Il dibattito americano sul doppiaggio

È sbagliato che attori bianchi diano la voce a personaggi che non sono bianchi? È normale che la recitazione sia fingere di essere chi non si è?

A fine giugno i produttori dei Simpson comunicarono che nella versione originale della serie non avrebbero più usato doppiatori bianchi per dare la voce a personaggi non bianchi. Sempre in quei giorni, altri attori bianchi annunciarono che non avrebbero più doppiato personaggi non bianchi in serie come Big Mouth, Central Park, I Griffin e The Cleveland Show, e l’attrice Alison Brie – anche lei bianca e statunitense – si scusò per essere stata per molti anni la doppiatrice del personaggio di Diane Nguyen, che è tra i più importanti della serie animata BoJack Horseman e di cui si raccontano le origini vietnamite.

Il dibattito su chi debba doppiare un personaggio d’animazione può sembrare piccolo e marginale, e in parte lo è: ma è anche interessante per approfondire come, quanto e perché qualcosa che fino a qualche tempo fa era percepito come normale, da un po’ di tempo sia considerato da molti offensivo e quindi sbagliato. Soprattutto negli Stati Uniti, dove da diversi anni c’è sempre più attenzione verso la corretta rappresentazione dell’identità etnica delle persone, delle loro origini e di quella che è spesso considerata una sbagliata appropriazione culturale, in quanto stereotipata, offensiva e discriminatoria. Il discorso su chi possa doppiare chi – e in particolare sugli attori bianchi che doppiano personaggi non bianchi – si inserisce quindi nel più grande dibattito relativo al blackface o all’uso di immagini o nomi che fanno impropriamente riferimento ai nativi americani.

Limitandosi alle questioni che riguardano il doppiaggio – ce ne sarebbero anche che riguardano la recitazione e il cosiddetto whitewashing – l’Atlantic ha chiesto a un po’ di addetti ai lavori cosa ne pensino.

Linda Lamontage di lavoro fa la direttrice dei casting, e si occupa quindi di scegliere a quali attori o attrici far doppiare personaggi d’animazione per serie come I Griffin o BoJack Horseman. Lamontage ha detto che preferisce non guardare mai la faccia degli attori che fanno o mandano provini audio per prestare la loro voce a determinati personaggi. Lo fa per concentrarsi meglio sull’udito senza essere distratta dalla vista, ma anche per evitare che l’aspetto dell’attore possa influenzare la sua decisione e per mettersi nelle stesse condizioni del pubblico, che spesso è ignaro di com’è fatto davvero colui o colei che doppia un certo personaggio. Da questo punto di vista, Lamontage ha parlato del doppiaggio come di un lavoro non discriminante: perché l’aspetto esteriore non preclude a nessuno le possibilità di interpretare un certo personaggio.

Dopo aver fatto notare di avere lei stessa origini cinesi, Lamontage ha ammesso di aver ripensato più volte al suo lavoro, negli ultimi mesi. In particolare dopo le parole di Brie sul personaggio di Diane Nguyen: una scelta che Lamontage aveva contribuito a fare. Ha spiegato che prima dei provini erano state specificate le origini asiatiche di Diane, ma che alla fine il ruolo fu dato a Brie semplicemente perché sembrò più brava e azzeccata delle altre. Tra l’altro, Lamontage ha detto che anche quando si precisa che certi ruoli sono aperti a tutti, finisce quasi sempre che «9 candidati su 10 sono caucasici». Ha aggiunto però che gli eventi degli ultimi mesi le hanno dato una nuova «consapevolezza della situazione».

Anche Rudy Gaskins e Joan Baker, fondatori della Society of Voice Arts and Sciences, una sorta di sindacato dei doppiatori, hanno parlato in termini positivi di quel che sta succedendo. Gaskins ha fatto notare però che, come in diversi casi simili, si verifica qualcosa che fa pensare al movimento di un pendolo: «Prima c’è una grande oscillazione, che si fa molto notare, poi c’è una maggiore stabilizzazione».

Secondo qualcuno c’è il rischio che l’oscillazione iniziale sia esagerata e smisurata rispetto alla questione, e che certi attori stiano rinunciando a certi ruoli solo per evitarsi critiche o problemi. C’è anche chi crede che, proprio perché si tratta di recitazione, non è detto che per interpretare qualcuno sia necessario essere come quel qualcuno. Il direttore del doppiaggio Pat Fraley, per esempio, ha risposto alle domande dell’Atlantic ricordando una volta in cui lui si lamentò per il fatto che per fare una “voce statunitense” fosse stato scelto un attore britannico. Lamentele a cui l’attore e doppiatore statunitense Edward Asner rispose dicendo: «Hey, si chiama recitazione». Fingere di essere qualcuno che non si è.

È una questione complicata e con tante e non irrilevanti differenze tra un caso e l’altro, ma ci sarebbe spazio per chiedersi anche come comportarsi, a questo punto, con personaggi d’animazione caratterizzati per le loro origini italiane, francesi o irlandesi e interpretati da attori e attrici senza quelle origini. Oppure se, anche fuori dall’animazione, personaggi con determinate caratteristiche – e non solo origini – possano essere interpretati da attori o attrici che non hanno quelle caratteristiche ma che recitano.

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Volendo, poi, le cose si complicano notevolmente nel caso di doppiaggi in lingue diverse dall’originale, ad esempio quando – come nei Simpson – un bidello fortemente caratterizzato per le sue origini scozzesi (seppur doppiato da un attore di origini italiane) diventa, in Italia, un bidello sardo a cui capita di dire cose come: «Forza Gigi Riva».

Ma a cui capita anche, nella versione italiana, di parlare della Scozia (con accento sardo) lasciando intendere di essere scozzese.