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  • Giovedì 6 agosto 2020

Cosa ci faceva tutto quel nitrato di ammonio al porto di Beirut

Il New York Times ha ricostruito la storia del deposito che si pensa abbia causato l'enorme esplosione di martedì, la cui pericolosità era nota alle autorità locali

(AP Photo/Hassan Ammar)
(AP Photo/Hassan Ammar)

Con il passare delle ore, alcuni giornali internazionali stanno ricostruendo la storia del deposito di nitrato di ammonio che si ritiene abbia causato l’enorme esplosione di martedì a Beirut. E stanno emergendo le gravi colpe delle autorità locali, che sapevano della sua esistenza e della sua pericolosità ma che se ne disinteressarono, rimandando il suo smaltimento. Le quasi tremila tonnellate del composto chimico, la cui detonazione secondo le attuali ricostruzioni ha causato oltre 135 morti, almeno 5mila feriti e ha devastato un pezzo di una delle città più belle del Medio Oriente, erano al porto di Beirut dal 2013, quando vi arrivarono a bordo di una nave mercantile di proprietà russa.

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Nonostante i molti avvertimenti sulla sua pericolosità, e gli appelli a smaltirlo in fretta, il nitrato di ammonio non fu mai portato via, ed è rimasto abbandonato in un magazzino fino a due giorni fa, quando per motivi ancora da chiarire – forse un’operazione di saldatura andata storta – è esploso provocando un disastro con pochi precedenti a Beirut, una città che ha visto guerre e attentati.

Il New York Times ha ricostruito la storia della nave, che si chiamava Rhosus e che era partita dalla Georgia diretta in Mozambico, dove avrebbe dovuto consegnare le quasi 3mila tonnellate di nitrato di ammonio ordinate dalla banca nazionale locale per conto della Fábrica de Explosivos de Moçambique, che si occupa di esplosivi industriali per miniere ed edilizia, un ambito in cui il composto è largamente usato. Di per sé non è considerato particolarmente volatile o pericoloso, ma in determinate condizioni può diventarlo. In passato è stato usato anche per attentati, come quello del 1995 a Oklahoma City.

(AP Photo/Hussein Malla)

L’armatore della nave si chiamava Igor Grechushkin, un ricco uomo d’affari russo, che però dopo la partenza comunicò al capitano che non aveva abbastanza soldi per l’attraversamento del canale di Suez. Gli disse quindi di fermarsi a Beirut, dove avrebbe dovuto caricare altro materiale raccogliendo così la somma per il pedaggio.

Al porto, però, non si riuscirono a caricare i macchinari per cui era stato concordato il trasporto: la nave, che aveva già 30 o 40 anni, fu sequestrata dalle autorità locali quando non riuscì più a pagare le spese portuali. Grechushkin non si fece più sentire, e di fatto l’equipaggio della nave fu abbandonato. Una parte tornò a casa, ma il capitano Boris Prokoshev e tre marinai ucraini furono costretti a rimanere a bordo finché non fosse stato ripagato il debito. Non potevano nemmeno lasciare la nave, incontrando grandi difficoltà a procurarsi cibo e provviste e finendo per essere aiutati dai funzionari del porto, che però – ha detto Prokoshev al New York Times – non manifestavano nessun tipo di preoccupazione per il carico potenzialmente esplosivo della nave.

La storia dei marinai e del capitano intrappolati nella nave diventò un caso mediatico in Ucraina, e cominciarono gli appelli e le segnalazioni. Non ottenendo risultati tramite le vie diplomatiche, Prokoshev vendette parte del carburante della nave per pagare l’assistenza legale, che portò in tribunale la vicenda ottenendo la liberazione dell’equipaggio nell’agosto del 2014: Grechushkin pagò loro il ritorno a casa.

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Ma sulla Rhosus rimaneva ancora il carico di nitrato di ammonio. Lo studio legale che seguì la vicenda oggi dice che già all’epoca avvertì le autorità che la nave rischiava «di affondare o esplodere in qualsiasi momento», e per questo il carico, ormai passato sotto la responsabilità della città, fu spostato in un magazzino del porto. Il parlamentare libanese Salim Aoun ha pubblicato su Twitter le immagini di alcune delle lettere inviate tra il 2014 e il 2017 dai funzionari doganali del porto al giudice incaricato delle decisioni urgenti, per chiedere cosa fare del nitrato di ammonio.

(AP Photo/Bilal Hussein)

«Alla luce del grave pericolo rappresentato dalla conservazione di questo carico nel magazzino in un clima teso, ripetiamo la nostra richiesta all’agenzia marittima di spostare immediatamente il materiale» scrisse nel maggio del 2016 il capo dell’agenzia doganale libanese. Fu proposto di regalarlo all’esercito, o di venderla alla Società di Esplosivi Libanese, ma il tribunale non rispose né a quella lettera né a un’altra simile inviata un anno dopo. La Rhosus invece affondò nel porto nel 2015 o nel 2016, a causa di un grave danno alla chiglia che le faceva imbarcare acqua.

Hassan Koraytem, il direttore del porto di Beirut, ha confermato in un’intervista le diverse richieste rivolte alle autorità giudiziarie perché decidessero come smaltire il carico, spiegando che gli era stato detto che la nave sarebbe stata venduta all’asta, cosa mai avvenuta. «Le autorità libanesi trattarono quel carico come hanno trattato la mancanza di elettricità del paese, l’acqua corrente non potabile e il problema della troppa spazzatura: litigando e sperando che il problema si risolvesse da solo» ha scritto Ben Hbbard, riferendosi alla grave crisi politica ed economica in corso da anni in Libano.