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  • Venerdì 14 agosto 2020

Trump le sta provando tutte contro Harris

La notizia della candidatura della senatrice Democratica è stata accolta molto positivamente, e Trump sta reagendo come al solito: con attacchi razzisti e misogini

(Drew Angerer/Getty Images)
(Drew Angerer/Getty Images)

La notizia della candidatura della senatrice Kamala Harris a vicepresidente degli Stati Uniti per il Partito Democratico, decisa dal candidato presidente Joe Biden, ha ottenuto reazioni perlopiù positive dai giornali e dall’opinione pubblica. Le tv e i quotidiani hanno insistito molto sul fatto che Harris sia la prima donna non bianca a candidarsi alla vicepresidenza – sua madre era emigrata dall’India negli anni Sessanta, suo padre dalla Giamaica – e nove elettori su dieci del Partito Democratico sono convinti che la sua candidatura sia «un passo importante» per gli Stati Uniti, così come il 37 per cento degli elettori del Partito Repubblicano.

La scelta di Harris è sembrata a molti la più logica per completare e arricchire il profilo di un candidato come Biden: eppure sembra aver colto di sorpresa i Repubblicani e l’amministrazione Trump, tanto che negli ultimi due giorni il presidente in carica le sta provando tutte per attaccare Harris, ricorrendo anche a teorie del complotto esplicitamente razziste – come del resto aveva fatto otto anni fa durante la presidenza di Barack Obama – e attacchi misogini.

Harris ha 55 anni ed è una senatrice della California entrata in politica dopo una lunga carriera nella magistratura. Ha posizioni più a sinistra di Biden, ma non appartiene all’ala più radicale del Partito Democratico. Il suo profilo – donna istruita e di successo – la rende piuttosto attraente per un segmento elettorale importante, quello delle donne bianche istruite, più di un terzo delle quali votò per Trump nel 2016.

Rispondendo a una domanda subito dopo l’annuncio di Biden, Trump ha detto che Harris era «la sua scelta numero uno», suggerendo che sia un avversario che sa come affrontare e screditare. Al momento, però, non sembra aver trovato nulla di particolarmente efficace.

In un confuso video messo insieme dal suo comitato elettorale poco dopo la notizia della candidatura di Harris, la senatrice viene accusata di essere phony, «una bugiarda», e di avere posizioni molto a sinistra sulle tasse e la sicurezza. Il video è passato praticamente inosservato – così come non ha avuto grande seguito il nomignolo che Trump ha cercato di diffondere, Phony Kamala – e Trump ha quindi portato gli attacchi su un altro piano.

Durante un’intervista alla tv Fox Business, Trump l’ha accusata di essere una «pazza» per via delle domande incalzanti che fece durante le audizioni in Senato del candidato giudice alla Corte Suprema, Brett Kavanaugh, accusato di avere molestato una donna ai tempi dell’università. È un insulto che ricalca un vecchio stereotipo sulle donne che ricoprono posizioni di potere, che Trump – un noto misogino, accusato da decine di donne di averle molestate sessualmente – usa trasversalmente nei confronti delle sue avversarie: di recente lo ha associato anche alla leader dei Democratici alla Camera, Nancy Pelosi, e alla deputata Alexandria Ocasio-Cortez.

In una conferenza stampa tenuta ieri, inoltre, Trump ha alimentato una teoria del complotto esplicitamente razzista sulle origini di Harris. Citando un controverso articolo di opinione uscito su Newsweek, Trump ha detto che Harris «non rispetta i criteri» per essere candidata alla vicepresidenza, cioè essere nati nel territorio degli Stati Uniti. Harris è nata a Oakland, in California, ma l’articolo di Newsweek – pubblicato da un avvocato conservatore, John C. Eastman – sostiene una tesi piuttosto convoluta per cui la figlia di due immigranti che non hanno la residenza permanente non possa considerarsi come nata negli Stati Uniti.

La tesi di Eastman è stata smontata da diversi esperti, secondo cui il 14esimo emendamento della Costituzione è chiarissimo e impossibile da interpretare in maniera restrittiva: «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e sottoposte alla relativa giurisdizione sono cittadini degli Stati Uniti».

«Trump ha cercato di utilizzare una vecchia tattica», ha concluso il New York Times: «cioè la crociata anti-immigrati e basata sull’etnia che aveva iniziato una decina di anni fa, quando alimentò lo scetticismo nei confronti del presidente in carica Barack Obama, nato alle Hawaii». Per anni, infatti, Trump sostenne una teoria del complotto senza alcun particolare fondamento secondo cui Obama non era davvero nato alle Hawaii ma in Kenya (fu anche grazie a quelle accuse che ottenne visibilità e spazio su Fox News, che oggi lo sostiene esplicitamente). La polemica si chiuse quando Obama diffuse il proprio certificato di nascita: poco dopo prese in giro Trump e le sue accuse durante una cena dei corrispondenti alla Casa Bianca, nel 2011.

Per la maggior parte dell’opinione pubblica la polemica finì lì, ma ancora oggi la strategia che Trump usa per screditare gli avversari è rimasta la stessa: accusarli di una cosa enorme e senza senso, e sperare che rimanga loro appiccicata, che i giornali ne parlino e che diventi un elemento decisivo per convincere almeno una parte dell’elettorato.

Non è ancora chiaro se nelle prossime settimane Trump insisterà con l’accusa razzista nei confronti di Harris, che sta già prendendo piede fra i suoi sostenitori più radicali: secondo un calcolo del New York Times, ancora prima che il presidente ne parlasse apertamente l’articolo di Eastman era stato ripreso da alcuni suoi collaboratori e aveva raggiunto circa 14 milioni di persone fra Facebook, Reddit e Twitter.