Meno indignazione per gli asterischi

La linguista Vera Gheno sostiene che le discussioni sulla lingua che cambia fanno bene in ogni caso, al contrario degli «arrocchi sdegnosi»

(Marijan Murat/dpa)
(Marijan Murat/dpa)

In un lungo post su Facebook, la linguista e divulgatrice Vera Gheno è tornata sul dibattito sulla possibilità di rendere la lingua italiana più inclusiva nei confronti delle donne e più in generale delle minoranze, utilizzando in particolare alcune soluzioni creative come un asterisco al posto del plurale maschile – oggi usato genericamente per ogni gruppo di persone – e una vocale neutra chiamata schwa (ə).

Gheno, che studia questioni di lingua e genere da molti anni, invita le persone che ritengono inappropriate queste soluzioni a vivere con maggiore laicità il dibattito in corso: «nel sistema-lingua possono convivere più o meno serenamente le regole, necessarie affinché il codice funzioni (la cosiddetta “norma”), e un certo grado di libertà», spiega nel suo post, e «tutto questo può rimanere là, ai margini del sistema-lingua, senza dare particolare fastidio alla lingua stessa».

Secondo Gheno, inoltre, è importante discuterne a prescindere dall’esito del dibattito: «Che piaccia o no alla “maggioranza” esistono persone che al momento ritengono l’esistenza dei generi maschile e femminile come un limite all’espressione di sé. […] Decidere “a tavolino” che questo disagio non esista o non sia degno di attenzione è, a mio avviso, un atteggiamento superficiale».

Sono da sempre attratta da tutto ciò, in ambito linguistico, che sfugge alla regolarità, alla norma. Usi dialettali e regionali, lessico privato, della famiglia, linguaggi giovanili, gerghi più o meno tradizionali… E ogni volta, davanti alle mie riflessioni, ho assistito alle ormai tradizionali manifestazioni di indignazione, da “Dove andremo a finire, signora mia” a “Vergogna!”, da “Che orrore” a “Bisogna che qualcuno vieti questi costumi linguistici”, da “Ci sono delle regole, vanno rispettate” a “Non è possibile esprimersi così, è sbagliato”, per finire con “Ma che ca**ate”.

Mi pare che una delle “lezioni” (socio)linguistiche più difficili da accettare sia che nel sistema-lingua possono convivere più o meno serenamente le regole, necessarie affinché il codice funzioni (la cosiddetta “norma”), e un certo grado di libertà (individuale o di gruppo), che serve per personalizzare, sia per scopi identitari sia per scopi pratici, tale sistema. Questo vuol dire che un ragazzino può tranquillamente “cringiare” o guardare i film con i “jumpscare” con i suoi “fra”, senza che nessuno di questi termini aspiri a essere registrato nel dizionario. Vuol dire che un “gamer” può “killare”, “nerdare” o “farmare” in assoluta libertà o che Tha Supreme può cantare, senza venire arrestato dalla polizia linguistica, “Swisho un blunt a Swishland”, ma anche che una persona amante di Star Trek ha la libertà di salutare un altro “trekkie” con ???? su un social. E tutto questo può rimanere là, ai margini del sistema-lingua, senza dare particolare fastidio alla lingua stessa (i più a indignarsi saranno, come al solito, i grammar-nazi, o coloro che si sono dimenticati di essere stati a loro volta “ggiovani”, un dì).

Questa curiosità di fondo è lo spirito con cui mi sono messa a osservare la questione di come particolari gruppi di persone (settori del movimento femminista, attivistə LGBTQ+, individui che non si sentono auto-rappresentati nel binarismo) provassero a risolvere quello che *loro* sentono come un limite espressivo della nostra lingua: asterisco, barra obliqua, trattino basso, punto, schwa, eccetera (ne ho compilata una rassegna qui).

Ora, per quanto mi riguarda, queste soluzioni sono interessanti in quanto tentativi, esperimenti, usi il cui valore è più identitario/sociale che non linguistico; non so in che misura possano mai avere un impatto sull’impianto della norma dell’italiano.

Ma proprio per questo, sono secondo me esagerate sia le grida di allarme di chi teme per l’integrità dell’italiano (gli esperimenti “liminali” sono sempre esistiti: si pensi ai futuristi, che elevarono il gioco linguistico ad arte vera e propria, o a Dante, che ha inventato un’intera serie di verbi in+qualcosa+are(arsi) come inluiarsi, immillarsi o infuturarsi) sia le spiegazioni rigidamente scientifiche, accompagnate da una punta di sdegno, di chi dice e scrive “è già stato dimostrato dal Von Qualcosevich che lo schwa è una soluzione inadottabile perché mischia codici differenti, introducendo nell’alfabeto dell’italiano un simbolo alieno…”).

(Continua a leggere sul profilo Facebook di Gheno)