stato debba esaminare la richiesta di un richiedente asilo – e quindi ospitarlo per la durata della pratica – una volta entrato nel territorio dell’Unione Europea. Il principale criterio previsto del Regolamento prevede che lo stato che si fa carico della domanda e dell’accoglienza sia il primo in cui il richiedente asilo mette piede.

I problemi principali del Regolamento di Dublino sono l’eccessivo onere a carico dei paesi di frontiera – che soprattutto in caso di aumento dei flussi devono stanziare cifre ingenti per gestire e accogliere i richiedenti in arrivo – la rigidità del sistema, che non permette ai richiedenti asilo di spostarsi verso paesi con un mercato del lavoro più flessibile o dove dispongono già di una rete sociale, e il trattamento dei richiedenti asilo durante la gestione della pratica: tutti aspetti che prolungano il limbo burocratico e le situazioni di vulnerabilità in cui si trovano queste persone.

Il tentativo più concreto di riformare il regolamento di Dublino era iniziato nel 2015 al Parlamento Europeo. Dopo due anni di intensi negoziati, nel 2017 il Parlamento approvò con una maggioranza trasversale che andava dal centrodestra alla sinistra radicale una proposta che aveva come obiettivo una maggiore condivisione dell’accoglienza dei richiedenti asilo da parte di tutti i paesi europei: prevedeva di eliminare il criterio del “primo ingresso” e sostituirlo con un meccanismo obbligatorio di ripartizione dei richiedenti asilo fra i 27 Stati dell’Unione.

Durante la conferenza stampa di oggi, Schinas ha detto esplicitamente che un approccio di questo genere non ha funzionato perché alcuni paesi si rifiutano di accogliere richiedenti asilo nel proprio territorio. Schinas però ha aggiunto che la Commissione considera sullo stesso piano le esigenze dei singoli stati, e che quindi ha dovuto trovare un compromesso «realistico» per cambiare il Regolamento.